“Verrà la morte
E avrà i tuoi occhi”,
dice Pavese.
Non i miei, dico io,
Perché li avrò io
prima di lei!
Certo, potrei commettere il suicidio senza dire una parola, come fa la maggior parte dei suicidi. Invece io faccio l’opposto, scrivo le ragioni che mi portano a quest’atto e dico anche che per me il suicidio è una delle cose più convenienti della vita: ci si può sbarazzare di essa quando e come uno desidera
Non è un suicidio d’amore, il mio, nel caso lo realizzassi, neppure uno per motivi di salute o per altre ragioni. La mia è una sentita ribellione esistenziale contro l’assurdità fenomenica vista a 360 gradi, più la barbarie sociale che governa il mondo.
La mia morte, dunque. In realtà, questa l’avevo già decisa verso la fine degli anni Sessanta a Parigi. Poi non è avvenuta, poi, il poi di allora è diventato il poi di oggi e tra questi due “poi” sono trascorsi più di 50 anni. Però, ragionavo così allora e ragiono ancora così.
Nascere da un nulla e poi ritornare in un altro nulla senza un “ma” e senza un “perché”, non è divertente. Sentire notte dopo notte i passi sempre più vicini della Signora delle tenebre, non è una piacevole melodia. La natura non è stata mai il mio ideale e mai potrà esserlo per com’è fatta. È alla mercé di almeno tre principi uno peggio dell’altro: il principio dell’assurdo, il principio del mangia o sarai mangiato e il principio della Signora delle tenebre. Questi tre principi o leggi universali che vanno dal micro al macro valgono per ogni fenomeno inanimato e animato nell’intero universo: stelle giganti ingoiano quelle più piccole e gli animali più forti mangiano quelli più deboli, il resto è dominato dell’assurdo. In un così fatto mondo, non vi è scampo per nessuno, genio o imbecille che sia.
Stando così le cose, abbraccerei volentieri l’idea di Schopenhauer, e cioè, se dovessi scegliere tra nascere e non nascere, sceglierei di non nascere; se dovessi decidere quando morire, deciderei subito dopo la nascita; se fossi obbligato di vivere tutta la vita, la vivrei ubriacandomi notte e giorno.
Vivere poi in una società che ha come regole il crimine legalizzato, la povertà, la discriminazione, lo sfruttamento, le guerre, le falsità e nell’insieme è fatta di vittime e carnefici, non mi pare che sia uno dei migliori sistemi al mondo. A me, questo e molto altro mi ha sempre voltato lo stomaco e insultato l’anima e penso che sia così per tutti quelli che hanno una umana dignità e una coscienza sociale.
Se poi andassimo al nocciolo del fenomeno vita, dovremmo chiederci:
Perché veniamo al mondo?
Per morire.
Ha un senso la vita?
Quello che gli diamo noi.
S’intravede una speranza da qualche parte?
Solo per i ciechi.
Siamo soli?
Fondamentalmente siamo tutti soli.
E la morte che cos’è?
Una liberazione!
Oggi non sono più giovane come lo ero a Parigi negli anni Sessanta, oggi i miei 82 anni iniziano a farmi sentire il loro peso. Non voglio gravarli ancora con acciacchi, travagli e sforzi e tanto meno umiliarli dandogli una vita poco piacevole. E dato che non c’è tempo, in questo così fatto mondo per piangersi addosso, ho deciso ch’è giunta la mia ora.
La mia morte, dunque. Questa, diversamente della mia nascita, voglio gestirmela io in tutto e per tutto e devo farlo mentre sono ancora in vita e in buona salute, perché, a mio modo di vedere, una delle cose importanti della vita, se non la più importante, non è solo come si vive, ma anche come si muore.
Sono le 10.30 d’un giorno qualunque di luglio del 2021 e sto per entrare nell’ufficio dell’impresa funebre Defabianis a Biella. È qui che oggi sceglierò (insieme a me c’è Lorenza Negro, la mia compagna, e il signor Massimo Bracco, un rappresentante dell’azienda) la mia bara e darò istruzioni per il mio funerale.
Prima scelgo la cassa; secondo non voglio annunci funebri né un funerale; terzo voglio essere cremato in un saio bianco nel crematorio di Valenza o della Valle d’Aosta; quarto voglio che le mie ceneri siano sparse sulle montagne Biellesi (molte delle mie idee, che poi finirono nei libri che ho pubblicato, mi sono venute mentre camminavo su questi monti); quinto sono ateo e sbattezzato e come tale voglio essere cremato.
Ancora due cosettine.
La prima. Il mio suicidio non è scontato, e nel caso non mi suicidassi, sappiate che per me è come se mi fossi suicidato.
La seconda. L’ammetto, la vita mi ha stufato, particolarmente in quest’ultimo tempo. Non la sopporto più, mi basta così. Scusate il disturbo.