L’arte di morire – post 3

Le due malattie

Quella biologica e quella culturale. La prima, la malattia biologica, vista in termini umani, ha un’esistenza corta, la durata massima d’una vita; la seconda, la malattia culturale, vista anch’essa in termini umani, ha un’esistenza lunghissima, millenni e millenni di storia. Ma la prima, la malattia biologica, ci chiediamo noi, è veramente una malattia? È giusto definire un fenomeno fisico, un fenomeno che si esprime secondo le leggi della natura, malato?

Non si può ragionare allo stesso modo per quello che riguarda la malattia culturale, che si può considerare una malattia vera e propria. Tutto ciò che è culturale è innaturale e l’innaturale non è naturale, è un aborto del naturale, un mostro o una malattia. Qualsiasi persona acculturata è una persona ammalata. Tra tutte le creature della terra, la malattia culturale ha colpito solo la specie homo, la cento novantaquattresima scimmia, come la chiama Desmond Morris ne “L’animale uomo”.

L’animale homo, dunque, ha un’infinità di patologie culturali. Alcune sono tollerabili, le si può accettare, come, ad esempio, la scienza, l’arte culinaria, l’amore, il lavoro; altre invece, come il nazionalismo, la tanta oggi osannata democrazia, le guerre, il globalismo, l’odio, la violenza, l’ingiustizia, la povertà, sono veri e propri cancri culturali.

E quindi? E quindi niente. Solo questo. Se ci riflettessimo un po’, e dovremmo, ci accorgeremmo in fretta che non è la morte biologica a preoccuparci tanto, quanto l’immensa falsa elaborazione mentale e culturale che ci siamo fatti di essa.

Tratto da Ha un senso la vita?

Nel prossimo post Il palcoscenico e l’attore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *