Il Paese delle meraviglie (3)

3. Come i meravigliosi sono diventati meravigliosi

Se pensi, Rossi, se pensi che all’inizio della nostra storia, era lei, lei, la Chiesa, a governare, a fare e disfare, a dettare leggi su tutto ciò che riguardava la politica del Bel Paese. Era lei che si era appropriata sia del “potere temporale” che del “potere spirituale”. La Chiesa usava il credo religioso con quelli cui bastava il credo religioso e la spada con coloro che del suo credo religioso non sapevano cosa farsene. In altre parole, la politica di base era questa: forte coi deboli, debole coi forti.

I principi del Paese delle meraviglie, cresciuti sotto il segno del bambin Gesù, pendevano dalle sue labbra. Se qualcuno osava contraddirla, era guerra, guerra che la Chiesa organizzava contro il principe ribelle. E se il suo esercito, l’esercito del boss del Vaticano, non bastava, non riusciva ad averla vinta, allora il papa chiamava delle potenze straniere in aiuto. Queste venivano nel nostro paese, l’invadevano e, mentre erano sul territorio, razziavano tutto quello che potevano. E non facevano solo questo. Stupravano le nostre donne, uccidevano i nostri uomini, i nostri bambini, distruggevano case, campi seminati, campagne e, infine, se ci riuscivano, sconfiggevano il principe ribelle.

La Chiesa, una volta che gli invasori se n’erano ritornati nei loro paesi, vittoriosi, col bottino e lasciando dietro di loro il paese in rovina, continuava a governare sovrana fino a quando un altro principe non si ribellava ecc., così fino al Risorgimento.

Il fare della Chiesa non era spirituale, religioso, etico, umano, era guerresco oltre che assurdo e sanguinario. La sua religione era fatta con la spada, una spada guidata dalla sete di poteri e di averi. La cultura, l’identità, la storia del popolo italiano sono tutte pervase da una visione religiosa che, in realtà, di religioso non ha nulla.

È vero, sono gli uomini che fanno la storia, ma è altrettanto vero che sono le loro idee, ideologie, credenze che li guidano e su cui si modellano. Il quid religioso e la cultura di questo paese si sono modellati, non sugli ultimi 150 anni, cioè dal Risorgimento ad oggi, ma sulla lunga storia della Chiesa e su uno Stato che, oltre ad essere predatore, era ed è rimasto confessionale.

 

Pregi e difetti dei grandi e piccoli “io”

Le culture, in generale, hanno in sé qualcosa di ottuso, possono essere sorde e cieche nel loro intimo. Come dire, costruiscono dei tabù, delle difese, dei torrioni supercorazzati, che spesso non permettono a nessuno, a torto o a ragione, di avvicinarle. Le culture, se le critichi, sono come gli animali feriti che puoi toccare ovunque, eccetto dove la piaga li tormenta. Anche gli individui sono così. Solo ch’è più facile curare un singolo individuo che non tutto un paese.

Detto questo, Rossi, proseguiamo con metodo e cerchiamo di capire come si sono sviluppate e cosa rappresentano.

Tanto per cominciare, le culture, con i loro diversi modi di pensare, di fare, formano un “io”, un “io” collettivo. In una cultura nazionale, come quella francese, giapponese, inglese, meravigliosa, ci sono un “Io” grande e un “io” piccolo. Il primo rappresenta la totalità della cultura del paese; il secondo, il piccolo io, i diversi modi che hanno gli abitanti di interpretare la totalità culturale del proprio paese.

L“io” non appartiene solo degli esseri umani, ma ce l’hanno anche tutti gli altri fenomeni. Infatti, ogni specie o oggetto, nel suo genere, rappresenta un “io”: biologico, vegetale, fisico. Ci sono tantissimi “io” in Natura. L’“io” degli esseri umani, per esempio, si distingue da tutti gli altri “io”, perché riesce a esprimere il suo stato d’animo, il suo pensiero. È un “io” conscio di se stesso. Poi c’è l’ “io” animale, che non si esprime come quello umano, ma attraverso un comportamento istintivo, che può essere aggressivo, docile, socievole, arrendevole, passivo ecc. Questi due “io” formano l’io biologico. Poi c’è l’ “io” vegetale. Questo si manifesta durante le stagioni. In primavera con le piante ricoperte di foglie, di fiori, di frutti; in autunno, invece, con la caduta delle foglie, il riposo, il letargo. In Natura, ovviamente, anche quando gli “io” dei diversi fenomeni possono sembrare morti, in realtà non lo sono. La materia non è mai morta, anche quando lo sembra. A livello molecolare, atomico e subatomico, tutto è vivente, le particelle sono sempre attive. Ogni cosa ha un “io”, sia che si muova, sia che vegeti, sia che resti immobile.

Non ci sono solo questi “io”, c’è anche l’io dei pianeti, delle stelle, dei meteoriti, delle galassie, dei buchi neri, dei quasar, delle supernove, degli universi. Gli “io” fisici si esprimono in modo diverso dagli “io” biologici e vegetali. L’ “Io” della Terra può essere visto come un unico “Io”; i continenti come altri “Io” relativi alla loro grandezza fisica e importanza culturale e così via, fino al più piccolo dei paesi. L’Io del nostro Pianeta si esprime con terremoti, tsunami, siccità, eruzioni, valanghe, uragani, inondazioni, tuoni, lampi, la continua deriva dei continenti. È un “Io” superdinamico, superattivo, supergerminale, che produce in continuazione altri “io”. Alcuni spariscono subito, altri sono più fortunati. La Terra è un laboratorio di “io”.

Gli altri pianeti del sistema solare, per quello che ne sappiamo, hanno un’esistenza fisica, attiva, però inconscia. I Marziani non esistono. Anche l’atomo ha un suo comportamento, un suo io. I fisici lo conoscono bene. In Natura ci sono miriadi di “io” e ognuno di essi, inevitabilmente e irreversibilmente, ha nascita, infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia, morte, annichilimento, disgregazione degli elementi che l’hanno composto. Siamo tutti travolti da un unico destino, Rossi. Nulla si salva in natura, inclusa la Natura stessa.

Quando ti alzi al mattino e vedi il Sole alzarsi, la Luna scomparire dalla vista via via che la luce del giorno diviene più intensa, vedi le montagne, il mare, l’edificio in cui abiti, il tuo cane, tua moglie, i tuoi figli: tutto ciò che vedi, un giorno si sgretolerà, sparirà, te compreso. È solo questione di tempo.

Questo è dentro le cose, dentro di noi. In ogni cosa che appare, creatura che nasce, lì c’è lui, il tempo col suo vitale e mortuario tic tac, tic tac, lì a contare quanti anni, mesi, giorni, secondi ti restano ancora da vivere; lì a dirti “Vivi adesso, perché domani non ci sarai più”. È questo il suo compito e vale sia per  l’Universo che per l’insetto di stagione. Niente e nessuno sfugge al tempo. Lo sapeva anche lo stoico Marco Aurelio, quando diceva che bisogna vedere l’intero Cosmo marcire. E non solo lui. “Il vostro futuro è il mio futuro; il futuro del Sole è come quello di qualsiasi altra stella”, Ilya Prigogine, “La fine delle certezze”, p. 53.

Cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire che la vita di ognuno, umano animale albero o pianeta che sia, è relativa alla sua stessa specie, al suo stesso genere.

L’Universo rappresenta la totalità delle cose in esso contenute, è l’ “Io” per eccellenza, il padre, anche se non sa di esserlo, di ogni cosa, è colui che squarcia le frontiere dell’ignoto conquistando sempre maggiore spazio nello spazio. È l’oggetto più grande che uno possa immaginare e come tale rappresenta l’ “Io” degli “io”.

C’è differenza fra l’ “io” animale, vegetale, fisico e l’ “io” umano?  Sì, tanta. I primi tre “io” sono un tutt’uno con la Natura. Detto diversamente, l’animale forma un’unica cosa con la Natura, così l’albero, così il Sole. Non è la stessa cosa con l’ “io” umano. Questo ha una coscienza. La coscienza lo sdoppia. Sa di esistere, di essere, cosa questa che è preclusa, per quello che ne sappiamo, agli altri “io”. L’uomo è l’unico “io” che sa di essere un “io”.

Gli “io”, maggiori o minori che siano, sin dalla nascita, chi più chi meno, manifestano difetti, qualità, comportamenti bizzarri. Gli “io” non nascono perfetti. Ogni “io”, alla sua nascita, si fa portavoce di certe sue caratteristiche e modi di essere, ed è di questi che adesso parleremo, Rossi.

 

Gli “io” culturali

Riguardo a questi, gli “io” culturali, c’è tanto da dire. Sono degli “io” complessi, hanno a che fare con la loro evoluzione storica. Se prendiamo, ad esempio, l’ ”Io” del Paese delle meraviglie e l’ “Io” inglese, troviamo grande differenza nel loro sviluppo storico. Lo stesso vale per l’io piccolo di un suddito inglese e l’io piccolo di un cittadino del Paese delle meraviglie. L’Io nazionale si costruisce su un pensiero che riflette il modo di ragionare e di agire di un determinato popolo. Gli Io nazionali si possono sviluppare in modo realistico o irreale, liberale o dispotico, religioso o ateo.

I primi empirici oxfordiani sostenevano che Dio era troppo lontano dalla Terra, too far away, per riuscire a capire cosa stesse succedendo tra la gente di quaggiù. E, quindi, sarebbe stato meglio che gli uomini si prendessero cura loro stessi delle loro faccende e del loro destino.

L’Io dei meravigliosi, invece, si è costruito su una visione metafisica della vita, sulla Provvidenza, sulla convinzione che tutto ciò che succede quaggiù è dovuto a un dio che abita lassù. Un “Io”, perciò, fabbricato non sul reale, ma sul fantastico.

Gli inglesi si fanno portavoce di un “Io” storico ricco di spunti reali, umani: la Magna Charta, la Rivoluzione di Cromwell, la Rivoluzione Industriale; l’ “Io” storico del Pdm si è sviluppato invece sul pensiero di Agostino, di Anselmo, di Tommaso, sul concetto del bambin Gesù, sulla Controriforma. È un Io che non conosce altro oltre i dogmi della Chiesa e il dispotismo dei principi. Questi due “io”, quello della Chiesa e quello dei principi, a loro volta, si trasformano in un unico “Io”: nell’assolutismo, ovvero nel potere cieco e tirannico dei sovrani. La Chiesa e i governanti non hanno limiti nel loro operare, sono dittatoriali, onnipotenti.

In nuce, l’Io inglese è un Io empirico, pragmatico, immanente; l’Io meraviglioso si sviluppa guardando il cielo, aspettando la Manna, Dio. È un Io predestinato: Dio ha deciso così! L’ “Io” inglese non è predestinato, programmato, l’ “Io” inglese se lo costruiscono gli inglesi; l’ “Io” meraviglioso è un “Io” che va dove Dio lo sbatte.

Per il bene o per il male, Rossi, come vedi, l’ “Io” inglese e  l’ “Io” meraviglioso sono molto diversi tra loro. Due “stampi” che, sin dall’inizio, hanno pochissimo da spartire nel modo di rapportarsi alla vita sociale e individuale. Un Inglese e un Meraviglioso, culturalmente parlando, sono due mondi a parte, anni luce l’uno dall’altro.

Tutto quello che si avvicina maggiormente alla realtà per com’è e non per come si vuole che sia, ha una visione del mondo più consona, più adeguata alla natura delle cose. Questo è molto importante per una impostazione culturale su base realistica. Le culture che si allontanano dalla realtà naturale e impostano le loro basi su visioni irreali, utopistiche, deistiche, bogududiane, metafisiche, sicuramente, a lungo andare, incontreranno difficoltà di “adattamento al reale”. Queste difficoltà possono essere di ordine economico, istituzionale, politico, familiare, esistenziale. In breve, difficoltà di ogni genere per la semplice ragione che si sono fabbricate una testa con un “Io” falso, alieno, inventato, che non ha nulla a che vedere con la vera natura dell’uomo.

Per riuscire a capire bene la nostra cultura, Rossi, bisognerebbe solo tenere fermo in mente il fatto che “la selezione culturale è l’ancella della natura umana: il suo compito è preservare e propagare i comportamenti e i pensieri che meglio soddisfano le esigenze e le potenzialità biologiche e psicologiche degli individui all’interno di un determinato gruppo o sottogruppo”, Marvin Harris, “La nostra specie”, p. 102.

Diciamo che le culture religiose, come quella del Paese delle meraviglie, appartengono a quelle culture che si sono erette su basi utopistiche, ideologiche e non in modo consono alla Natura. Queste culture, se il nostro ragionamento è corretto, sono nate male, sono anti-culture, sono “Io” nazionali storpi, mal costruiti, imperfetti. Proprio come certe macchine che nascono difettose, come certe specie che nascono inadatte alle esigenze della vita nell’ambiente in cui sono nate, così può accadere anche agli “Io” culturali. Quello dei meravigliosi è uno di questi. Con questo non intendo dire che l’ “Io” inglese, pur formato su basi più realistiche di quello dei meravigliosi, sia perfetto, questo no. Intendo solo dire che l’avvicinamento alla realtà è più ostico per un “Io” ideologico, costruito con l’aria fritta, che per un “Io” costruito su basi più concrete.

 

L’ “Io” del Pdm

150 anni o 1535? Orazio Guglielmini’s Risorgimento

L’ “Io” del Paese delle meraviglie nasce con Roma, ma ufficialmente nasce con la caduta dell’Impero, cioè con la deposizione dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, da parte del barbaro Odoacre, nel 476 dell’era bogududiana (vedere la favola di Bogududù). Fin dal suo inizio, l’ “Io” meraviglioso è stato nutrito con le idee strampalate dell’Indifferenza divina e con dei governanti che, prima di scoreggiare, dovevano chiedere al monarca del Vaticano il permesso. Questo “Io”, quindi, si erge sull’irrazionale.

“Essendo sempre stati il corpo della Chiesa, gli italiani sono stati sempre il corpo di un sistema irrazionale, perché qualsiasi religione è irrazionale. Per reazione all’irrazionale, gli italiani si dividono quasi sempre – irrazionalmente – in due o più fazioni preconcette … Per gli italiani, perciò, è quasi impossibile un ragionamento obiettivo, non falsificante, perché la cultura opera a livello epigenetico, ovvero si eredita”, l’antropologa Ida Magli, “Per una rivoluzione italiana”, p. 50.

Dentro questo corpo “irrazionale”, si è sviluppato l’ “Io” nazionale del Paese delle meraviglie, un “Io” che riflette la visione, appunto, assurda, dogmatica, irragionevole e folle dell’Indifferenza divina, un io che non conosce la libertà di pensiero, che non conosce l’essere umano in quanto tale.

Io definisco, quindi, irrazionale tutto ciò che non si confà alle leggi di natura e tutto ciò che non si confà ad un discorso logico, appunto, umano. L’Indifferenza divina, dunque i governanti, non entrano neppure minimamente nel parametro razionale d’intendere le cose. Il loro pensare è patologico. Questa dimensione umana, la dimensione patologica del pensare, i neurobiologi la conoscono molto bene. Come ci sono in natura uomini alti e bassi, cretini e intelligenti, daltonici e sani di vista, così ce ne sono di razionali e irrazionali.

Il Paese delle meraviglie è il Paese dove l’irrazionale è diventato razionale. L’Indifferenza divina rappresenta l’irrazionale per eccellenza, quindi anche lo Stato predatore, perciò il popolo. Ecco il sillogismo: tutti i meravigliosi sono irrazionali, tu sei un meraviglioso, quindi irrazionale. Il popolo meraviglioso, essendo stato governato da un “Io” patologico, bogududiano, astratto, per forza di cose è diventato, dopo secoli di condizionamento, incongruente, incapace di pensare chiaramente. Il discorso dell’antropologa non fa una piega.

Il massacro mentale del popolo del Pdm (Paese delle meraviglie) ha continuato indisturbato attraverso i secoli e, ancora oggi, nel 2000, questo massacro mentale, grazie all’Indifferenza divina e allo Stato predatore, continua a martellare idee irrazionali nella testa della gente che lo abita. Si pensava che le idee antireligiose di Garibaldi, di Cavour e di altri protagonisti del Risorgimento avrebbero ridimensionato un po’ la prepotenza della Chiesa. Non è stato così, ahimè! La Chiesa continua, in un modo o nell’altro, a martellare i suoi dettami grotteschi nel cranio dei meravigliosi. Questo condizionamento all’irreale e al grottesco ha dato all’Io meraviglioso il colpo di grazia. Ne è sorto un anti-Io: un Io anti-cultura, anti-progresso, anti vita.

Ovviamente, all’inizio e per un certo tempo, l’Io nazionale dei meravigliosi ha avuto qualche pregio, qualche vantaggio sugli altri Io, perché, in quei tempi, le culture dei diversi popoli, cioè gli Io nazionali che andavano sviluppando, formando e delineando le proprie caratteristiche, erano ancora rozze, bestiali, si sviluppavano a colpi di spada, non erano inquadrate in strutture di pensiero forti e organiche.

L’Io del Paese delle meraviglie, ad esempio, ha trovato la sua massima fioritura nella cultura umanistica. Gli umanisti, sia chiaro, non erano per nulla i monarchi, i principi, i signori e, soprattutto, non erano i preti, ma erano coloro che studiavano l’eredità culturale greco-romana. Erano decisamente contrapposti ai teologi: questi trattavano materie religiose facendo riferimento a Dio; quelli erano interessati solo alle vicende puramente umane. I nuovi pensatori avrebbero dovuto essere la fiaccola e la speranza di quella umanità oltraggiata dai despoti e dai preti, ma lo sono stati?

L’Umanesimo, quindi il Rinascimento, è stato un periodo di massimo lustro della cultura del Pdm. Se, però, tralasciamo la tecnica pittorica e architettonica sviluppatasi in esso, la cultura rinascimentale è una cultura fatta di cristi madonne e chiese. È, come abbiamo già illustrato in qualche parte in questo nostro lavoro (La favola di Bogududù e La favola di Geova ne L’Indifferenza divina), una cultura dell’inesistente, morta, come sono morte, culturalmente parlando, le piramidi, la lingua latina e i monumenti Maya. Oggi, la cultura dell’inesistente del Pdm, si lascia dietro un immenso cimitero di artificio artistico, si lascia dietro anche dei piccoli “io” smarriti arroganti immaturi irrazionali furbastri disadattati stolti, che si fanno buttare fuori dal parlamento europeo, che trovano difficoltà ad adattarsi ad altri “io” di maggior potenza razionale.

Parlare, dunque, solo degli ultimi 150 anni del Pdm, è una vera e propria presa in giro, oltre a dare prova, ancora e ancora, d’ignoranza storica, d’ignoranza e basta. Questo paese, piaccia o non piaccia, è una continuazione dell’impero romano. Semplice: il cesarismo si è trasformato in papismo, il console romano in prete cristiano e il soldato ammazza tutto in credente cieco. Chiaro? In altre parole, il Risorgimento non ha unicamente 150 anni, ma minimo 1535!

 

Diversità culturali

Nota, Rossi, “diversità culturali” o “razze culturali” (noi preferiamo “diversità culturali”) e non “razze biologiche”. Queste ultime non esistono, le prime sì. Le diversità culturali, nella loro essenza, hanno una loro visione del mondo. È inevitabile. La visione dei meravigliosi non può essere come quella degli inglesi. L’esperienza di un individuo a contatto con la “cultura dei meravigliosi” e l’esperienza di un individuo a contatto con la “cultura degli inglesi” è molto differente, quindi anche la sua visione del mondo.

Ciò che noi chiamiamo la visione che i popoli si formano del mondo, Feuerbach la chiama Dio. “Così i tedeschi, profondamente attaccati alla loro nazionalità, hanno un “Dio tedesco” (una visione tedesca, diremmo noi, Rossi), necessariamente dunque anche gli spagnoli hanno un Dio spagnolo e i francesi un Dio francese. I francesi dicono effettivamente in un proverbio: “Le bon Dieu est français”. In realtà, il politeismo esisterà fintanto che vi sarà più di un popolo. Il vero Dio di un popolo è il point d’honneur della sua nazionalità”, “L’essenza del cristianesimo”, p. 189.

Ogni popolo si creò il suo dio, se vogliamo definire alla Feuerbach la sua visione del mondo: la sua potenza culturale. È vero, sono gli uomini che fanno la storia, ma è altrettanto vero che sono le loro idee, ideologie, credenze che li guidano e su cui si modellano. Il quid divino meraviglioso e la cultura del Paese delle meraviglie si sono modellati sulla Chiesa e su uno Stato confessionale. È da questi che proviene la loro essenza. Perciò, ogni paese ha la sua ec=p, energia conoscitiva uguale a potenza (si è parlato di ec=p nel terzo libro Ha un senso la vita?) che si è confezionata lungo la sua storia. L’ec=p può essere vista come il suo compendio culturale.

 

L’Italia è un paese teocratico

Tu sai, Rossi, tu sai che è parte integrante della storia del Paese delle meraviglie, la storia di Roma. Se è così, il Bel Paese ha alle spalle una storia lunghissima e, con un tale passato, dovrebbe essere il paese più progredito e giudizioso, non solo d’Europa, ma di tutto il mondo, ma lo è? Di più. Se la conoscenza storica, come la scienza, è accumulatrice di tesori saggi e umani, allora la nostra dovrebbe essere una delle più nobili del sistema solare, ma lo è?

Nella realtà, e lo sappiamo fin troppo bene, non è così; nella realtà la nostra storia è una delle più retrograde; è “lo zimbello” del continente europeo, se non addirittura di tutto il pianeta. È sempre il fanalino di coda in tutto, eccetto, of course, che nella superstizione religiosa. Questo non perché i meravigliosi siano inferiori agli altri popoli, pas du tout!, ma perché la loro cultura non li aiuta a crescere. È una cultura vecchia e stravecchia che va avanti con la testa volta all’indietro.

Dove va oggi il papa a vendere il suo oppio religioso? Non nei paesi civilizzati, ma nei paesi del Terzo Mondo. È lì che va il boss del Vaticano a dire a quella gente, infestata da mille problemi drammatici e incalzata da una povertà spaventosa, che può fare tutti i figli che vuole anche se è portatrice di Aids e di altre malattie infettive e letali. Ci sono, Rossi, ci sono parole, in tutto il vocabolario umano, più irresponsabili e criminali di queste?

La cultura del Paese delle meraviglie è una cultura molto pericolosa. Già Pasolini l’aveva capito ed evidenziato molto bene quando scriveva: “La storia della Chiesa è una storia di potere e di delitti di potere: ma quel che è ancora peggio, è, almeno per quanto riguarda gli ultimi secoli, una storia di ignoranza. Nessuno potrebbe per esempio dimostrare che continuare a parlare oggi di San Tommaso, ignorando la cultura liberale, razionalistica e laica, prima, e poi la cultura marxista in politica e la cultura freudiana in psicologia (per tenermi a schemi primi e elementari), non sia un atto sottoculturale. L’ignoranza della Chiesa in questi ultimi due secoli è stata paradigmatica, soprattutto per l’Italia. È su essa che si è modellata l’ignoranza qualunquista della borghesia italiana”, “Scritti corsari”, p. 83.

E non solo lui. Anche Indro Montanelli sapeva quando scriveva: “Dopo tanti secoli che la pratichiamo, dietro l’esempio e sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d’indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, diventata nel loro sangue un’afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni… Un popolo italiano consapevole della propria identità e ben deciso a difenderla, non c’è. E non c’è perché, nei secoli in cui questa coscienza nazionale maturava nel resto dell’Occidente, in Italia veniva soffocata da una Chiesa timorosa che il ‘cittadino’ soppiantasse il ‘fedele’ e creasse un potere temporale laico contrapposto al suo”, Internet da una lettera di Marco Travaglio.

Nessuno, fino ad oggi, ha stroncato l’escalation di “delitti”, di “ignoranza”, di “assurda prepotenza” della Chiesa. Lo Stato  predatore del Paese delle meraviglie, l’unico che avrebbe potuto farlo, non solo non lo fa, ma addirittura la protegge e la inserisce in ogni suo programma. Perché? Perché, essendo uno Stato confessionale, esso stesso dipende dalle labbra della Chiesa. Politicamente e storicamente parlando, Rossi, l’Italia è un paese teocratico.

Pensa che nel 2004 si è voluto togliere addirittura dalle scuole l’insegnamento dell’evoluzione darwiniana! Ma ti rendi conto a che livello di criminalità mentale e istituzionale si è arrivati in questo paese? È pazzesco! L’evoluzione biologica è il nostro Dna evoluzionistico e lo si è voluto eliminare dalle scuole. Ma perché? Perché contrasta con l’insegnamento cadaverico e assassino della Chiesa!

Non c’è nulla da fare, purtroppo. Abbiamo a che fare, grazie al monarca del Vaticano e al suo leccaculo, lo Stato confessionale, con una leadership politica e culturale il cui cervello è ormai scaduto a livello patologico. Qui non si tratta di nazionalismo, di patriottismo, di fanatismo, Rossi, qui si tratta di fatti, di una critica obiettiva e sacrosanta. Si tratta di ragionare, di ragionare, di ragionare! Purtroppo, è proprio questo che manca alla nostra leadership: la ragione.

 

Tutte le culture hanno un solo padrone: la forza

Non sono la saggezza, la giustizia, il buonsenso, l’umanità a dominare nel mondo degli uomini, ma è la potenza, la potenza culturale, l’ec=p. Questa, in termini politici, rappresenta la bestia nel tempo e nello spazio all’apice della sua gloria: è una manifestazione animalesca dell’egoismo. È la forza che governa il mondo, non l’umano, tenendo in mente che bestie si nasce, umani si diventa.

Questo tipo di cultura, dunque, è la cultura della forza, l’unica che conta quando si va al nocciolo delle cose, l’unica che detta leggi.

Qualche esempio. Stai camminando per la strada, quando senti le grida d’una bambina. Automaticamente volgi gli occhi nella direzione delle grida e vedi un uomo che sta cercando di stuprarla. Cosa fai? Quello che farebbe una qualsiasi persona: ti lanci ad aiutare la bambina. Non ha importanza quello che poi succede tra te e lo stupratore, quello che importa è che tu sei corso subito in aiuto della vittima. Questo, con qualche eccezione, è l’umano.

Le nazioni, invece, si comportano come gli umani? Ne siamo sicuri? Cosa succede quando una nazione forte, senza una ragione, attacca, massacra, stupra e saccheggia una nazione debole? Le altre nazioni, che sanno e vedono, corrono come saresti corso tu ad aiutare la bambina o fanno finta di non vedere? Forse dicono che non vogliono intromettersi? Che vogliono essere neutrali? E perché dicono queste cose? Cerchiamo di capire meglio.

Cos’hanno fatto le altre nazioni quando Mussolini, il criminale e fascista Mussolini, nel 1935, ha attaccato barbaramente l’Etiopia? Niente. Cos’hanno fatto le altre nazioni quando, nel 1939, Hitler, lo psicopatico nazista, ha invaso bestialmente la Polonia? Niente. Cos’hanno fatto le altre nazioni quando, nel 1950, i cinesi occuparono violentemente il Tibet? Niente. Cos’hanno fatto tutte le altre nazioni del mondo da quando gli israeliani massacrano i palestinesi? Niente. Cos’hanno fatto tutte le altre nazioni del mondo quando, nel 2004, gli americani hanno attaccato bestialmente l’Iraq? Niente. Cos’hanno fatto tutte le altre nazioni del mondo da quando i russi massacrano i ceceni? Niente di niente, e la lista potrebbe continuare ad infinitum.

Nessun paese si muove, nessuno porta soccorso, giustizia alle vittime. Ecco cosa intendo, Rossi, quando dico che “la forza detta la cultura”, una cultura della brutalità, della bestialità, dell’inumano. Non esiste una cultura democratica. Esiste la cultura dei più forti, cioè dei più selvaggi, barbari, sanguinari.

Noi viviamo oggi, amico mio, nella prima decade del terzo millennio, in una barbarie avveduta, spietata, che è pronta a tutto pur di salvaguardare il suo culo, i suoi averi e poteri.

 

Articoli naturali e articoli culturali

Qual è la differenza tra i due? La prima che salta agli occhi è questa: tutto ciò che è culturale ha una vita relativamente più breve di tutto ciò che è naturale. Il culturale può essere o non essere, dipende dagli uomini; il naturale “è”.

Prendiamo, tanto per darti qualche esempio, il principio di libertà. Questo esiste fino a quando gli uomini lo rispettano. Qualora non lo facessero più, il principio di libertà sarebbe bell’e finito.

Prendiamo ora l’articolo “uomo” come realtà biologica. Egli esiste e la sua vita dipende dalla Natura e non dalla cultura. Ovviamente, quest’ultima potrebbe distruggerlo, non in modo naturale, comunque.

Il matrimonio, che è anch’esso un articolo culturale, può essere sciolto nel giro di brevissimo tempo, diciamo dalla sera alla mattina, dipende dalla coppia e dal paese in cui vive.

Tutti gli articoli culturali, come dignità, contratto di lavoro, democrazia, solidarietà, sport, globalismo, fraternità, dipendono dal fare e dal disfare degli uomini. Invece, l’articolo roccia, homo, albero, uccello, pesce, insetto, ippopotamo, meteorite, stella, galassia, dipende da un processo naturale.

Sia il culturale che il naturale sono, al nocciolo, articoli contingenti, possono “esserci” o possono “non esserci”. Il primo, il culturale, dipende dall’uomo, il secondo dagli eventi naturali; il primo può avere una vita brevissima, il secondo lunghissima. La vita d’un oggetto o d’una creatura è relativa alla natura dell’oggetto in questione. Gli articoli culturali, le diversità culturali possono essere spazzati via da un momento all’altro; quelli naturali no, a meno che non si verifichi un cataclisma.

Detto tutto in una volta, l’articolo culturale è invenzione, lo si deve creare. L’articolo naturale, invece, anche se gli uomini non ci fossero, esisterebbe lo stesso. Ora la cultura è relativa e, perciò, bisogna fare sempre attenzione, Rossi, perché, amico mio, c’è cultura e cultura!

 

 

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