Schegge di pensiero
Blaise Pascal, ne “I pensieri”, si esprime così: “Ci si figuri un gran numero di uomini in catene, tutti condannati a morte, alcuni dei quali siano sgozzati ogni giorno sotto gli occhi degli altri, dimodoché i superstiti vedano la propria sorte in quella dei loro simili e aspettino il loro turno, guardandosi l’un l’altro con dolore e senza speranza. Tale l’immagine della condizione degli uomini”, p. 182.
Louis Althusser, citato nell’introduzione di “Jacques il fatalista” di Denis Diderot, scrive: “Pensavo allora, usando una metafora che vale quello che vale, che un filosofo idealista è come un uomo che sa in anticipo sia da dove parte il treno su cui monta, sia dove il treno va. Il materialista, al contrario, è un uomo che prende il treno in corsa (il corso del mondo, il corso della storia, il corso della vita), ma senza sapere da dove viene il treno, né dove va. Egli monta su un treno a caso, quello che gli capita, e vi scopre le installazioni fattuali del vagone e da quali compagni egli è fattualmente circondato, quali sono le conversazioni e le idee dei suoi compagni di viaggio e quale linguaggio determinato dal loro contesto sociale essi parlano,” p. 8.
Rüdiger Safranski, ne “Quanta globalizzazione possiamo sopportare?”, scrive: “La storia non è un viaggio nel corso del quale si potrebbe, come quando si usa il treno, perdere la coincidenza. La storia è sempre già arrivata, è in ogni attimo già alla meta. E quanto ai progetti e ai propositi a lungo termine, bisognerà tener sempre presente che le cose andranno comunque a finire diversamente da come le si pensa. Nel groviglio delle storie non esiste alcun progetto che arrivi a compimento senza modifiche. La storia è il risultato, da nessuno voluto proprio in quel modo, di innumerevoli singole intenzioni che si incrociano, si intrecciano, si accavallano e si sviano. Per questo c’è un solo modo di muoversi nella mischia dalle prospettive limitate, ed è un misto di causalità, di compromessi, di follia, intelligenza e abitudine. L’uomo, anziché fare la storia, è ingarbugliato in tante storie, vi reagisce e dalla sua reazione scaturiscono altre nuove storie. La storia è un intrico di storie e quindi notoriamente imprevedibile e imprescrutabile… Aprirsi qui e oggi una radura con un po’ di luce significa scoprire, nell’intrico delle storie, la propria storia, attenersi energicamente a essa e continuare a tesserne le fila nella consapevolezza che la propria storia finirà in ogni caso con l’ingarbugliarsi e alla fine perdersi nei meandri di tante altre”, pp. 142-3.
Emile Cioran, ne “Al culmine della disperazione”, scrive: “Non c’è nulla che giustifichi il fatto di vivere. Dopo essersi spinti al limite di se stessi si possono ancora invocare argomenti, cause, effetti, considerazioni morali, ecc.? Certamente no. Per vivere non restano allora che ragioni destituite di fondamento. Al culmine della disperazione, solo la passione dell’assurdo può rischiarare di una luce demoniaca il caos. Quando tutti gli ideali correnti – di ordine morale, estetico, religioso, sociale, ecc. – non sanno più imprimere alla vita una direzione né trovarvi una finalità, come salvarla ancora dal nulla? Vi si può riuscire solo aggrappandosi all’assurdo, all’inutilità assoluta, a qualcosa, cioè, che non ha alcuna consistenza, ma la cui finzione può creare un’illusione di vita”, p. 21.
Umberto Galimberti, nel suo libro “I vizi capitali e i nuovi vizi”, racconta: “Un giorno infatti, scrive Costantin Noica, anche gli dèi si sono ammalati. Dopo aver creato un mondo inferiore alle aspettative, alcuni di loro si sono ritirati diventando dèi accidiosi, altri invece si sono mescolati troppo nelle vicende umane mettendo definitivamente a rischio la loro natura divina, altri infine si sono dati troppe determinazioni diventando più simili ai mostri che agli dèi. Gli dèi sono malati.
“Anche il cielo è malato. Gli antichi credevano nell’incorruttibilità degli astri e delle sfere celesti, così come credevano nell’incorruttibilità divina. Ma il cannocchiale di Galileo venne a mostrare le imperfezioni della luna che i suoi contemporanei non volevano vedere. Oggi si è giunti a identificare delle malattie galattiche. Nel cosmo è nascosto un tarlo.
“Anche la luce è malata. Goethe credeva ancora nella sua perfezione, e perciò protestava con Newton che la considerava una mescolanza di sette colori e quindi impura. Poi la luce venne misurata nella sua velocità di trasmissione e si scoprì che è fessurata internamente, essendo insieme corpuscolo e onda. Troppe malattie in un semplice raggio di luce.
“Anche il tempo è malato. Il tempo assoluto, omogeneo, uniforme s’è rivelato meno maestoso dal momento che è divenuto semplice tempo locale, tempo solidale con lo spazio che a sua volta si è ridotto a semplice coesistenza delle cose, talvolta a realtà regionale con limiti e confini.
“Anche la vita è malata con le approssimazioni e le incertezze segnalate dalla biologia contemporanea, per la quale la vita è una specie di tumefazione incidentale della materia, un caso trasformato in necessità.
“Malato è anche il logos spezzato in lingue nazionali, se non addirittura regionali, quando dovrebbe portare con sé, come dice il suo nome, l’unità della ragione. Ma se tutte le grandi entità sono malate e se la cultura viene a mostrare le loro malattie come costituzionali, come non parlare della malattia dell’uomo che a ogni passaggio di stagione attende qualcosa di nuovo, come Samuel Beckett ben descrive nei personaggi di Aspettando Godot?
“E che cosa aspettiamo noi occidentali: il senso della terra, il senso della nostra vita? E dove soprattutto lo cerchiamo questo senso: nel progresso, nella crescita, nelle novità di ogni giorno, nella loro polverizzazione che affoga in quella libertà perfetta di poter fare ogni cosa senza sapere che cosa esattamente si deve fare?” p. 27-28.
Vedere Ha un senso la vita?