L’Indifferenza divina (13)
L’indottrinamento
L’indottrinamento al falso, che la cultura religiosa ha imposto per millenni e impone, ancora oggi, all’uomo, è devastante. Tutti gli animali si possono indottrinare, ma solo fino ad un certo punto. Invece l’uomo è l’animale più indottrinabile e indottrinato al mondo. Nonostante non tragga nulla da certi condizionamenti, continua a volerli, a crederci, continua ad azzannare l’osso che gli viene buttato.
Quand’ero ragazzo, Rossi, avevo un cane e gli avevo insegnato a correre dietro l’osso che gli lanciavo. All’inizio, Genio, questo era il suo nome, correva a rotta di collo per acchiappare l’osso. Poi, quando scoprì ch’era sempre lo stesso osso, sempre lo stesso gioco, incominciò a correre con meno entusiasmo e, alla fine, smise di correre. Allora io insistevo perché lui corresse dietro all’osso, ma Genio mi guardava con occhi intelligenti, da Genio, come per dirmi: “Ho corso abbastanza dietro al tuo fottuto osso. Adesso basta. Corrici tu!”
I cani non possono tramandarsi la conoscenza, devono imparare tutto partendo sempre dalla propria vita, dalla propria esperienza; gli uomini, pur tramandandosi conoscenze da migliaia di anni, non hanno ancora smesso di correre dietro ai fottuti ossi! C’è una ragione per questo? Non una, ma molte. Te ne parlerò strada facendo. Per ora sappi che la maggior parte di essi, particolarmente quegli uomini che credono ma non capiscono, questi, questi signori, non accettano la realtà, la morte, il limite, la verità, le cose per come sono. Ecco il male.
Poi ci sono i preti. Questi ricevono un indottrinamento-condizionamento bestiale, peggiore di quello che Pavlov infliggeva ai cani. Altro che l’indottrinamento nazista, fascista, comunista! Con il Catechismo cristiano non si scherza. È severissimo. Infatti, i preti vengono educati ad avere un solo dio, un solo credo, una sola identità: quella Cristocatto; un solo obiettivo: infestare il mondo con il loro credo. Nessuno di loro può apportare la minima critica ai dogmi della Chiesa; nessuno di loro, qui in Italia, critica il boss del Vaticano (1); nessuno di loro può ribellarsi contro la mentalità dogmatica del Catechismo: deve accettarlo o diventare eretico. Il prete è il mammifero più condizionato del Pianeta. Ha messo il suo cervello al servizio dell’Indifferenza divina. Lui deve solo seguire i testi sacri che gli fanno da guida. È una delle creature più indottrinate e condizionate al mondo. La sua ragione, durante i lunghi anni di seminario, gli viene rimossa e al suo posto subentra l’ottuso lavoro dei sentimenti, dell’idolatria, del culto, della croyance aveugle. Non si nasce preti, preti si diventa, come si diventa buddhisti, ebrei, cinesi, italiani, ingegneri, operai. È l’indottrinamento che forma le credenze. La credenza del prete è cieca. Non c’è apertura mentale in lui e, anche se c’è, deve comunque sottomettersi ai dogmi che professa. Compito del prete è di ripetere per tutta la vita la stessa filastrocca, gli stessi riti, gli stessi precetti: “Bau bau bau”, ad infinitum. “…, del resto, scrive Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Gray”, gli uomini di chiesa non pensano. A ottant’anni un vescovo continua a ripetere quello che gli è stato insegnato a diciotto…”.
I dogmi dell’Indifferenza divina sono solo bau bau. Attenzione però, Rossi: il bau bau del cane ha un senso, il cane esiste e quando fa “bau bau” c’è una ragione; il “bau bau” del prete non ha nessun senso: è aria fritta.
Come un essere umano viene trasformato in un alieno
Parlando d’indottrinamento, Rossi, ti riporto qui alcuni stralci tratti dal libro di Vania Lucia Gaito “Viaggio nel silenzio”, circa l’agghiacciante storia dell’ex-prete Fausto Marinetti.
“Lo riconobbi da lontano, scrive l’autrice: Fausto Marinetti, anche se il suo certificato di nascita diceva che si chiamava Alberto. Fausto è il nome che gli dettero quel giorno, il 4 ottobre del 1953, quando aveva appena undici anni. La chiamavano ‘Vestizione’. Lo spogliarono dei suoi abiti e gli misero addosso un saio, l’abito santo: ‘Muori al mondo e alle sue pompe, da oggi sei una nuova creatura. Oggi seppelliamo Alberto e rinasce in Cristo Fausto”.
“…da quel momento, prosegue Fausto, dovevo annullare me stesso, al mio posto doveva crescere Cristo. Ci provai: era una lotta continua, sia pure da ragazzino, contro il mio carattere, i miei limiti e difetti umani,” p. 74.
“Com’era la giornata in seminario?” chiede a Fausto Vania Lucia Gaito.
“La giornata era scandita dal suono della campanella, risponde lui: ci convincevano che quella era ‘la volontà di Dio’, la sua stessa voce. A ogni rintocco delle ore dicevamo una giaculatoria, una invocazione religiosa. Ci svegliavamo alle cinque e mezzo del mattino e si andava in chiesa di corsa. Dopo poco diventò una specie di competizione: ci veniva detto che chi arrivava per primo in cappella riceveva una speciale benedizione di Dio! I più zelanti, e io ero tra loro, facevano a gara, lavandosi sommariamente. In chiesa facevamo opere di pietà fino alle sette e mezzo. In ginocchio per due ore, senza potersi sedere. Al massimo si poteva stare in piedi. A me, a forza di stare in ginocchio, venne la borsite e dovettero operarmi. Mezz’ora di meditazione sulle piaghe di Cristo, la Messa, il ringraziamento, le preghiere,” pp. 74-5.
Continua l’ex-prete.
“Ogni distrazione era ripresa e repressa. Proibito essere se stessi, bisognava invece essere ciò che era previsto per noi, come tanti mattoni usciti dallo stesso stampo. Individualità, personalità propria, erano da distruggere, perché quello era il ‘mondo’ da cancellare per sempre. Ce lo giustificavano con le parole del Vangelo: ‘Siete nel mondo, ma non del mondo’. Ma noi, ragazzini, non sapevamo ancora che cosa significasse ‘mondo’. Per noi il mondo incominciava dalla famiglia e finiva a scuola. Non potevamo immaginare che famiglia e scuola fossero il male da rifuggire,” p. 77.
“Altra virtù raccomandatissima era la ‘santa purità’ che si raggiungeva con la mortificazione degli occhi. Bisognava vivere sempre con gli occhi bassi, per prevenire le tentazioni. Le bellezze del creato, per noi, erano sprecate: orizzonti, albe e tramonti dovevano essere ignorati,” pp. 77-8.”
“In un ambiente così chiuso e a ‘sesso unico’ i complessi di simpatia e di gelosia erano inevitabili. Quando due stavano troppo insieme, scattava un controllo stretto. Le cosiddette amicizie particolari, l’appartarsi, il preferire uno agli altri, erano considerati un delitto degno dell’espulsione dal giardino terrestre del seminario. Io non capivo i motivi di queste restrizioni, di questi continui controlli. Cominciai a capirci qualcosa sui vent’anni, credo,” p. 78.
“Sapere? Sapere era già peccato. Eravamo educati con l’intimidazione, la minaccia dell’inferno e della persecuzione del proprio corpo. I superiori ce la mettevano tutta per esaltare la ‘santa purità’, inculcandoci che il corpo era occasione di peccato. Prediche e conferenze insistevano ossessivamente sulla ‘bella virtù’. Per essa pregavamo forsennatamente,” p. 80.
È così, Rossi, che Fausto lo spretato descrive il direttore spirituale del seminario:
“Avevamo un direttore spirituale, un vecchietto di settant’anni buono come il pane, ma del tutto incapace di aiutarci a gestire l’insorgere delle prime pulsioni. Ogni mattina, al suo confessionale, c’era una fila di piccoli seminaristi per saldare, con un Dio giustiziere, il conto di una notte inquieta. Il buon padre non sapeva dire altro che: ‘Prega, prega! Con la preghiera tutto va a posto’. A me, in verità, sembrava di non essere preso sul serio. Sotto l’imperversare della minaccia dei castighi divini per il delitto di masturbazione, cominciai ad avere paura del mio corpo, a temere che Dio me lo avesse dato solo per punirmi. Vede, a forza di parlare di peccato impuro si ingenera la sua ossessione, e noi eravamo ossessionati. Nel paradiso terrestre del seminario il sesso non doveva esistere e, se esisteva, era solo in confessionale per chiedere perdono a Dio di averci dato un corpo che sarebbe stato meglio non avere.
“… le dico questo per darle un’idea: i più sfrontati e temerari tra noi seminaristi si chiedevano bisbigliando l’un l’altro ‘È vero che i bambini nascono dal petto delle donne?’. Io oggi mi chiedo come sia possibile fare di un bambino un cristiano senza farlo prima di tutto uomo. Dio ha fatto di tutto per farsi uomo e a noi veniva imposto di far di tutto per eliderlo, annullarlo, quel nostro essere uomo,” p. 82.
“I miei condizionamenti, la mia deformazione, vengono dall’ambiente a sesso unico dei seminari, da quell’educazione sbagliata, da quella mentalità contorta,” p. 81.
“Anche al noviziato vigeva lo stesso tipo di disciplina che c’era in seminario?” chiede Vania a Fausto.
“Scherza? Di più! Disciplina rigorosissima, eravamo nella scuola della perfezione. Ognuno aveva la sua celletta: pagliericcio con paglia di pannocchie, una sola maglia sia per l’estate che per l’inverno, proibito l’orologio, la penna stilografica. Nella celletta c’era solo un tavolino e uno sgabello, niente luce elettrica, niente riscaldamento, figuriamoci cose come la televisione, la radio, i giornali! Il mondo era chiuso fuori a doppia mandata. Solo che la fantasia non si può tenere chiusa a doppia mandata. E per tenere a bada pulsioni e fantasie c’erano strumenti efficaci: il cilicio, una cintura di fili di ferro, che si metteva ai fianchi sulla carne nuda e che provocava una fitta a ogni movimento ma non penetrava nella carne, e la disciplina, quattro o cinque catenelle con le quali ci si flagellava il sedere. Il cilicio si metteva tutte le mattine appena alzati fino a colazione: dalle cinque alle otto. La disciplina doveva essere usata tutti i giorni, e tre volte alla settimana anche prima di pranzo e alla sera. La ragione mistica era sentire in noi qualcosa delle sofferenze di Cristo. Crede che una sola volta mi abbia sfiorato il pensiero che fosse una sorta di masochismo? Mai. Dal noviziato in avanti si dormiva con il saio, proibito andare a letto con i mutandoni. Bisognava sempre indossare l’abito santo. Se Dio ci avesse chiamato a sé di notte, eravamo già pronti all’appello con la divisa della santità… A diciassette anni mi flagellavo, digiunavo, buttavo la vita per quel Dio che, per esaltare la sua ‘maggior gloria’, aveva bisogno, mi dicevano, delle mie fustigazioni, dei miei sacrifici, delle mie rinunce,” p. 84.
Quando un prete finisce il seminario, Rossi, ed è bene che tu lo sappia, non è più un essere umano. È tutto ma non un essere umano. È fiction, è letteratura, è abracadabra, è invenzione holliwoodiana, è anti-storia, è fuori dalla storia, è anti-uomo, ma non un essere umano. È, in realtà, un ALIENO. Lo dicono loro stessi: Siete nel mondo, ma non del mondo. Più chiaro di così! E se un giorno per curiosità vorrai vedere un alieno, non uno di quelli che ti fanno vedere i film americani, ma un vero alieno, allora basta solo che entri nella prima Chiesa che incontri sulla tua strada e lì lo troverai.
Il cervello del prete
In realtà, il cervello del prete, a meno che non si spreta come ha fatto Fausto Marinetti, è un cervello debole, ma che ha imparato, per via d’indottrinamento, a trasformare la sua debolezza cerebrale in una forza. La psicologia qui non è facile da capire, Rossi, ma neppure difficile. Il prete rappresenta colui che porge l’altra guancia, che si offre inerme al nemico. Ma lo fa veramente?
La storia della Chiesa è una storia di crimine, non di un’anima pura. Come fa uno a porgere l’altra guancia se uccide? Da quando la Chiesa è diventata Chiesa, ha terrorizzato l’Occidente con ogni sorta di paura fisica e psicologica. Per quasi duemila anni la Chiesa ha schiaffeggiato l’umanità. Continua a schiaffeggiarla. No, il prete non porge l’altra guancia, è colui che schiaffeggia chi gliela porge.
Il cervello del prete è, comunque, un cervello debole perché si sottomette a dogmi assurdi. Un cervello forte, possente, appassionato è un cervello che vuole conoscere la verità; vuole conoscere come stanno le cose in cielo, in terra e in ogni luogo; vuole studiare tutto, sperimentare tutto, capire tutto, amare tutto. Questo non è il cervello del prete. Il suo cosiddetto cervello ecumenico funziona solo per il suo indottrinamento Cristocatto. Se gli togli l’indottrinamento che ha ricevuto, il suo cervello non è più universale, ma locale, mediocre, piccolo, insignificante, annega in una fossa di sterco.
Il prete lavora per un solo padrone, un padrone che non ha mai visto, mai incontrato, conosciuto, lavora per il Muto, Quello che abita lassù. Il suo cervello si ferma ai dogmi. Non indaga, non vuole capire, non ha la forza per scoprire. Si ferma alla dottrina. Il motto “Non so, quindi soffro” non tocca il prete. Il suo motto invece è: “Credo, dunque sono.”
Il prete non riesce a distinguere la realtà dall’irrealtà. Rimane intrappolato sotto il principio del nonsense divino. È una creatura debole che fa della sua debolezza una forza: l’applica agli ingenui, alle diverse Lucia dos Santos, Maria Goretti, Bernadette Soubirous, insomma, ai poveri di spirito. Questi non possono permettersi il lusso di studiare regole, dogmi, metafisicherie come il prete. I loro problemi riguardano la sopravvivenza, non la conoscenza. Non è così per lui. Il prete potrebbe indagare i fenomeni della natura, della cultura, ma non lo fa. L’ALIENO, cioè l’indottrinamento falso che ha ricevuto, fa da padrone nella sua testa.
I preti che hanno un cervello sano e forte, tipo quello di Fausto Marinetti, diventano eretici, lasciano la Chiesa, la criticano, la combattono, si scagliano contro il suo nonsense. Non quelli, però, il cui cervello è debole, che non hanno la forza intellettuale di andare oltre il racconto delle verità rivelate. Questo tipo di preti, che fanno parte della stragrande maggioranza, rimangono vittime della macchina diabolica Cristocatto: i suoi schiavi, i suoi portaparola.
Perché ci si faceva e ci si fa preti?
Come oggi nella prima decade del secondo millennio almeno il 90 per cento dei poliziotti abbraccia l’arma perché solo in questo settore trova lavoro, mangia e aiuta la famiglia, così nei secoli scorsi e ancora oggi coi preti. S’indossa l’abito talare non per ispirazione divina, per chiamata religiosa, per dono messianico, per missione, ma semplicemente perché la Chiesa dà da mangiare, oltre che un senso, per quanto assurdo, ai suoi appartenenti. Fuori della Chiesa c’era e c’è ancora oggi la fame, la disperazione, la miseria. Era ed è l’istinto di sopravvivenza che spingeva e spinge la gente ad abbracciare la fede, non un reale sentimento apostolico. Questo non ce l’ha nessuno eccetto i folli e i visionari.
Di più. In passato e anche oggigiorno, le famiglie agiate, benestanti indirizzavano e indirizzano i loro figli poco intelligenti, poco dotati a professioni d’alto rango, al clero. Questo era ed è un impiego accessibile a tutti.
E non solo. Nei tempi favolosi del passato, i divulgatori dell’Indifferenza divina andavano in giro a convertire le masse ignoranti e becere, loro, proprio loro, che erano ancora più ignoranti e beceri delle masse che dovevano convertire. Ai nostri giorni, i divulgatori dell’Indifferenza divina, dato che trovano non poche difficoltà a convertire i sempre più convinti atei occidentali, allora vanno a convertire gli africani che vivono peggio degli europei di quei favolosi tempi.
Il linguaggio del prete
Ferdinand de Saussure dice che il linguaggio l’abbiamo tutti, come, aggiungo io, ce l’hanno gli animali, gli alberi, i fenomeni fisici, il vento, il tuono, il mare, le pietre, ma nessuno di questi, eccetto gli umani, ha la parola. Questa è una conquista culturale. I preti, nonostante per natura appartengano alla specie umana, come gli alberi, gli animali, il tuono, il vento e le pietre (queste ultime fischiano se le lanci a grande velocità), per quanto possa apparirti paradossale, Rossi, hanno solo il linguaggio, ma non la parola. Il dogma, la parola non gliela permette. La parola è dinamismo; il linguaggio è sempre lo stesso, proprio come sempre gli stessi sono i rumori che fanno gli alberi e i fenomeni fisici e i versi che emettono gli animali. I preti ripetono sempre il solito credo, il solito rumore: bau bau.
Un prete non può mai sentire con il cuore – ammesso che da lì venga il sentire – le parole che dice durante una messa, durante una funzione. E come potrebbe? Dice sempre le stesse cose, le stesse formalità, con le stesse tonalità e si rivolge sempre al solito gregge obnubilato e ottuso. Queste formalità, a forza di ripeterle, divengono insipide, noiose, pietre. Puoi farla anche tu l’esperienza, Rossi, se vuoi, ripetendo ai tuoi amici di nuovo, di nuovo e di nuovo le stesse cose. Dopo un po’ di tempo vedrai il risultato. Nelle parole del prete, comunque, non c’è solo la ripetizione, c’è anche la morte. Si riempie la bocca di parole spente ogni volta che predica. Il suo linguaggio è vecchio, pieno di vermi e di cancrena: è un linguaggio morto.
La cosa non si ferma qui, of course. Tutto ciò che dice il prete è costruito: costruite sono le sue parole, idee, gesti, cerimonie. Le parole, per sentirle, bisogna trarle dalle proprie viscere, da esperienze vive, personali, che i preti non conoscono. Non possono, ad esempio, parlare di amore (le statistiche dicono che il 65 per cento di loro fa sesso con le devote del Signore, ma questo non è amore, è violare la legge divina e matrimoniale; quindi, il loro è sesso colpevole); non possono parlare di figli, non ne hanno; non possono parlare di una famiglia, non ce l’hanno; non possono parlare di sentimenti per l’altro, il loro “altro” è il loro dio.
I preti sono, socialmente parlando, veri e propri extraterrestri: degli ALIENATI. Per loro, parlare di tutto e di niente riguardo agli uomini, è la stessa e medesima cosa. La loro è una retorica vuota. Raccontano e si raccontano sempre la stessa aria fritta e, a furia di raccontare e raccontarsi sempre la stessa aria fritta, diventano loro stessi aria fritta. È inevitabile. Ognuno, alla lunga, si identifica con quello che fa e dice. Le parole che escono dalla loro bocca, sono parole pietrificate.
Ecco alcuni esempi:
“Il Signore ti colpirà con piaghe terribili … dalla punta dei piedi alla sommità del capo … lascerà che si abbatta su di te ogni genere di tormento e malattia”, Vecchio Testamento.
“Coloro che non mi seguiranno, patiranno le pene dell’inferno per l’eternità, e laggiù vi sarà pianto e stridore di denti”, Gesù.
“Mi rivolgo a voi, concubine dei preti, lusinghe del diavolo, veleni della mente, pugnali dell’anima, aconito dei bevitori, veleno del cibo, essenza del peccato, causa di ogni rovina. A voi mi volgo e vi chiamo prostitute dell’arcinemico, upupe, vampiri, pipistrelli, mignatte, lupe. Venite a me e prestatemi orecchio, meretrici, brago dei pingui porci, ricoveri di spiriti immondi, ninfe, sirene, arpie, tigri maledette, vipere furiose…”, san Pier Damiani, dottore della chiesa, “La vita sessuale dei papi” di Nigel Cawthorne, p. 72.
“Secondo la decisione degli angeli e del giudizio dei Santi, bandiamo, scomunichiamo, malediciamo e cacciamo Baruch de Espinosa, con l’ispirazione del Sommo Iddio e l’approvazione di tutta la sacra comunità, innanzi ai Sacri libri della legge e ai 1613 precetti ivi contenuti, con la maledizione con cui Giosuè maledisse Gerico, con la maledizione con cui Eliseo maledisse i fanciulli e con tutte le imprecazioni che stanno scritte nella legge. Sia maledetto nel giorno, sia maledetto nella notte, sia maledetto quando si corica, sia maledetto quando si alza, sia maledetto se esce, sia maledetto se entra. Che Dio mai gli perdoni, che l’ira e il furor di Dio s’infiammino contro quest’uomo e riversino su di lui tutte le maledizioni che stanno scritte nei libri della legge, che cancellino il suo nome sotto il cielo; che Dio lo recida, per il suo tormento, dal ceppo d’Israele, con tutte le maledizioni del cielo che stanno scritte nei libri della legge … Noi ordiniamo che nessuno abbia rapporti orali o scritti con lui, che nessuno lo soccorra, che nessuno rimanga con lui sotto un sol tetto, che nessuno gli si avvicini più di quattro passi, che nessuno legga uno scritto redatto o pubblicato da lui”, scomunica di Spinoza da parte della comunità ebraica, “Etica, Trattato teologico-politico”, p. 19.
Nota, Rossi, che, nonostante sia un linguaggio arcaico, continua ad essere sempre lo stesso stile impregnato di odio, di vendetta, di minacce, di propaganda intimidatoria. Il linguaggio che usano i religiosi non è il loro linguaggio, è un linguaggio che si tramanda da millenni. Potrebbe benissimo essere messo in bocca a un robot, a un pappagallo, dopo un po’ anch’esso lo parlerebbe. Ripetere i soliti cliché, le solite scomuniche, le solite idee e le solite vecchie minacce, ecco il loro testo. Una retorica così vuota di un contenuto vero, attuale, vibrante di vita non la si trova in nessuna altra bocca eccetto che in quella dei preti.
Il colto e il bello
Tutti, animali piante ed esseri umani, consciamente o inconsciamente, tendono verso il bello, la qualità, l’intelligenza. Le piante, se le pianti in un bel terreno grasso e soleggiato dove possano crescere e portare a maturazione i loro frutti, sono felici: verdeggiano, fruttificano, ti sorridono, ecco il loro modo di esprimere la gioia di esistere; gli animali, più sono forti e belli, più si attraggono tra di loro; gli esseri umani fanno migliaia di chilometri per andare a vedere un bel paesaggio e spendono un mucchio di quattrini per migliorare la loro intelligenza, il loro fisico e per oggetti estetizzanti.
Al contrario, gli schiavi del colosso Cristocatto, i preti, non soltanto non cercano la gente geniale, la qualità, l’intelligenza, il bello, ma addirittura sprezzano queste cose. “Nessuno che sia istruito si accosti, nessuno che sia sapiente, nessuno che sia saggio (perché tutto ciò è ritenuto male presso di loro – presso i cristiani -); ma chi sia ignorante, chi sia stolto, chi sia incolto, chi sia di spirito infantile, questi venga fiducioso!” Celso, p. 133. Ecco la gente che cercano questi signori: i poveri di cervello!
L’unico bello per loro sono le chiese, le catacombe, i cimiteri, le suppellettili che trovi in questi luoghi e i pecoroni. La religione cristiana, prima ancora di diventare religione ufficiale, non ha mai cercato tra i suoi adepti gli spiriti eletti, istruiti, ribelli, intelligenti, ha cercato solo quelli che si piegavano al suo volere, al suo insegnamento cieco e dispotico. E perché? Perché “possono convertire solo gli sciocchi, gli ignobili, gli insensati, gli schiavi, le donnette e i ragazzini”, Celso, p. 153.
Il colto, il bello, la spiritualità sono una ricerca interiore, una ricchezza individuale e collettiva, sono tra i beni più preziosi del genere umano, non, però, per i cristiani, per i preti. La Chiesa ha razionalizzato la stoltezza e la laidezza.
L’irreale
La religione è l’irreale, perché irreale è l’oggetto del suo pensiero: Dio non esiste, Dio è menzogna, Dio è tornaconto, Dio è discriminazione, Dio è povertà, è miseria, mancata crescita, mancato sviluppo, Dio è disastro, Dio è IGNORANZA.
E non solo. Dio è politica. La Bibbia è il libro che ha sparso più sangue al mondo; Gerusalemme è la città più insanguinata; Roma la più corrotta. Alla Chiesa si devono attribuire i crimini più feroci della Terra, le guerre più cruente, le frodi più squallide: nessun’altra istituzione al mondo contribuì di più al degrado umano.
Ancora. La religione è immorale: approfitta dei poveri di spirito. Non è solo immorale, è anche criminale: uccide le speranze e infine i corpi con le sue false promesse.
Tutto Dio è eccetto che pensiero buono, saggio e sano. “La religione, dice il fisico e premio Nobel americano, Steven Weinberg, è un insulto all’umana dignità”.
Io non posso, Rossi, e neanche voglio presentarti la merce divina come te la presenta il prete. È normale che lui ti parli di tutte quelle “storielle” e di tutti quelle “parabolette” che lodano l’oggetto che vende. Perché dovrebbe parlare male del prodotto che lo tiene in vita? Perché dovrebbe sputare nel piatto in cui mangia? Hai mai incontrato un mercante che disprezza la sua merce? Tutti tirano l’acqua al proprio mulino, quindi anche il prete.
E anche noi! Sta a te però capire chi dice la verità! Non è morale ma è naturale che il proprietario di una casa non dica al compratore tutta la verità sullo stato dell’abitazione. È forse scemo? La nostra cultura, lungo la sua evoluzione, ha innalzato non l’onestà, ma l’imbroglio come metodo di scambio tra gli uomini. Così per il prete. Ti venderà solo la merce di cui ti piacerà sentir parlare, la melodia inebriante, il resto dovrai scoprirlo da te, se vorrai conoscerlo.
La morale è innata
Se non l’avessimo in noi, nel nostro intimo, non potremmo mai possederla. La morale è insita in noi come lo sono la digestione, l’odorato, la vista. È un prodotto della Natura. Siamo istintivamente animali morali. La mamma lupa cura i suoi piccini. Fino alla tenera età essi non vogliono farti male perché non vogliono – lo intuiscono istintivamente – che tu poi faccia male a loro. Infatti, quando un cucciolo ti morde, non ti morde sul serio, ma lo fa per gioco. Il suo è un comportamento rispettoso verso la vita degli altri ed è un comportamento naturale. La morale è insita nel nostro Dna, circola nei nostri vasi sanguigni. Se non lo fosse, non l’avremmo e non potremmo fare nulla per averla. Gli uomini dovrebbero sapere che, se vogliono essere rispettati, devono rispettare. La cosa è reciproca. La si sente nell’aria. Tra gli animali adulti è la stessa cosa. Gli scimpanzè, i leoni, gli stambecchi, una volta stabilita la supremazia del più forte, osservano un comportamento dignitoso fra di loro. La nostra è una morale fatta di geni, molecole, circuiti cerebrali. È la religione che distrugge in noi questa felice simbiosi comportamentale, è lei che corrompe e rovina tutto. Tutto ciò che tocca questa snaturata Istituzione muore avvelenato. La morale che propone la Chiesa Cristocatto, in realtà, non è morale, è barbarie, diavoleria, obbrobrio, crimine, morte. Certo, all’apparenza la religione non uccide il corpo, assassina però la mente! È essa che trasforma la nostra morale innata in odio e distruzione.
Il vero volto della religione
Ci dicono, Rossi, che, se si eliminasse la religione, la gente malvagia, non avendo più paura della punizione divina, si scatenerebbe in un’orgia di crimini e di violenza. Perciò, anche se la religione è una bugia, è una bugia utile.
Ma è davvero così che andrebbero a finire le cose, se si eliminasse la religione? Per conto mio, sarebbe proprio l’opposto.
Oggi c’è violenza, perché c’è religione; elimina la religione e la violenza è finita. La religione è un vampiro che succhia sangue senza restituirlo. La religione spinge all’incomprensione, all’irrazionale, al fanatismo. La sua essenza è: “Mento, dunque sono. Uccido, dunque mi esalto”. La religione è violenza, violenza mascherata: la più brutale. Basta ascoltare il tg per rendersi conto che, giorno dopo giorno, vengono commessi crimini efferati; che ovunque ci sono scontri, conflitti, guerre.
Per quale ragione si combatte in Irlanda, in Palestina, in Afghanistan, in Israele, in India, in Pakistan, in Iraq, in Iran, in Africa? Per ragioni politiche, diresti tu, Rossi. Giusto, per ragioni politiche. Sono d’accordo. E dimmi anche questo, che cos’è la religione al di fuori della politica? La religione al di fuori della politica è uno zero assoluto.
Scrive Onfray: “Ciò che definisce oggi i regimi totalitari corrisponde punto per punto allo Stato cristiano così come viene costruito dai successori di Costantino: l’uso della costrizione, le persecuzioni, le torture, gli atti di vandalismo, la distruzione di biblioteche e di luoghi simbolici, l’impunità degli assassini, l’onnipresenza della propaganda, il potere assoluto del capo, il rimodellamento di tutta la società secondo i principi dell’ideologia del governo, lo sterminio degli oppositori, il monopolio della violenza legale e dei mezzi di comunicazione, l’abolizione della frontiera tra vita privata e spazio pubblico, la politicizzazione generale della società, la distruzione del pluralismo, l’organizzazione burocratica, l’espansionismo, sono tutti segni che qualificano il totalitarismo di sempre e quello dell’impero cristiano”, “Trattato di ateologia” p. 138-139.
La religione è politica, dunque, Politica con la P maiuscola, è l’essenza della politica, è la politica più astuta, più sottile, più occulta, più fottitutti. Nel Paese delle meraviglie i politicanti pendono tutti dalle labbra del boss del Vaticano. È la religione che tiene le chiavi del capitalismo, dell’imperialismo, della discriminazione e dell’ingiustizia sociale. La religione è un sistema gerarchico e dittatoriale. Il papa è un monarca, il più vecchio dispotico monarca europeo, un monarca come lo erano lo zar di Russia o Luigi XIV. Non c’è nulla di sacro in questa istituzione. Tutti i suoi riti e le sue formalità altro non sono che le impalcature di una colossale macchina di offuscamento e di sfruttamento sociale. Tutto è la religione eccetto che religione!
Il prossimo brano, Rossi, lo dedicheremo al battesimo. È un punto cardine del nostro racconto. Avrei voluto parlartene prima, ma non ho potuto. Avevo bisogno di mettere un po’ di carne al fuoco.
1) Per conto mio, Rossi, c’è un boss alla Casa Bianca, un altro al Cremlino, un altro all’Eliseo, un altro al Vaticano.