Amo, quindi sono ovvero attaccamento o non attaccamento
Il primo interrogativo che salta in mente riguardo al non attaccamento è: come potrei, io un essere umano, non amare i miei genitori, mia moglie, mio marito, i miei figli, la mia famiglia, le persone a me intime? C’è una bestia in natura che non ama e protegge i suoi piccoli? L’attaccamento tra gli animali c’è: provate a toccare i cuccioli d’una leonessa! Istinto di protezione? Proprio così, istinto di protezione. È da questo che nascono i sentimenti, i sentimenti affettivi e di attaccamento. E non solo. Nasce anche l’amore, nasce l’essere umano, nasce la storia. È qui che prende il via questo fenomeno straordinario che trasformò la bestia selvatica in una bestia culturale, riflessiva, umana.
Il concetto buddista di non attaccamento è una vera e propria inumanità. Un concetto contro natura. Una forza, la forza della volontà, che contrasta deliberatamente l’essenza di cui noi siamo fatti: dai nostri sensi. E poi come si potrebbe? Non è forse l’attaccamento che ci distingue dalle pietre, dai pianeti, dagli alberi, da tutti i fenomeni fisici e senza vita? “Soffro, quindi sono,” dice l’umano; “Non sento, quindi non soffro,” dice il buddista del non attaccamento. Ma se non senti (per non finire preda all’attaccamento, bisogna non sentire, non avere sentimenti, no?), chiediamo noi a questo signore buddista, come puoi definirti un essere umano?
Infatti, un essere umano si distingue ampiamente dal buddista del non attaccamento. Il suo motto è: amo, quindi sono. Certo, non fa della sofferenza provata a causa dell’attaccamento la sua filosofia. L’accetta come parte integrante della vita. Ragiona così: più capisco la tragica condizione che incombe su ogni essere umano, più mi dispero e, contemporaneamente, più sono e più vivo, e questo lo devo ai sensi.
Come si può vivere da umani senza attaccamento, senza l’acuirsi dei sensi? Il 96% della nostra vita, ci dicono gli esperti, lo viviamo col principio di “Mi piace,” “Non mi piace,” perciò coi sentimenti, col gusto, con le predisposizioni naturali. Come, allora, come potremmo cambiare questa regola naturale in favore d’un comportamento privo di sentimenti, privo di attaccamento e anti-naturale? Se dovessimo scegliere tra amare o non amare, tra attaccamento o non attaccamento, sentimenti o non sentimenti, vita naturale o vita innaturale (è innaturale autoimporsi volontaristicamente il concetto di non attaccamento), cosa sceglieremmo?
La natura umana è umana a causa dell’attaccamento. Questo è figlio degli istinti. L’amore è il figlio più intimo dell’attaccamento e se non amiamo, siamo peggiori delle bestie che, a loro modo, comunque amano. Non desiderare, non volere, non amare, non disperarti per i tuoi cari quando non stanno bene, non sentire nulla per la morte d’un tuo amato, d’una tua amata, tutto questo e molto altro può andare bene ai macellai della storia, a quelli senza cuore, senza visceri, senza anima, senza feeling, ai buddisti del non attaccamento, ma non agli umani, a quelli che amano e sentono il bisogno di amare e di essere amati.
La disperazione, la disperazione assoluta è quando ci troviamo di fronte alla persona che più amiamo al mondo e sappiamo e capiamo e costatiamo che stiamo per perderla e nonostante ciò non possiamo fare nulla! In questa devastante e tormentatissima situazione, ci sentiamo impotenti, veniamo in contatto coi nostri limiti, con la nostra condizione, scopriamo il nostro vero posto tra i fenomeni della natura, sentiamo e tocchiamo con mano il silenzio e l’indifferenza del mondo che ci circonda. Sentiamo, infine, il peso dell’intero universo venirci addosso, ci sentiamo stritolati, fatti a pezzi, pezzi doloranti, agonizzanti che più doloranti e agonizzanti non si può.
Per contrastare questo scenario crudele e assurdo, anche se l’universo non sa d’essere né crudele né assurdo, non dovremmo negare i sentimenti, ma dovremmo adottare la massima: “Più amo, più mi distacco dall’indifferenza del mondo, quindi più sono e più vivo.”
Noi siamo passione, sentimenti, amore o non siamo nulla. Il non attaccamento buddista produce mostri, l’amore altro amore, quindi? Amo, dunque sono!
UN INVITO: passate parola, condividete, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comunicare, confrontarci, dire la nostra brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più! Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani! È questo ciò che raccomanda agli amici del Web, Orazio Guglielmini. E io aggiungerei un “Grazie!” per chi volesse tradurre questi post nella sua o in un’altra lingua.