Affari di famiglia – racconto
I due fratelli avevano trascorso quasi tutta la notte, e non era la prima volta, a discutere sul loro padre. Non era un esempio di padre, il Ferrelli, per nulla. Aveva lasciato morire le loro due sorelline poco dopo la nascita, aveva mandato via di casa il loro fratello maggiore, aveva spinto giù dalla scala la loro madre malata – che poi morì in ospedale -, non aveva mai voluto lavorare, aveva sempre mangiato sulle spalle degli altri e quando si era sposato, a carico della moglie, mandando alla rovina la famiglia di quest’ultima. E non solo. Aveva fatto morire di crepacuore anche il proprio padre e si era appropriato, con le buone o con le cattive, di tutto il patrimonio della famiglia.
Non c’era stato verso di impedirglielo: ne escogitava sempre una più degli altri. Utilizzava ogni violenza fisica e psicologica per ottenere ciò che voleva. Manipolare e terrorizzare le persone che vivevano con lui era il suo obiettivo e lo faceva spietatamente e con arte. E ora, all’età di ottant’anni suonati, continuava a dettare legge.
I due figli sopravvissuti a quest’incubo familiare, erano Emanuele e Dolores. Emanuele, il fratello, diceva a Dolores, la sorella, che era ora di fermare il Ferrelli e che per farlo dovevano abbandonare le vie della geriatria, della psichiatria e rivolgersi alla polizia. Non c’era altro modo per fermare quell’essere. Cosa che avrebbero dovuto fare molto prima, invece di perdere tempo con dottori e strizzacervelli. Era loro dovere portarlo in tribunale e farlo pagare per tutto quello che aveva fatto.
Dolores non era d’accordo col fratello. Non voleva avere nulla a che fare con la legge e tanto meno con la polizia. “Guarda i Benti, avevano denunciato alla polizia non so quante volte lo psicopatico che perseguitava la loro figlia e la polizia non aveva mai fatto nulla per fermarlo. Alla fine il persecutore aveva raggiunto il suo scopo: l’aveva uccisa. Guarda gli Stonegi, vittime proprio della polizia, perché uno di loro aveva risposto a tono a un graduato. Guarda quel nostro amico che è finito addirittura in carcere, per avere denunciato uno stupratore, credendo di fare opera buona.
“Devo continuare, fratello? Ma poi, come tu sai benissimo, non è questa la ragione per cui non dobbiamo denunciarlo alla polizia, la vera ragione è tutt’altra, e questa ci riguarda, è nostra come lo è questa vita, e non possiamo delegarla.”
Emanuele guardò a lungo la sorella. Il suo viso era mutato molto da quand’era una bella e giovane ragazza. Se uno l’avesse guardato attentamente, avrebbe visto tracce di lacrime, rughe, delusioni, battaglie silenziose, tutta una geografia di delusioni e sofferenze nascoste e proprio su quell’aspetto del corpo che non si può nascondere nulla.
Dolores, a sua volta, sbirciò il fratello. I loro occhi, quando s’incontrarono, confermarono l’oscuro destino che li legava e, immediatamente, capirono quello che non avrebbero voluto capire.
Dolores, con tutt’altra voce, disse: “Bene, è ora di andare a dormire, siamo tutt’e due stanchi. A proposito, più volte hai detto che volevi vedere Parigi prima di morire. Non aspettare l’ultimo momento per farlo. Primo, perché la vita è piena di incognite, e secondo perché Parigi potrebbe apparirti molto diversa da vecchio. Chi t’impedisce di farlo ora, dato che sei in vacanza per le prossime due settimane?”
“Mi hai dato una buona idea, sorella, rispose lui pensieroso, è quello che farò. Sì, sì, è quello che sicuramente farò,” e si ritirarono nelle loro camere.
Emanuele e Dolores non si erano sposati. Non tirava vento di unioni, di matrimoni, di figli, di gioia, di felicità nella casa in cui erano nati. Col tempo se ne erano fatti una ragione e infine la vita da single li aveva ghermiti e sommersi e, senza neppure accorgersene, ne erano rimasti prigionieri.
I Ferrelli vivevano in una grande vecchia casa costruita in mezzo a un grande vecchio trascurato giardino appena fuori della città. I suoi muri ne avevano viste di tutti i colori, oltre alla prima e alla seconda guerra mondiale. Era rimasta come l’aveva costruita all’inizio del secolo il costruttore edile Zanotti. Non l’avevano mai riparata o ristrutturata, il signor Ferrelli non lo riteneva necessario e, nonostante ciò, la grande vecchia casa resisteva tenacemente all’assalto del tempo.
Emanuele, quando si alzò nel pomeriggio inoltrato del giorno seguente, fece come gli aveva suggerito la sorella. Si lavò, si preparò un caffè, un toast, si vestì, buttò alcune cose in una borsa, prese con sé tutto l’occorrente, salutò Dolores, il padre stava facendo il suo solito pisolino pomeridiano e non gli parve il caso di disturbarlo. Andò dritto dritto alla stazione, acquistò un biglietto per Parigi e dieci ore dopo era nella capitale francese.
Dolores non perse tempo. “Adesso o mai più!” Il suo piano era vecchio di trent’anni, esattamente da quel sabato sera del ’85, quando vide suo padre spingere con violenza sua madre giù per la scala solo perché gli aveva chiesto di aiutarla a fare gli ultimi gradini. Dopo quella scena, Dolores non era più Dolores.
Partito Emanuele, era rimasta sola con lui nella grande vecchia casa. Si fermò un istante per assaporare tutto quello che stava succedendo nella sua testa. “Ecco il tuo momento, disse di nuovo fra sé e sé, non puoi perdertelo.” Era tutto chiaro, pronto, deciso nella sua mente.
Preparò la cena al padre, quella che più piaceva a lui, con una bottiglia del suo vino favorito. In un primo tempo aveva pensato di mettergli dentro del sonnifero, ma poi cambiò idea.
Il signor Ferrelli mangiava sempre con appetito e quella volta non fu un’eccezione. Dopo cena leggiucchiò un po’, fece dei cruciverba, passeggiò avanti e indietro per il lungo corridoio della vecchia grande casa, andò in bagno e, poco dopo le undici, terminati i suoi esercizi e le sue abitudini, se ne andò a letto. Non aveva problemi di sonno, aveva sviluppato un buon rapporto con la sua coscienza, lui. Nel giro di pochissimo tempo, una volta sotto le coperte, si addormentò profondamente. Non aveva mai voluto dormire in un letto matrimoniale e, dopo che si era sbarazzato della moglie, il letto di lei era stato rimosso ed era rimasto solo il suo.
Dolores glielo sistemava tutte le mattine. Anni addietro, quando era stata visitata per la prima volta da quell’idea folle, aveva preparato un telo di due metri e rotti e ci aveva cucito una cerniera e sul telo degli anelli di stoffa bene allineati ogni tot di centimetri. Sei corde elasticizzate e robuste, passate attraverso gli anelli, sembravano dei cavi elettrici che correvano dentro a dei tubi. Poi, per una ragione o per un’altra, non aveva avuto il coraggio di mettere in pratica quell’idea folle. Ora però si sentiva pronta e, mentre il genitore dormiva tutto disteso, solo il braccio destro era un po’ piegato sulla pancia, riuscì a passare il telo sotto il letto, quindi sopra e poi a chiuderlo ai lati con la cerniera. Subito dopo tese le corde stringendole quel tanto da non svegliare il genitore e, in brevissimo, il padre era totalmente immobilizzato, sembrava una statua egizia legata con delle funi.
Non era stato difficile, dopotutto! Chissà quante volte, dopo l’idea folle, l’aveva compiuto con la mente quell’atto e, ora, ora che l’aveva fatto sul serio, era riuscita a portarlo a termine rapidamente e senza intoppi. Bene, realizzato questo primo lavoro, passò subito al secondo e ultimo. Andò in cucina, prese uno straccio, l’inzuppò d’acqua, andò dal padre, e mentre lui continuava a dormire tranquillamente con la bocca semi aperta, glielo ficcò dentro. Il Ferrelli questa volta si svegliò di soprassalto. Non riuscì neppure a gridare e nemmeno a muovere le gambe o le braccia. Si vide interamente immobilizzato. Restò lì così a guardarsi stupefatto e a guardare la figlia piazzata davanti a lui come un giudice che, a sua volta, lo guardava. Il vecchio Ferrelli capì. Cercò e cercò di liberarsi, di muovere le braccia. Non ci riuscì. Le gambe. Nemmeno. Parlare non poteva. Infine si era messo a guardare la figlia con occhi iniettati di odio e di ira.
“Tu non ti meriti un processo, gli disse lei fredda, tagliente, decisa, né una fine degna d’un essere umano e non parliamo di padre; non ti meriti niente, neppure che sia versata una sola lacrima per te, devi solo pagare per tutti i crimini e per tutto il male che hai causato alla nostra famiglia. Ti dirò anche che ti farò cremare, e dirò che sia stata la tua volontà. Butterò le tue ceneri in una fogna. Tu non sei mai stato toccato dalla compassione, perché dovrei io averla per te? Non dovrebbero esistere le canaglie come te. Comunque, ora hai finito di fare del male. Addio lurido pezzo di merda!”
Lo sbirciò per l’ultima volta, poi chiuse la porta e quando la riaprì, il vecchio despota non c’era più. “Finalmente!,” esclamò. Sciolse i legacci che gli aveva avvolto intorno al corpo e gli tolse lo straccio dalla bocca. Il materasso, protetto da una traversa di plastica, era pulito, il resto uno schifo. Rifece il letto, rimise al suo posto il cadavere, bruciò tutto quello che c’era da bruciare, aprì tutte le finestre della grande vecchia casa, l’ossigenò con aria pulita, fece in modo che tutto fosse naturale e poi, tranquilla e con comodo, chiamò il medico di famiglia per annunciargli la morte del genitore. Il resto fu affidato alla burocrazia.
Quando il fratello ritornò da Parigi, Dolores gli annunciò che il loro padre, purtroppo, se n’era andato. Aggiunse, prima che lui potesse dire qualcosa: “Nessuna legge, fratello, proprio nessuna, capisci?, avrebbe potuto renderci giustizia: gli affari di famiglia sono affari di famiglia!”
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