Orazio Guglielmini intervista Cisibibi, il presidente del Paese delle meraviglie
“Signor presidente, so che lei è sempre superoberato di impegni. Le farò solo qualche domanda. Sappia che sono un portavoce del Popolo e che cercherò di porle quel tipo di domande che il Popolo avrebbe voluto porle, se gli fosse stata offerta questa possibilità. Detto questo, possiamo iniziare”.
“Inizi, allora”.
“Se un poveretto le chiedesse l’elemosina per strada, gliela farebbe?”
“Altroché!”.
“E qual è, secondo lei, la differenza tra una persona che chiede l’elemosina e un lavoratore?”
“Tanta, direi”.
“Non sempre. Può darsi che la persona a cui lei ha fatto l’elemosina fosse un ex-lavoratore. Uno di quelli che si trova economicamente all’ultimo gradino della scala sociale”.
“Può darsi”.
“Anche lei pensa, signor presidente, però non lo dice, of course, che il tipo a cui avrebbe fatto l’elemosina, fosse stato un poveretto. Quest’ultimo aggettivo l’ho messo io in bocca a lei ma, in realtà, è così che la pensa, vero?”
“Touché”.
“È così che lei si esprime nei confronti di questi poveri diavoli che sgobbano da mattina a sera fino a quando hanno un lavoro; poi, quando non lo trovano più, scendono in strada e chiedono l’elemosina?”
“Aspetti, aspetti, il suo modo di fare domande è pieno di trabocchetti. Vuole rifarmi l’ultima?”
“Più avanti. A proposito, ha sentito di quel tipo che si è dato alle fiamme nel capoluogo partenopeo, perché non riusciva a trovare un lavoro e a portare da mangiare ai figli?”
“Orribile”.
“Proprio così, orribile. Signor presidente, mi sa dire chi ha mandato sul marciapiede il poveretto a cui lei ha fatto l’elemosina?”
“Ora è meglio che vada. Ho molti impegni, io”.
“Lo so, signor presidente, ma abbiamo appena incominciato”.
“Non me ne importa un accidente”.
“Queste però sono le domande che vuole farle il Popolo”.
“Non lo metto in dubbio”.
“E, in ogni modo, lei non può uscire dallo studio. È chiuso a chiave. Neppure le sue numerose teste di cuoio possono disturbarci”.
“Se mi ha fatto questo scherzo, la denuncio”.
“Lei fa un cattivo uso della legge, signor presidente, ma prescindiamo. Risponda alle mie domande”.
“Neppure per sogno. Non aprirò più bocca”.
“Non si preoccupi, lo farò io per lei. Sono abituato. Sa, lei manca di coerenza. Eppure, con tutti gli studi che ha fatto …”
“Lasci perdere i miei studi e mi lasci andare”.
“Sì, ma prima risponda alle mie domande”.
“Le sue domande sono insidiose e io non aprirò più bocca. Mi pare di averglielo detto”.
“Veda, la verità è che lei non dà l’elemosina a nessuno e ho paura che presto metterà una tassa anche su quelli che la chiedono, l’elemosina. No, lei non fa l’elemosina a nessuno, non aiuta nessuno, perché, quando è nel suo ufficio, escogita nuove e nuove e sempre nuove tasse e nuove leggi che impoveriscono ancora di più il Popolo. Devo dire che, se continua così, presto i cittadini del Paese delle meraviglie si troveranno tutti sul lastrico a chiedere l’elemosina, eccetto lei, signor presidente, e i suoi compari, of course!
“Continua a tacere? Si accomodi. Non ha importanza. Ma poi, con quale pretesa si appropria di tanti privilegi e di tanti onori? Cos’ha mai fatto per meritarseli? Vuole dirmi se c’è una sola cosa, una piccola piccola, nel Paese delle meraviglie, che funzioni? Non lo sa? Glielo dico io, non funziona proprio niente. Dalla sanità ai trasporti pubblici, dai tribunali alle pensioni, dall’urbanistica alle scuole, dagli acquedotti all’agricoltura, dalle banche allo sport, insomma dalla “a” alla “z”, fa tutto schifo, signor presidente Cisibibi, eccetto lei e i suoi compari, of course!
“Prosegue nel silenzio? Faccia come crede.
“Si è mai chiesto, presidente, perché non funziona niente? No, certo che no, questo tipo di domande lei non se le farà mai. E perché dovrebbe farsele, se a casa sua funziona tutto? Vuole però saperlo, vuole sapere perchè nel Paese delle meraviglie non funziona niente? Anche se non vuole, glielo dico lo stesso, signor presidente. Io, Orazio Guglielmini, sono nato per dire le cose per come stanno e non per come si vuole che si dicano, ha capito?
“Non funziona nulla, perché tutto ciò che lei dice è falso, tutto ciò che lei guarda appassisce, tutto ciò che lei tocca muore. Ovunque c’è lei, lì c’è il suo cancro, un cancro incurabile e non c’è medicina che lo curi. Ecco perché non funziona niente. Presidente Cisibibi, lei è un tumore sociale!”
A queste parole, Cisibibi si morde le labbra.
“È vero che ha perso la parola, però scatta quando dico certe cose. Bene, bene, vuol dire che ci capiamo anche se lei non parla.
“Sa che in prigione c’è gente innocente che aspetta il processo da anni? Sa che nel Palazzo dell’Eldorado, dove lei rumoreggia coi suoi compari, ci sono decine e decine di politiconi che sono stati condannati per crimini vari e, nonostante ciò, sono ancora lì? Sa che ci sono altri suoi camerati che sono sotto processo da anni ma che non hanno ancora assaggiato un solo giorno di prigione? Sa che è il Popolo che paga per i mega processi dei suoi degni compagni? Sa che ci sono centinaia di delitti irrisolti nel Paese delle meraviglie? Sa, sa, sa? E tutto questo a lei non dice niente? Le pare normale? Le pare roba dappoco? Giusto? Democratico?
“Il fatto è, signor presidente, che c’è qualcosa di marcio, di cancerogeno, di diabolico nel suo modo di fare. Vede, io sono, nel caso lei non l’avesse ancora capito, io sono un operaio della mente, mi ha capito? Il compito mio, come operaio della mente, è di entrare nel suo cervello e vedere in che stato di salute si trova. E devo dirle, ahimè, che il suo stato di salute è all’ultimo stadio!
“Non scatta più? Non si agita più? Continua a tacere? Faccia come crede, io continuo.
“Sa, per caso, a chi maggiormente danno la caccia gli animali da preda, signor Cisibibi?”
“Alle prede facili”.
“Evviva, le è tornata la parola!
“Proprio così, alle prede facili. Anche lei, come gli animali predatori, dà la caccia ai deboli. Approfitta degli ammalati, dei vecchi, dei mendicanti, degli handicappati, degli accattoni, degli indifesi, dei Rossi, dei dannati della terra e di tutti quelli senza cui nulla nasce, cresce o fiorisce, e lo fa a tavolino a sangue freddo. Lei, però, non è un animale da preda. Se lo fosse, se ne inorgoglirebbe. Lei è uno che si butta sulle carcasse, su quelli in fin di vita, su quelli che non sanno come difendersi. Lei è un vigliacco travestito da leone, ecco cos’è, signor presidente. Aggredisce i quasi spenti, ma se la fa sotto coi forti. Proprio così, forti coi deboli; deboli coi forti, ecco la sua politica. Nell’intimo lei è un vile!”
Di nuovo Cisibibi scatta.
“Stia calmo lì dov’è! Non faccia l’offeso. C’è un solo offeso in tutto questo, ed è il Popolo, il Popolo lavoratore, il Popolo che io rappresento. E, in ogni modo, non si aspetti da me un linguaggio civile. L’ho usato fino adesso, però ora basta!
“Tutto sei tu, Cisibibi, eccetto che civile. Il tuo modo di essere civile è falso; il tuo linguaggio cosiddetto “civile” è falso; il tuo modo di parlare al Popolo è falso. Tu sei la falsità incarnata. Mi disgusta sentire te e i tuoi compari darvi dell’ “onorevole”. Ma se non c’è neppure un’acca di “onorevole” in tutti voi, allora come vi permettete di fare uso di questo appellativo? Onorevole onorevole onorevole!, ma se siete i più disonorevoli e spregevoli individui della Terra!”
Queste ultime parole agitano Cisibibi, ma riesce a controllarsi. Continua a tacere.
“Hai capito ora dove arrivano il tuo cinismo sociale e la tua democrazia, Cisibibi? Il mondo in cui tu navighi innalza l’assassino, il delinquente, l’impostore, il ladro e annienta il lavoratore, l’onesto cittadino. Tu questo lo sai e a te va benissimo. È quello che vuoi. È così che è scritto nella tua mente. L’ho studiata a fondo, la conosco fin troppo bene, io, la tua mente. E quello che sta scritto nella tua mente, sta anche scritto nella mente di tutti quelli della tua risma.
“Perché, puoi chiedere, continuo a tirare in ballo i tuoi compari? È semplice. Perché in tutto quello che pretendete di fare per il Paese delle meraviglie, c’è disaccordo tra di voi, rissa continua, caos, incomprensione totale, eccetto, però, e prendi nota di questo, eccetto quando qualcuno della vostra risma viene messo in posizione orizzontale. Allora vi scatenate tutti, tutti senza eccezione, tutti all’unisono contro il responsabile, l’assassino!
“Su un’altra cosa vi trovate tutti d’accordo: quando vi aumentate la paga, la vostra favolosa paga! Queste sono le poche volte in cui vi trovate tutti in sintonia. Devo, però, dire che siete molto, ma molto discreti. Vi aumentate lo stipendio durante i periodi estivi, quando c’è poca gente in giro a seguire i vostri loschi affari, quando potete far passare più liberamente le leggi che più vi stanno a cuore, con il minimo di pubblicità e senza scomodare il Popolo con questo tipo di notizia, il Popolo ormai ridotto a mendicare.
“E così, quando desiderate sentirvi uno per tutti e tutti per uno e, dato che questo connubio del cuore lo trovate solo quando vi aumentate la busta paga, allora, per non privarvi di questo piacere, lo fate spesso, anzi, molto spesso.
“No, non vi contraddite mai, voialtri! Sempre fratelli di sangue lì dove la vostra pelle viene messa in pericolo; sempre fratelli di sangue dove si tratta di acchiappare beni e poteri!
“Allora tu capisci, Cisibibi, capisci che, quando ti dico che tutti i tuoi compari sono dei potenziali delinquenti, non sbaglio, anzi ragiono correttamente. Tutti quelli della tua risma, sotto sotto, agognano ad arrivare alla tua posizione e a fare esattamente, se non ancora peggio, quello che ora stai facendo tu. Sei una brutta canaglia, Cisibibi, voilà cosa sei. Nel tuo Palazzo dell’Eldorado c’è una sola scuola: quella che insegna come diventare ladri e assassini muniti di licenza legale!
“Scatti ora? Scatta quanto vuoi, ma è così!
“Io denuncio questo schifo. Nel nuovo dizionario etimologico Zanichelli, schifo, nel caso non lo sapessi, vuol dire senso di ripugnanza, di nausea, di disgusto, detto di persona che si comporta in modo contrario al pudore e alla decenza, proprio come fai tu, e tu fai schifo! Io denuncio questo potersi riempire le tasche apertamente e in modo ignobile col sudore dei lavoratori, col sudore dei Rossi, col sudore di quelli che lavorano per davvero.
“Il tuo non è un lavoro. Tu non hai mai lavorato. Non conosci neppure cosa vuol dire questa parola: “lavoro”. Tu gestisci un bene che non sei degno di gestire, un bene che non è tuo ed è per questo che ti comporti da brigante e da menefreghista.
“I Rossi, invece, non sono come te, i Rossi producono cose, cose indispensabili per la vita, cose di cui solo loro conoscono il prezzo. Tu non produci niente. Tu prendi tutto e, in cambio, butti la gente sul marciapiede a chiedere l’elemosina. Tu non sei né il primo né il secondo né nessun cittadino di questo paese: sei solo un volgare imbroglione, Cisibibi!
“Contorciti pure. Vuol dire che le mie parole vanno a segno. Strano però. Fai gesti e smorfie, ma non reagisci verbalmente e tanto meno fisicamente. Vigliacco!
“Per quello che mi riguarda, non dovresti guadagnare più di quello che guadagna l’ultimo operaio della Zirelli. Anzi, non dovresti guadagnare proprio nulla, assolutamente nulla. Inoltre, ti si dovrebbe sequestrare tutto ciò che hai, perché tutto ciò che hai appartiene ai lavoratori, al Popolo. Dovresti lavorare gratis e bene fino a quando non avrai tirato il Paese delle meraviglie fuori dal caos e dalla merda in cui, per causa tua, si trova. Devi risarcire i danni, Cisibibi: danni storici, danni economici, morali, etici, umani! Solo quando avrai rimesso il paese in sesto e gli avrai dato il nome e l’onore che merita, solo allora potrai reclamare un salario. Ma questo non avverrà mai. Non hai il cervello per farlo. Ecco la vera ragione di tutto questo sfacelo.
“Grazie a te, lo spirito del Paese delle meraviglie è infetto. Si nutre di menzogne, di corruzione, di crimini, di ingiustizie, di mancanza di valori sentiti. Non parliamo poi di etica e di morale! Queste non sa neppure cosa siano, nonostante tu e i tuoi compari vi riempiate sempre la bocca. Lo spirito di questo paese è una montagna di macerie. Le istituzioni non reggono più. Le istituzioni che avrebbero dovuto essere da esempio, sono le prime ad essere le più infangate, fradice, le più corrotte in assoluto. Non c’è più una sola zolla di questa terra che non trasudi abominio. Non c’è più scampo: lo spirito del Paese delle meraviglie è una cloaca. L’aria è ormai fetida, irrespirabile, e la chiacchiera di quelli come te, Cisibibi, un continuo stridio offensivo e insulso.
“Tu e tutta la tua ciurmaglia di impostori fate parte degli ultimi della Terra. Siete dei parassiti, delle canaglie parassitarie, di quelli che hanno bisogno di corpi in cui entrare per nutrirsi, a sbafo! Avete disastrato il cervello del Popolo. Siete incapaci, spreconi, frustrati e cattivi. Non siete quelli che costruiscono il paese, ma quelli che lo demoliscono. Per secoli e secoli avete inchiodato col martello scemenze di ogni genere nella testa del Popolo per poterlo meglio sfruttare, condizionare, derubare, rendere nullo. Ci siete riusciti. Bravo! Oggi il Popolo del Paese delle meraviglie sa solo andarsene in giro coi pantaloni abbassati di modo che, quando un sudicio della vostra risma lo incontra e ne ha voglia, possa trovare subito un buco bell’e pronto dove ficcarsi e soddisfare il suo osceno prurito!
“Io non accuso solo te, Cisibibi, accuso anche e più duramente quelli che si trovavano al tuo posto prima di te. Per essere onesto, però, uno come te chi se lo sarebbe mai aspettato? Hai rovinato tutto, figlio di puttana! Ci vorranno secoli prima che questo catorcio di paese ritorni di nuovo a galla, una volta che tu non ci sarai più. Tutto quello che hai fatto fino adesso, da quando hai messo il tuo culo sul cadreghino, è stato arricchirti e proteggere la tua pellaccia. Tu non ti distingui dai tuoi compari africani, Bokassa, Mobutu, Idi Amin Dada, né da tantissime altre canaglie. Sei incorreggibile! Non ho il minimo rispetto né per te né per quelli che ti hanno preceduto; per me vi meritereste tutti la forca, nessuno escluso”.
“Per quello che riguarda i tuoi compari esteri, è meglio non parlarne. Ah, i vostri meeting, i vostri Z otto: che paradiso! No, voi non vi incontrate per risolvere i problemi che stanno devastando il Pianeta, ma per rinforzare la vostra posizione di potere. Tutti lì, per mantenere il caos e l’ingiustizia, il resto è retorica”.
Cisibibi lo guarda, storce ancora una volta il muso, continua a tacere.
“Sai, presidente, e voglio proprio darti questa soddisfazione, per quanto la tua persona mi ripugni, a volte ti ammiro, e ti ammiro per quello che sei riuscito a fare in così breve tempo. Vorrei che tu rispondessi a questa domanda. Dimmi, come hai fatto, tu, figlio di puttana, come hai fatto, tu che non eri del mestiere, tu ch’eri un filibustiere d’alto mare, un pitbull degli affari, un tagliagola nell’arte del rubare, tu che avevi gli sbirri sempre alle calcagna, ad entrare nel covo dei parassiti d’alto rango e diventarne addirittura il presidente?”
“Ti facevo più intelligente.”
“Evviva! Ti è venuta la parola. Cos’hai detto?”
“Che ti facevo più intelligente.”
“Tu me?”
“Io te”.
“Cosa intendi dire?”
“Perché solo in un luogo di parassiti d’alto rango, come tu li chiami, c’è posto per uno come me”.
“Questo è vero. Non ci avevo pensato. Toglimi un’altra curiosità. Perché ti sei creato, a pagamento, of course, una banda di galeotti, buttafuori, reazionari, fascisti, rapinatori, traffichini, criminali, nazisti, voltagabbana, comunisti venduti, truffatori, logorroici professionali, impostori, fanatici buzzurri e volgaroni, insomma, la canaglieria della canaglieria e l’asineria dell’asineria, per governare il Paese delle meraviglie?”
“Perché gli altri, tutti gli altri, non sono meglio della mia équipe”.
“Che parolona: ‘équipe!’ ”.
“La mia lo è”.
“Certo, certo, ma prescindiamo. Dimmi, piuttosto, ora che ti sei ritagliato leggi e privilegi su misura e sei diventato il padrone assoluto del paese, cos’altro hai in mente di fare?”
“Tantissime cose”.
“Allora non ti basta quello che hai già fatto?”
“Bastarmi? Ma non ho neppure incominciato!”
“Ne vedremo delle belle?”
“Puoi contarci”.
“E se ti butteranno fuori presto?”
“Non lo faranno. Io rappresento il cuore e l’anima di questo paese”.
“Tu?”
“Sì, io”.
“A volte ce l’hai la parola”.
“Solo a volte”.
Ecco, Rossi, ti ho riportato per intero l’intervista che ho fatto ieri a Cisibibi, il presidente in carica del Paese delle meraviglie. Certo, era inevitabile qualche piccola difficoltà con le sue teste di cuoio quando l’ho lasciato andare, nulla, però, che sia degno di essere raccontato.
Voglio, invece, raccontarti il sogno che ho fatto ieri notte. Ho sognato che ero in un ampio salone. Reggevo nella mano sinistra una bottiglia di champagne e ogni tanto me la portavo alla bocca, bevevo; nell’altra mano avevo una mitragliatrice e di fronte a me dei brutti musi. Sparavo, Rossi, sparavo e sparavo e sparavo su quei brutti musi e bevevo e sparavo e sparavo e bevevo! Ah, che orgasmo, che orgasmo!
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