Evviva, il presidente della Repubblica delle banane, Cisibibi, scende di nuovo in campo! (3)

“Io denuncio questo schifo. Nel nuovo dizionario etimologico Zanichelli, schifo, nel caso non lo sapessi, vuol dire senso di ripugnanza, di nausea, di disgusto, detto di persona che si comporta in modo contrario al pudore e alla decenza, proprio come fai tu, e tu fai schifo! Io denuncio questo potersi riempire le tasche apertamente e in modo ignobile col sudore dei lavoratori, col sudore dei Rossi, col sudore di quelli che lavorano per davvero.

“Il tuo non è un lavoro. Tu non hai mai lavorato. Non conosci neppure cosa vuol dire questa parola: “lavoro”. Tu gestisci un bene che non sei degno di gestire, un bene che non è tuo ed è per questo che ti comporti da brigante e da menefreghista.

“I Rossi, invece, non sono come te, i Rossi producono cose, cose indispensabili per la vita, cose di cui solo loro conoscono il prezzo. Tu non produci niente. Tu prendi tutto e, in cambio, butti la gente sul marciapiede a chiedere l’elemosina. Tu non sei né il primo né il secondo né nessun cittadino di questo paese: sei solo un volgare imbroglione, Cisibibi!

“Contorciti pure. Vuol dire che le mie parole vanno a segno. Strano però. Fai gesti e smorfie, ma non reagisci verbalmente e tanto meno fisicamente. Vigliacco!

“Per quello che mi riguarda, non dovresti guadagnare più di quello che guadagna l’ultimo operaio della Zirelli. Anzi, non dovresti guadagnare proprio nulla, assolutamente nulla. Inoltre, ti si dovrebbe sequestrare tutto ciò che hai, perché tutto ciò che hai appartiene ai lavoratori, al Popolo. Dovresti lavorare gratis e bene fino a quando non avrai tirato la Repubblica delle banane fuori dal caos e dalla merda in cui, per causa tua, si trova. Devi risarcire i danni, Cisibibi: danni storici, danni economici, morali, etici, umani! Solo quando avrai rimesso il paese in sesto e gli avrai dato il nome e l’onore che merita, solo allora potrai reclamare un salario. Ma questo non avverrà mai. Non hai il cervello per farlo. Ecco la vera ragione di tutto questo sfacelo.

“Grazie a te, lo spirito della Repubblica delle banane è infetto. Si nutre di menzogne, di corruzione, di crimini, di ingiustizie, di mancanza di valori sentiti. Non parliamo poi di etica e di morale! Queste non sa neppure cosa siano, nonostante tu e i tuoi compari vi riempiate sempre la bocca. Lo spirito di questo paese è una montagna di macerie. Le istituzioni non reggono più. Le istituzioni che avrebbero dovuto essere da esempio, sono le prime ad essere le più infangate, fradice, le più corrotte in assoluto. Non c’è più una sola zolla di questa terra che non trasudi abominio. Non c’è più scampo: lo spirito della Repubblica delle banane è una cloaca. L’aria è ormai fetida, irrespirabile, e la chiacchiera di quelli come te, Cisibibi, un continuo stridio offensivo e insulso.

“Tu e tutta la tua ciurmaglia di impostori fate parte degli ultimi della Terra. Siete dei parassiti, delle canaglie parassitarie, di quelli che hanno bisogno di corpi in cui entrare per nutrirsi, a sbafo! Avete disastrato il cervello del Popolo. Siete incapaci, spreconi, frustrati e cattivi. Non siete quelli che costruiscono il paese, ma quelli che lo demoliscono. Per secoli e secoli avete inchiodato col martello scemenze di ogni genere nella testa del Popolo per poterlo meglio sfruttare, condizionare, derubare, rendere nullo. Ci siete riusciti. Bravo! Oggi il Popolo della Repubblica delle banane sa solo andarsene in giro coi pantaloni abbassati di modo che, quando un sudicio della vostra risma lo incontra e ne ha voglia, possa trovare subito un buco bell’e pronto dove ficcarsi e soddisfare il suo osceno prurito!

“Io non accuso solo te, Cisibibi, accuso anche e più duramente quelli che si trovavano al tuo posto prima di te. Per essere onesto, però, uno come te chi se lo sarebbe mai aspettato? Hai rovinato tutto, figlio di puttana! Ci vorranno secoli prima che questo catorcio di paese ritorni di nuovo a galla, una volta che tu non ci sarai più. Tutto quello che hai fatto fino adesso, da quando hai messo il tuo culo sul cadreghino, è stato arricchirti e proteggere la tua pellaccia. Tu non ti distingui dai tuoi compari africani, Bokassa, Mobutu, Idi Amin Dada, né da tantissime altre canaglie. Sei incorreggibile! Non ho il minimo rispetto né per te né per quelli che ti hanno preceduto; per me vi meritereste tutti la forca, nessuno escluso”.

“Per quello che riguarda i tuoi compari esteri, è meglio non parlarne. Ah, i vostri meeting, i vostri Z otto: che paradiso! No, voi non vi incontrate per risolvere i problemi che stanno devastando il Pianeta, ma per rinforzare la vostra posizione di potere. Tutti lì, per mantenere il caos e l’ingiustizia, il resto è retorica”.

Cisibibi lo guarda, storce ancora una volta il muso, continua a tacere.

“Sai, presidente, e voglio proprio darti questa soddisfazione, per quanto la tua persona mi ripugni, a volte ti ammiro, e ti ammiro per quello che sei riuscito a fare in così breve tempo. Vorrei che tu rispondessi a questa domanda. Dimmi, come hai fatto, tu, figlio di puttana, come hai fatto, tu che non eri del mestiere, tu ch’eri un filibustiere d’alto mare, un pitbull degli affari, un tagliagola nell’arte del rubare, tu che avevi gli sbirri sempre alle calcagna, ad entrare nel covo dei parassiti d’alto rango e diventarne addirittura il presidente?”

“Ti facevo più intelligente.”

“Evviva! Ti è venuta la parola. Cos’hai detto?”

“Che ti facevo più intelligente.”

“Tu me?”

“Io te”.

“Cosa intendi dire?”

“Perché solo in un luogo di parassiti d’alto rango, come tu li chiami, c’è posto per uno come me”.

“Questo è vero. Non ci avevo pensato. Toglimi un’altra curiosità. Perché ti sei creato, a pagamento, of course, una banda di galeotti, buttafuori, reazionari, fascisti, rapinatori, traffichini, criminali, nazisti, voltagabbana, comunisti venduti, truffatori, logorroici professionali, impostori, fanatici buzzurri e volgaroni, insomma, la canaglieria della canaglieria e l’asineria dell’asineria, per governare la Repubblica delle banane?”

“Perché gli altri, tutti gli altri, non sono meglio della mia équipe”.

“Che parolona: ‘équipe!’ ”.

“La mia lo è”.

“Certo, certo, ma prescindiamo. Dimmi, piuttosto, ora che ti sei ritagliato leggi e privilegi su misura e sei diventato il padrone assoluto del paese, cos’altro hai in mente di fare?”

“Tantissime cose”.

“Allora non ti basta quello che hai già fatto?”

“Bastarmi? Ma non ho neppure incominciato!”

“Ne vedremo delle belle?”

“Puoi contarci”.

“E se ti butteranno fuori presto?”

“Non lo faranno. Io rappresento il cuore e l’anima di questo paese”.

“Tu?”

“Sì, io”.

“A volte ce l’hai la parola”.

“Solo a volte”.

Ecco, Rossi, ti ho riportato per intero l’intervista che ho fatto ieri a Cisibibi, il presidente in carica della Repubblica delle banane. Certo, era inevitabile qualche piccola difficoltà con le sue teste di cuoio quando l’ho lasciato andare, nulla, però, che sia degno di essere raccontato.

Voglio, invece, raccontarti il sogno che ho fatto ieri notte. Ho sognato che ero in un ampio salone bene arredato. Reggevo nella mano sinistra una bottiglia di champagne e ogni tanto me la portavo alla bocca, bevevo; nell’altra mano avevo una mitragliatrice e di fronte a me dei brutti musi. Sparavo, Rossi, sparavo e sparavo e sparavo su quei brutti musi e bevevo e sparavo e sparavo e bevevo! Ah, che orgasmo, che orgasmo!

 

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