“To Rome with love” ovvero come Woody Allen vede gli italiani
E li vede male. In realtà non li vede affatto. La sua è una licenza poetica e i poeti, come si sa, possono dire tutto, anche le cose più assurde.
Io vado raramente al cinema, ma questa volta l’ho fatto e l’ho fatto dopo aver letto l’articolo di Carla Corsetti pubblicato su facebook sul film di Woody Allen “To Rome with love”. La Corsetti ha stroncato il film e, ho pensato, se ha stroncato il film ha stroncato anche tutta quella ciurma di attori italiani che sono corsi per aver un qualche loro ruolo. Ho pensato anche che se la sua critica dura e impietosa fosse corretta, l’attore-regista Benigni sarebbe stato manipolato e usato dall’Americano in modo abbietto. Benigni può criticare, ridicolizzare, beffeggiare l’Italia tanto quanto vuole se così desidera e se è lui a farlo, ma farlo interpretando una parte negativa, impropria, stupida e non realistica del proprio Paese, questo mi sembra il massimo del più bieco sarcasmo e dileggio.
Niente, dovevo vedere il film. Così sono andato ieri sera a vederlo e devo dire che non ritoccherei neppure una virgola di tutto quello che ha scritto Carla Corsetti. Anzi, vi propongo il suo articolo, lettori, col suo permesso spero. Eccolo:
A nessuno è concesso di arrivare alla soglia degli ottanta anni e avere le stesse potenzialità degli esordi, e tuttavia pur nella tristezza dei limiti imposti dall’età, a nessuno è consentito di calpestare la propria dignità e quella degli altri, nemmeno a Woody Allen. Il regista statunitense ha diffuso nelle nostre sale cinematografiche un film, “To Rome with love”, con il quale non si è limitato a travalicare il senso del grottesco, del ridicolo e del patetico, ma ha voluto essere inequivocabilmente offensivo. Il film ha descritto il nostro Paese con una superficialità impressionante. Inquadrature pessime, doppiaggio mediocre, fotografia penosa, dialoghi poveri, storie inesistenti, spot non occulti. Le acconciature e gli abiti fanno il verso al neorealismo ma il risultato è un patetico anacronismo. Non si contano gli attori noti che avranno fatto carte false per una particina con mezza battuta, o per una inquadratura muta di cinque secondi. Woody Allen ha voluto narrare i nostri difetti ma non ne è stato capace. Non siamo un popolo immune da contraddizioni e per coglierle non è nemmeno necessario aver conseguito studi classici, ma Woody Allen ha tentato di evidenziarle con la stessa superficialità con la quale si guarda il passeggio rimanendo seduti al bar. Uomini idioti, pagliacci mancati, giovani imbecilli, donne improbabili, una girandola di personaggi senza storia, il nulla che rappresentava il niente. Woody Allen non ha più nulla da dire. Avremmo apprezzato il suo silenzio.
In ogni modo, una domanda alla signora Carla Corsetti voglio farla: Lei pensa che tutto quello che il regista statunitense ha detto dell’Italia e dei romani sia irrealistico?
“To Rome with love”, dunque, non è un film d’amore né per Roma né per gli italiani. Woody Allen, il perfido, astuto, annoso, cattivo, cadaverico, machiavellico nel paese di Machiavelli Woody Allen, è riuscito a censurare in modo bestiale e maligno gli italiani. Li ha accusati di frivolezza, ha criticato e ridicolizzato la storia dei loro costumi e della loro capitale, ha distrutto quel poco che rimaneva del cinema italiano comprando un fracco di attori (Giuliano Gemma, Ornella Muti, Roberto Benigni, Antonio Albanese ecc) per fargli fare delle parti ignobili (avrebbero Kirk Douglas, Burt Lancaster, Brad Pitt, Meryl Streep, Richard Gere accettato una tale vegognosa parte?), ha usato attori italiani per canzonare gli italiani e, per di più, e questo sicuramente gli farà anche piacere, usando un cast di attori italiani per realizzare il suo film, farà ancora più incassi. Meglio di così!
Ridere per non piangere, dunque. Il film non fa l’elogio d’un popolo degno di stima e di storia, ma fa l’elogio della sua superficialità, Carla Corsetti ha visto giusto.
Nel suo film, il regista-attore, si è scelto la parte dello scopritore di talenti, vale a dire la miglior parte: scopre un cantante, un impresario funebre, che riesce a cantare solo sotto la doccia. Il cantare sotto la doccia è tipico degli italiani ed è una bellissima cosa e lui ha trovato il modo di prenderli per il culo anche per questa loro usanza! Sei una carogna Woody!
Non ha risparmiato niente e nessuno del Bel Paese. La mia impressione era giusta. Infatti, non ha avuto rispetto neppure per un suo pari, Roberto Benigni, anche lui regista e attore. Fare fare a Benigni un ruolo di merda (Edoardo Pisanello è, se visto sotto la cute, un povero disgraziato, una caricatura umana) e per di più far sì che prendesse in giro il suo Paese è il massimo del cinismo e il newyorchese si è permesso anche questo!
Insomma, il regista Allen, a parte le solite cretinate che si dicono dei romani e degli italiani, a parte le solite batture ormai morte e stramorte del falso padre della psicoanalisi, a parte la sua perpetua insofferente esistenzialità, non sa nulla. Un superficiale che fa l’elogio del superficiale: ci ha azzeccato!
Per certi versi, e bisogna dirlo, Woody Allen, senza che lui lo volesse o se ne rendesse conto, ha colto veramente il cuore, l’essenza, il nocciolo dell’italianità: ha colto la sua anima poetica, la sua spontaneità, la sua creatività, la sua umanità, la sua bellezza vitale, la sua ricerca del piacere e dell’amore, ma anche la sua vuotaggine ed esteriorità che, diversamente di tanti altri popoli, non reprime.
Italiani, se volete conoscere voi stessi, se volete conoscere come gli stranieri vi vedono (australiani, inglesi, tedeschi, francesi, svizzeri, canadesi, austraci, americani, scandinavi, bielorussi, ecc), allora andate a vedere il film di Woody Allen. Se invece ne avete piene le scatole di buffoni locali e stranieri che parlano e sparlano di voi, di voi che in realtà non conoscono e non capiscono, allora statevene a casa vostra e qualsiasi porcheria vi venga voglia di guardare in televisione, sarà un milione di volte meglio di “To Rome with love”.