Credere è un business
Credere è un business, un business fantastico, metafisico, ingenuo, tutto quello che si vuole, ma pur sempre un business e una fuga dalla realtà. Ma che cos’è poi che spinge la gente a credere, prima i rappresentanti ufficiali della Chiesa e poi i comuni mortali?
Per quello che riguarda i primi, i preti, non ci sono dubbi: il loro credo è un business, uno sporco business, il più sporco business della terra: insegnano il falso e la morte, ma è pur sempre un business. E, fino a quando ci sono degli ingenui che abboccano, che comprano il loro prodotto, perché dovrebbero, loro, i preti, farsi scrupoli di coscienza? Non sono forse anche loro creature fragili, con dei vizi e corruttibili come tutte le altre? Non sono anche loro toccati dalla mala fede, dall’interesse materiale, dal piacere, dall’avere, dal voler vivere alle spalle degli altri, dall’egocentrismo, dal fanatismo, dalla megalomania, dall’infantilismo, dal dire menzogne, come tutti gli altri? È chiaro che loro ci credono, ma lo fanno per interesse, per el particulare loro, direbbe Guicciardini, in breve, per business.
Dal sagrestano al papa e da questi al sagrestano, tutti in uno e uno in tutti, vivono, mangiano, bevono e fanno baldoria grazie al business della Chiesa Cristocatto (vedere L’Indifferenza divina). Se questa crolla, finisce anche il loro business, quindi il loro banchetto, banchetto scroccato al popolo lavoratore, a quel popolo senza cui nulla nasce, cresce o fiorisce.
Per quello che riguarda, invece, i comuni mortali, la cosa funziona, grosso modo, così. L’uomo, al nocciolo, non è un credente, mai stato, è un affarista. Perché si va in Chiesa? Si va in Chiesa per diverse ragioni, of course, ma soprattutto per ottenere qualcosa in cambio, una vita eterna, per esempio. E chi desidera una vita eterna? Coloro che non ne hanno abbastanza di questa vita terrestre, coloro che hanno un fortissimo istinto di sopravvivenza. Chi sono costoro? Quelli dominati, non dalla ragione, ma dai sensi: gli egoisti. Allora tu capisci, tu capisci, lettore, che una credenza del genere non può essere sincera, gratuita, autentica, senza interesse. Il credente, in questo caso, crede per interesse. Non investe solo in banca e negli affari lui, investe anche su Dio. Si rivolge a Lui così:
Credente: Vuoi la mia anima?
Dio : Sì.
Credente: Quanto me la paghi?
Dio : Un milione di anni a fare il factotum in paradiso.
Credente: Troppo poco!
Il credente, in ultima analisi, non ne ha mai abbastanza. È chiaro però che, se uno crede perché dalla sua credenza vuole trarre profitto, vuole trarre il massimo profitto, allora questa non è credenza, è speculazione, è, appunto, un business. Quando si va al dunque della faccenda, è tutto calcolo, è tutto business, un business all’ultimo sangue. L’uomo non è un credente, è un affarista. Il ragionamento va così: io vengo in Chiesa affinché tu, Dio (almeno esistesse!), mi riservi un posto in paradiso, un posto eterno!
Non esiste, mai esistita una credenza autentica. La credenza dei credenti è un impasto di ipocrisia, inautenticità, falsità, ottusità, paura, conformismo, convenzione, bacchettoneria, egoismo, innocenza, confusione mentale e spirituale, ignoranza, ma soprattutto è: un business!
Vedere L’Indifferenza divina