Lo Stato predatore (1)
Posted in Il Testamento, Lo Stato predatore, Politica By Francis Sgambelluri On Aprile 27, 2012I. L’imperativo c’è, ma non si vede 1
Supponiamo che tu, Rossi, entrando in un bar, dica al barman:
“Mi faccia un caffè, per favore”.
Supponiamo, adesso, che il barman, che ha sentito benissimo il tuo ordine, ti ignori. Allora tu ripeti:
“Mi farebbe un caffè, per piacere?”
Ti ignora ancora. Educatamente glielo chiedi di nuovo e di nuovo, utilizzando tutte le formule di cortesia della lingua che conosci. Lui, però, continua ad ignorarti, a fingere di non sentire. A questo punto il messaggio è chiaro: non vuole farti il caffè. Cosa fai? Vai a prendertelo in un altro bar? Bada, però, che potrebbe succederti la stessa cosa. Non ti resta, allora, che andartene o farti valere. Se decidi per quest’ultima soluzione, non usi più paroline educate, ma:
“Senti, piccolo mio, fammi un caffè o ti spacco il muso!”
Un altro esempio. Il tuo padrone ti dice:
“Rossi, sia gentile, pulisca il capannone C per oggi”.
Tu non lo pulisce. Il giorno dopo ti farà la stessa richiesta, se te la farà e, anche questa volta, tu non lo pulirai. Cosa succederà, allora? Ti sentirai dire:
“Rossi, pulisci il capannone C o ti licenzio all’istante!”
Ancora un esempio. Stai discutendo con tua moglie. Ad un certo punto lei dice:
“Te l’avevo detto”.
Cosa vuol dire questo suo Te l’avevo detto? Vuol dire che ti aveva già avvertito di come sarebbero andate a finire le cose riguardo alla “faccenda” di cui stavate discutendo. Avresti dovuto comportarti diversamente da come ti sei comportato, ma non l’hai fatto, non l’hai ascoltata. È colpa tua se le cose siano andate come sono andate.
In breve, tua moglie, con quel Te l’avevo detto, sta proclamando la sua supremazia intellettuale nei tuoi confronti.
Tutto, amico mio, quando si va al nocciolo della questione, non avviene al presente indicativo, al condizionale, in forma cortese, ma all’imperativo. E non solo. Ognuno, consciamente o inconsciamente, cerca sempre di prevalere intellettualmente sull’altro o sugli altri. È questa la base del “vivere insieme” degli esseri umani.
Da tabula rasa alle idee
Agli albori non era così. In quei tempi, la Natura e la Specie erano tutt’uno. Formavano un solo blocco. L’imperativo c’era, naturalmente, ma non si vedeva, non saltava agli occhi come salta oggi. Non parliamo poi dell’intelletto. Questo, in quei tempi, non esisteva affatto. Homo habilis era all’oscuro di tutto, una tabula rasa, culturalmente parlando. La sua testa, anche se biologicamente conteneva già tutto un corredo di potenzialità culturali che avrebbe sviluppato poi lungo la sua evoluzione, in quel periodo, però, utilizzava solo un repertorio di bisogni naturali, come una qualsiasi altra bestia. Per soddisfarli seguiva uno schema istintivo.
Un giorno, così, per caso, si era messo ad appuntire un bastone, poi un altro e un altro ancora e, a forza di farlo, gli era venuta l’idea di appuntire bastoni. Nacque così la nozione di appuntire bastoni, di scheggiare pietre, di fare arnesi. Voilà, Rossi, spuntare l’idea, che poi diventa concetto, sistema, simbolo, anche se homo habilis, ovviamente, questo non lo sapeva.
Le idee oggi possono essere cercate, desiderate, agognate, spremute dalla testa a forza di volontà, ma al loro inizio, nascevano a caso. In quel favoloso periodo della nostra evoluzione, tutto vedeva la luce a caso.
Da dove è venuta fuori, ad esempio, l’idea di cercare grotte, di costruire capanne; l’idea dell’agricoltura, dell’addomesticamento degli animali, dei numeri, della scrittura? Come avvenne la scoperta del fuoco? Sicuramente non con un’azione premeditata, ponderata; tanto meno possiamo parlare di scoperta, di invenzione, possiamo solo parlare di scoperte o di invenzioni inconsce, nate per caso.
Cerchiamo di capire meglio.
Il quadrupede che si trasforma in bipede
I biologi dicono che il numero dei cromosomi dello scimpanzé e dell’uomo varia di poco: gli scimpanzé ne hanno 48, gli umani 46. 15 cromosomi su 23 sono strutturalmente identici nelle due specie, sono i cosiddetti paleocromosomi rimasti invariati dall’epoca del nostro antenato comune, la scimmia.
Il frequente riscontro nell’uomo di alcuni caratteri atavici scimmieschi – posizione eretta, alluce e pollice, irsutismo, determinate pieghe palmari, il cosiddetto tubercolo di Darwin nel padiglione dell’orecchio, il coccige visibile alla nascita in alcuni bambini, il dna e le sue mutazioni – costituisce una prova irrefutabile del ruolo giocato dai rimescolamenti cromosomici nel corso dell’evoluzione.
Nel periodo preanimistico il comportamento dei primati è pressoché animale. Tutto li condiziona ad una vita terrena, naturale, priva di sapori culturali. L’unica differenza con le altre specie è, per quanto rozza, un barlume di intelligenza, di furbizia, l’inizio d’un pensiero nascente.
I primati, via via, incominciano a distinguersi dalle altre specie. Diventano sempre più coscienti della loro identità, del loro fare, delle perdite che subiscono, della loro vulnerabilità e impotenza nei confronti di altri animali: i predatori.
Questi – leoni, giaguari, puma, ghepardi, pantere, iene, orsi, tigre dai denti a sciabola -, quando hanno fame, vanno a prendersi un primate e se lo mangiano lì sotto gli occhi del gruppo, della sua stirpe. Di fronte ai carnivori i primati sono impotenti.
Si sviluppa in loro il senso della paura: hanno paura di essere uccisi, di essere mangiati vivi, paura di non trovare cibo. La paura stravolge la loro vita. Hanno paura di tutto, anche della loro stessa ombra. Qualsiasi cosa si muova li spaventa, li terrorizza. La loro vita è uno schianto dopo l’altro.
La paura è uno degli agenti principali che porta al pensiero. È come la fame, il concepimento, ce l’hanno tutti gli animali. Anche i leoni hanno paura quando incontrano predatori o altre bestie più forti di loro; anche il tirannosauro ha paura quando incontra un triceratopo, perché non sa se uscirà vincitore dal combattimento. La paura affina l’istinto di sopravvivenza, sviluppa l’astuzia, la riflessione, porta a pensare al modo migliore di affrontare i nemici, i problemi.
Il buio, la paura e il mistero che avvolge la vita sprigionano e acuiscono il pensiero dei primati. Un animale che non pensa, agisce d’istinto; chi pensa, oltre all’istinto, ha anche in mente, intravede l’esito dell’azione che sta per compiere.
Continua la marcia dei primati verso la barbarie culturale. Prendono sempre maggior coscienza del loro essere nel mondo. Un compagno che cade per terra e non si alza più, muore, diventa un grande problema. Lo si scuote, gli si gira attorno, si aspetta che si muova, si svegli, si alzi e cammini di nuovo. Niente, rimane lì dov’è, immobile come un sasso. Come si può, così, da un momento all’altro, non borbottare più, non muoversi più, non camminare più?
I primati scoprono la morte. Scoprono la vecchiaia, la debolezza, la precarietà, i problemi della vita. Questa scoperta li terrorizza, li fa riflettere ancora di più.
La morte è invisibile, è prepotente, colpisce quando vuole, se li prende uno dopo l’altro senza preavviso, senza lotta. Coi predatori, non sempre, ma a volte, c’è lotta, si battono, possono anche vincere, ma con la morte, l’invisibile temibile nemica, non c’è nulla da fare: quando arriva è la fine.
Spuntano le prime comunicazioni che avvengono per mezzo della mimica. I nostri antenati imitano tutto: le altre specie, il vento, il tuono, i vulcani, la pioggia, il terremoto, le stagioni. Imitare per mezzo di gesti, di grugniti, di rumori è trasmettere messaggi.
Gradualmente il distacco fra loro e gli altri animali si fa più evidente. Si armano di bastoni, di pietre appuntite, si difendono in gruppo contro i predatori, si aiutano a vicenda, si organizzano per la caccia. È il periodo dei nomadi, dei cacciatori-raccoglitori. Il mondo comincia ad assumere una fisionomia bipede.
Coi grugniti, i gesti, i rumori, le parole rozze, diviene possibile evocare ciò che non è presente: Caio e Sempronio, il serpente, il tuono, l’acqua, gli altri animali. L’uomo primitivo inizia, rozzamente, certo, ma inizia a raccontarsi.
La lingua si trasforma in parola, diviene più chiara. Arriva così il nome, il verbo, nasce la descrizione, la menzogna. Si possono descrivere cose vere, ma anche inventare personaggi, raccontare storie, mentire parlando di cose inesistenti, immaginarie. Il primitivo, con la parola, si sdoppia, diventa un realista, un affabulatore, un mitomane.
Arrivano gli sgorbi, i ghirigori, gli scarabocchi, i disegni sulle rocce, sui palchi, sulla sabbia. Trasferire un’idea della mente su un altro oggetto è un grande passo in avanti verso la “barbarie culturale” 2. Divengono più corrette le descrizioni di animali, di fenomeni naturali. Si consolidano la doppiezza mentale, lo sdoppiamento, il pensiero si dirama, si frantuma, si consolida.
Arrivano i primi tuguri, le prime capanne, le prime dimore fisse, quindi le prime agglomerazioni, la sedentarietà, l’addomesticamento degli animali, l’inizio dell’agricoltura, della proprietà.
Arriva anche la domanda delle domande: “Chi sono?” Domanda infernale e senza risposta.
Appare il capo, il più forte, quello che vuole tutto per sé: femmine, cibo, caverne, utensili.
Appaiono lo stregone, il mago, lo sciamano, il sacerdote. Questi iniziano a stravolgere la realtà. Fanno gesti strani, urlano, comunicano col vento, con cose inesistenti. Hanno una risposta a tutte le domande. Parlano di forze invisibili. Le cose non stanno più come stanno, la natura non è più la natura.
Nascono altre domande: “Da dove vengo? dove vado? chi ha creato il mondo?” Queste e altre domande ancora finiscono per diventare un’ossessione per i nostri antenati.
Si formano le prime tribù, comunità, popolazioni stabili.
Capi e stregoni iniziano ad imporre la loro autorità sui loro simili. Nasce tra questi maghi primitivi l’idea di presentarsi come intermediari tra gli spiriti (le forze del bene e le forze del male) e gli altri loro simili.
Nasce anche l’idea che si può abusare dell’innocenza degli ingenui, dei sempliciotti, farli andare a caccia, lavorare, cucinare, pulire, diventare servi. La pace e l’uguaglianza primeva sono finite tra la specie homo.
Si inventano i faraoni, i re, le regine. Arrivano gli dèi: Osiride, Zeus, Brahma, El, l’antenato di Yahweh. Gli stregoni, quando non si dichiarano loro stessi re, fanno da tramite tra gli dèi, i re e i creduloni.
Arriva l’antropocentrismo, l’attribuzione di forme fisiche e sentimenti umani a figure reali e irreali. E non solo. Vuol dire anche tutto nel mondo è stato creato per servire l’uomo. Questi diventa il centro dell’Universo.
Iniziano le rivalità. La classe dei forti, dei furbi, dei re, quando non combatte contro gli stregoni, cioè la classe dei visionari, si divide il potere, le razzie e si spartisce i compiti con altri forti, furbi, re. Nasce così il riconoscimento delle altre potenze. Queste, quando non si combattono fra di loro, si ignorano o si aiutano a vicenda.
Di più. I capibanda, i capitribù, i re, gli imperatori, insieme ai sacerdoti, agli stregoni, ai maghi, agli sciamani, si dichiarano tutti divini, dicono di avere relazioni col soprannaturale, con quello che si crede che ci sia, ma non si vede.
Si irrobustisce il concetto della morte, dell’anima, dello spirito, del re, dell’imperatore, del mago. Lo spirito, dopo la morte, va in un altro mondo. Ci si inventa l’oltretomba, l’Ade, gli inferi, l’Acheronte, la Geenna, l’aldilà, si costruiscono le piramidi, si imbalsamano le mummie, si elevano luoghi di culto. Siamo al panpsichismo: l’anima e lo spirito sono in tutto.
Si rinforzano i miti, le leggende, le fiabe, le cerimonie, i movimenti di iniziazione, nascono le religioni, le istituzioni, le leggi. Le gerarchie si rinforzano. Si inizia a costruire templi agli dèi, si inizia ad adorarli, venerarli. I custodi dei templi sono gli stregoni, i sacerdoti. Inizia l’indottrinamento religioso, monarchico.
Nasce il razzismo. “La mia credenza è vera, la tua è falsa”. Nascono il sacrificio, la colpa, la punizione, la vittima, il rito, il culto, le cerimonie, l’ubbidienza cieca, il peccato. Il re, l’imperatore, il mago diventano divini, figli del Sole, figli degli dèi, di Dio.
Aumentano i morti di fame, gli schiavi, gli sfruttati, i sudditi, i sottoposti; si formano degli ordini sociali forti; i malcontenti, i ribelli, i banditi non mancano. Incomincia il baratto, lo scambio: io do una mano a te e tu dai una mano a me.
Si formano gli eserciti, gli imperi, i palazzi, i ricchi, le classi dominanti. I teocratici sono i favoriti degli dèi, gli aristocratici si trasmettono potere e ricchezze per diritto di nascita, gli schiavi sono schiavi per natura. La barbarie culturale, a questo punto della nostra storia, è in pieno rigoglio.
L’intelligenza machiavellica
Geoffrey Miller nel suo libro “Uomini, donne e code di pavone”, scrive: “Secondo la teoria dell’intelligenza machiavellica, la nostra mente si è evoluta per mentire, ingannare, rubare l’un l’altro e i più astuti tra questi psicopatici diventarono i nostri antenati che cercarono cibo, territorio e partner sessuali di animo gentile ed educato. La teoria dello stato di guerra permanente sostenuta da Richard Alexander e dal suo gruppo ipotizza che le nostre menti si siano evolute attraverso la violenza genocida, dove i nostri antenati con grandi cervelli sterminarono i competitori con cervelli più piccoli”, pp. 143-4.
All’intelligenza machiavellica bisogna aggiungere l’intelligenza predatoria e manipolatoria che gli esseri umani hanno sviluppato lungo la storia. Infatti, in qualsiasi periodo storico, troviamo che sono sempre la malvagità e la barbarie ad avere la meglio. Insomma, cambia la forma, Rossi, non il contenuto. Questo è dominato dall’egoismo e dall’inumanità.
Il mondo dei simboli
Oggi, l’idea, l’idea primordiale dei nostri antenati, Rossi, si è sviluppata, arricchita, culturalizzata, trasformata in un milione di altre grandi e piccole idee, simboli. Questi, i simboli, per l’uomo di oggigiorno, sono segni importanti, segni da decifrare e capire. Cerchiamo di farci spiegare alcuni di essi da tre pensatori. Iniziamo con quello astratto.
Il simbolo astratto. Scrive Desmond Morris ne “L’animale uomo”: “La capacità di lasciare che una cosa ne significhi un’altra (l’equazione simbolica) si è dimostrata una delle nostre maggiori qualità … Questo uso dell’equazione simbolica è la base di tutti i nostri giochi, del nostro raccontar favole, di tutto il teatro e il cinema, di tutte le invenzioni narrative, di tutta la fantasia, la mitologia e le leggende e di tutta l’arte pittorica. Se non siamo in grado di fare quel salto dal reale a ciò che sembra reale, e, solo per un po’, di reagire come se fossero un’unica cosa, allora l’arte ha perso una delle sue funzioni principali”, p. 191.
Il simbolo concreto. Scrive Ida Magli nel saggio “Per una rivoluzione italiana” scritto insieme a Giordano Bruno Guerri: “È inutile fare finta che esista ‘solo’ lo Stato del Vaticano: il pezzettino di territorio che l’unità d’Italia ha lasciato alla Chiesa non rappresenta e non può rappresentare ‘il corpo’, perché non esistono gli Stati simbolici: lo Stato del Vaticano è l’Italia, perché la Chiesa Cattolica considera l’Italia come suo corpo. Una delle invenzioni concettuali che hanno inciso più drammaticamente nella nostra storia è il simbolismo, l’idea della rappresentanza. Il simbolismo ti inganna, ti gioca, perché è – diventa – sempre concreto. Quando si dice che il Vaticano è extraterritoriale si dice il falso, totalmente”, p. 36 .
Il simbolo in azione. Scrive Ralf Ludwig nella sua “Critica della ragion pura, guida e commento”. “Si prenda per esempio un ideale che è tuttora considerato valido: l’ideale dell’umanità incarnato da una persona come Albert Schweizer, il medico che lavorò nella foresta tropicale intorno a Lambaréné. Questo ideale esiste soltanto nei pensieri; se fosse stato ripreso con una telecamera, l’impegno di Albert Schweizer per l’umanità, durante la proiezione del filmato (si vedrebbe che) i sensi percepirebbero soltanto i movimenti della mano durante un intervento chirurgico, i passi di Schweizer verso il letto di un ammalato, ecc., ma non (si vedrebbe) l’umanità stessa”, p. 126.
Homo habilis, Rossi, come vedi, si è trasformato in homo idea, homo imperativo, homo simbolico. Ai nostri giorni il mondo di homo habilis è irriconoscibile. È diventato una giungla, una giungla di simboli, di nomi, di segni, di concetti, di idee. La barbarie culturale si è creata, gradualmente, una foresta di simboli astratti, concreti, oscuri, misteriosi per nascondere, occultare, dove e quando è necessario, il suo vero volto, la sua vera natura criminale.
Corpo-idea
Un’idea, per vivere, ha bisogno di un corpo, ha bisogno di un essere in cui alloggiare e mangiare. Il processo è il seguente: prima si crea il corpo (la natura), poi il corpo crea l’idea (l’uomo), in seguito la cultura crea il concetto (il sistema) e questo, a sua volta, per poter esistere, ha bisogno di un corpo dove sistemarsi. Un concetto che non si concretizza, che concetto sarebbe? Un’idea che non si realizza, che idea sarebbe? Le idee, dunque, per restare in vita, hanno bisogno di qualcuno che le mantenga e, mantenendole, le concretizzi, dia loro vita.
Usualmente non è chi escogita le idee a tenerle in vita. Questi, l’ideatore, ha ribaltato il processo iniziale: l’idea non gli arriva più in testa per caso come succedeva agli albori di homo, ma, come abbiamo detto sopra, per un atto di volontà. Detto banalmente, se le crea, se le costruisce e fa in modo che corrispondano alla sua visione della vita e non a quella altrui.
Chi, allora, mantiene le idee in vita? È ovvio chi, Rossi: coloro che non hanno idee. Tu, ad esempio, che di idee tue non ne hai mai avute. Non ne hai mai avute, però, non perché non avresti potuto averle, ma perché, lungo la nostra evoluzione, qualcuno, prima inconsciamente e poi consciamente, ti ha impedito di averle. Sei tu, quindi, che dai vita alle idee altrui, tu che le ospiterai, prima nella tua testa (condizionamento culturale), poi nel tuo corpo (condizionamento fisico) e infine in un sistema sociale (condizionamento istituzionale). È questo, Rossi, il condizionamento istituzionale, che decide il tuo condizionamento fisico e mentale.
Cerchiamo di capire meglio. Dall’idea si sviluppa il sistema. Questo può essere monarchico, religioso, comunista, fascista, liberale o quello che vuoi. Un sistema, per tenersi in piedi, ha bisogno di qualcuno che creda in esso, che sostenga la sua politica. Ora, coloro che ci credono, incluso l’ideatore o gli ideatori, sono anche coloro che lo mantengono in vita con il loro operare.
Questo “operare”, a sua volta, si trasforma in una gerarchia di ruoli e, tra il più alto e il più basso, c’è un abisso. Perciò, nel sistema, ci sono quelli che subiscono l’idea: il popolo, e quelli che ne traggono vantaggio: i furbi.
Le regole del sistema, una volta stabilite, non si discutono più. Certo, si possono mettere in discussione, ma a proprio rischio e pericolo. L’idea, che è il fulcro del sistema, sostenuta da pochi individui, i furbi, ha trovato il modo di nutrirsi nel corpo del popolo, che deve lavorare per mantenerla.
Le idee, Rossi, ed è bene che tu lo sappia, che te lo metta in testa, hanno fame, mangiano, e anche tanto!
Prendiamo, come esempio, il fascismo. Se Mussolini non avesse trovato corpi in grado di nutrire le sue idee, il suo partito non avrebbe potuto realizzarsi, ma trovando un terreno fertile, cioè gente che abboccava ciecamente alle sue idee, eccolo crescere, realizzarsi, prosperare. In questo modo, le sue idee, anche se criminali e antidemocratiche (cosa ci può essere di democratico in qualcuno che ti dice che devi credere, ubbidire, combattere?), avevano trovato nel corpo del popolo un ottimo alloggio.
Un’idea, dunque, via via che si sviluppa, porta, inevitabilmente, al concetto. Questo altro non è che il travaso dal reale all’irreale e dall’irreale al reale ossia l’equazione simbolica di Desmond Morris, cioè la capacità di lasciare che una cosa ne significhi un’altra.
Se ci riesco, Rossi, proverò a spiegarti meglio questa benedetta equazione simbolica di Morris. Ad esempio, prendiamo una pietra. Questa si trova sul terreno, è reale, giusto? Bene. Se, però, è dipinta su una tela, non è più reale, giusto? È la trasposizione simbolica che ce la fa apparire reale, ma in realtà non è reale. Se la tocchi sulla tela, non tocchi una pietra, ma tocchi un pezzo di tessuto imbrattato di pittura a olio o quel che sia. Perciò, l’idea pietra, all’inizio reale, si trasforma in irreale sulla tela e, a questo punto, bisogna fare un salto immaginativo per riportarla di nuovo sul reale: lì per terra dov’era prima di essere dipinta. Chiaro adesso? Molto bene.
Quindi, prima che il concetto, dal reale all’irreale e da questo di nuovo al reale, si realizzasse in modo chiaro e articolato, sono trascorsi due milioni e mezzo di anni, sempre ammettendo che homo habilis abbia iniziato l’avventura culturale due milioni e mezzo di anni fa.
Voglio farti ancora un esempio, perché intuisco che quelli che ti ho fornito fino ad ora non sono tanto semplici. Voilà. Io, Orazio Guglielmini, ho bisogno del tuo corpo-cervello a cui indirizzare questa Lettera quando l’avrò finita, okay? Senza di te, Rossi, essa non avrà vita. Sei tu che le darai vita, tu che ospiterai il suo contenuto, prima nella tua testa e, poi, nel tuo corpo. Questo, a sua volta, potrebbe diventare una macchina d’azione, vale a dire un qualcosa che metterà in opera l’idea ricevuta. Chiaro?
Un concetto, dunque, ha sempre bisogno di un corpo per esistere, proprio come gli animali hanno bisogno della Terra su cui evolversi e svilupparsi.
Nel mondo, più idee ci sono, più corpi ci vogliono per ospitarle, mantenerle. Un’idea che non trova un corpo per ospitarla, ossia una testa che non creda in essa, è un’idea morta.
Tu, Rossi, non avendo mai avuto idee tue, e sappiamo il perché, hai sempre fatto da recipiente alle idee altrui. Detto brutalmente, tu sei uno dei corpi in cui le idee degli altri si nutrono, germogliano, vivono, fanno baldoria, festeggiano. Sei tu il loro sostentamento, il loro lusso!
Le idee parassitarie
Le idee, anche se agli albori non era così, oggi sono diventate parassiti e, per sopravvivere e continuare ad esistere, hanno bisogno di corpi che le mantengano. Quando, ad esempio, un politico canta, balla e gozzoviglia, lo fa nel corpo dell’elettorato che l’ha messo sul cadreghino. È l’elettorato, col suo corpo, che fornisce il luogo e il cibo a questo signore.
Anche L’Indifferenza divina, l’abbiamo visto, ha bisogno di corpi per sopravvivere e più ne ha, meglio è. Se non trova gente che crede alla sua favola, è spacciata. Se nessuno va più in Chiesa, la Chiesa è finita, resta solo un edificio vuoto e abbandonato. Il prete potrebbe dire la messa a se stesso, ma, anche se lo facesse, dopo un po’ si stuferebbe. E poi chi lo nutrirebbe? Ha bisogno di corpi che ricevano le sue idee religiose, di corpi che lavorino per tenerlo in vita.
Lo stesso discorso vale per le idee dei politici. Se nessuno crede alle loro idee, se la gente si è vaccinata contro le loro promesse mai mantenute, nessuno li vota più e son belli e finiti. Per sopravvivere devono inventarsi qualcos’altro. Tu capisci, allora, Rossi, perché il politico non vuole mai lasciare il suo posto di politico. Da quando entra in politica, lui trova un corpo bell’e pronto dove ficcarsi, quello dell’elettorato, un elettorato che lo nutre e lo arricchisce.
Per chiarirti di più le idee ti aggiungo che non appena il demagogo entra in politica, si ficca, ovviamente, nel corpo dell’elettorato. Una volta lì, cerca di penetrarlo quanto più profondamente può con la sua retorica, le sue sofisticherie, i suoi ideali, le sue promesse, le sue astuzie: da questo momento in poi, l’elettorato deve ospitarlo, nutrirlo, dare tutto a lui, alla sua famiglia, al suo partito. Se lo si butta fuori dalla politica, lo si butta fuori dal corpo dell’elettorato, dal corpo dei votanti, perde l’oggetto che lo ospita e lo nutre: per lui non c’è più via di scampo, deve fare altro.
Comunque, a prima vista, potrebbe apparire che ci sia differenza tra le idee politiche e le idee religiose. In realtà non è così. Le prime, le idee politiche, sono portatrici di realtà, questo sì, una realtà obbrobriosa, vero, ma pur sempre una realtà, la realtà sociale. Le seconde, le idee religiose, sono portatrici di un contenuto inesistente, un puro e semplice prodotto della fantasia. Anche questo è vero. Ebbene, nonostante questa apparente diversità fra loro, in realtà sono la stessa e medesima cosa. “Esse (la politica e la religione) si capiscono al volo, come una coppia di tagliaborse. La religione sostiene il governo politico, non importa quanto corrotto sia; il governo politico sostiene la religione, non importa quanto sciocca e inutile possa essere”, Jean Meslier, citato da Jean Préposiet in “Storia dell’anarchismo”, p. 31.
Perciò, bisogna fare attenzione, Rossi, molta attenzione, perché chi vede qualche differenza tra religione e politica, non ha capito proprio nulla né della religione né della politica. Le idee, le idee politiche e religiose, sono, nell’anima, parassitarie: si nutrono del sudore altrui.
Corpi che nutrono idee, idee che si nutrono di corpi
Anch’io, ovviamente, ho delle idee, ma diverse da quelle dei politici e da quelle dei preti. Le mie idee, Rossi, le metto nella Lettera che ti sto scrivendo e te le invio. Quando tu riceverai questa Lettera, starà a te leggerla o no. La mia Lettera ti lascia libertà di scelta. Non posso importi di leggerla. Puoi anche buttarla, senza neppure aprirla, nel cassonetto dell’immondizia.
Non è la stessa cosa con le idee del politico e del prete. Le loro idee non possono essere buttate nel cassonetto dell’immondizia, tanto meno appese a una parete come i quadri o messe su uno scaffale come i libri: le loro idee devono avere dei corpi per sostenersi.
Certo, anche un politico può mettere le sue idee in un libro e poi portarlo in libreria e così il prete; rimane il fatto, però, che entrambi appartengono a due ideologie che, per esistere e sostenersi, hanno bisogno di corpi, di gente che li mantenga.
Non è il caso dello scrittore o del pittore. Né l’uno né l’altro costringono qualcuno a vedere o a comprare il loro lavoro. La gente può andare a vederne i quadri o comprarne i libri, ma sempre di sua volontà, di sua scelta.
Non funziona così coi politici e coi preti. Le loro idee si trasformano in realtà concreta. Puoi discutere il concetto della Trinità coi preti? No! Puoi discutere il concetto di fascismo con un fascista? No! Questi signori, le loro idee, ti piacciano o no, te le impongono con i riti, con la legge, con le tasse, con ogni tipo di propaganda, di prepotenza e, infine, se necessario, con il terrore e la forza. Tu non paghi alcuna tassa per il pittore né per lo scrittore. Invece, per il prete e per il politico, la paghi eccome!
Il corpo, dunque, è un ospite, un albergo dove le idee, i concetti, i simboli, le leggi, in breve, il mondo parassitario, trova alloggio e sostegno.
Gli animali, non avendo idee, non danno albergo, ma fungono comunque da albergo per gli umani senza saperlo. Come? È semplice come: l’uomo li usa e si nutre di loro.
Non è così per gli esseri umani: questi ne sono consapevoli. Per ospitare e nutrire le idee, ci vogliono alberghi costituiti di materia umana, cioè di corpi umani. Tutte le nostre credenze, per sopravvivere, hanno bisogno di corpi che le ospitino. “Lo Stato del Vaticano è l’Italia, perché la Chiesa Cattolica considera l’Italia come suo corpo”, tanto per riportarti di nuovo il passo di Ida Magli sopra citato.
La Chiesa si è nutrita del corpo degli italiani da quando Costantino l’ha riconosciuta come l’istituzione religiosa ufficiale dell’impero romano, e così ha fatto anche lo Stato predatore. Da sempre, queste due istituzioni, spalleggiandosi, vivono e fanno baldoria nel corpo del popolo.
Sia chiaro, Rossi, non sto cercando di dire che le idee sono tutte negative. Affatto. La nostra società, dopotutto, senza le idee, non sarebbe mai esistita, almeno non come la conosciamo. Il problema è un altro. Il problema è che raramente le “idee” che uno s’inventa vengono usate per il bene comune, per il bene di tutti. Il più delle volte, si escogitano idee per imbrogliare gli altri, per realizzare le proprie ambizioni di ricchezza e di potere.
1 Si avverte il lettore che esiste una “Premessa”, una “Introduzione” e un “Prologo” de “Il Testamento di Orazio Guglielmini” nel primo libro “L’Indifferenza divina”, già pubblicato. Non si è ritenuto il caso di ripeterli in ogni libro.
2 Te lo dico, Rossi, sin dall’inizio di questo racconto su Lo Stato predatore, che per me noi non viviamo in un mondo democratico come alcuni ben pensanti vogliono farci credere, ma viviamo, appunto, in una barbarie culturale, una barbarie illuminata, se vuoi, ma pur sempre una barbarie.