Confessione di un’anima depredata (storie vere)
È nell’estate, disse Lorenza, nell’estate e nei suoi colori che è più vivo in me il ricordo della mia casa natale dove ho lasciato 38anni di gioie, di dolori, di morti, di nascite. La mia casa, tuffata nel verde e attorniata da alberi e fiori, quasi tutti piantati e seminati con un perché, come la camelia rosa che avevamo regalato a mia nonna Pasqualina per i suoi 80anni, come l’azalea bianca che Guido aveva acquistato per la nascita di mia figlia Sarah, come gli alberi di Natale che ritrovavano vita nel nostro giardino, era unica nel vicinato.
Là, in via Garibaldi, a Pralungo, là in ogni piccolo sasso c’è un segno della storia della mia casa, della mia famiglia, storia che più che coinvolta, mi ha stravolta, annientata, a volte paralizzando i pensieri, le idee e il sorriso verso la vita. In questi momenti tristi e disperati, solo lacrime silenziose solcano il mio volto. Quante cose, quanti dispiaceri, quanti ricordi portano la mia mente in quel luogo!
E non è la gioia e l’amore come un tempo a dominare ora i miei ricordi, ma la nostalgia, la rabbia, rabbia impotente, rabbia di non aver saputo, potuto fare nulla perché il disastro non accadesse, perché l’impegno e l’amore di generazioni non venisse portato via da fameliche ignobili bestie, perché dozzine di vermi in camicia e cravatta non approfittassero della crisi economica della nostra famiglia per depredarci e arricchirsi portandoci via ogni cosa, casa, giardino, terreno, radici, il sospiro stesso della vita, tutto, tutto quello che una famiglia come la mia aveva saputo costruire nel tempo.
Tra questi sciacalli e invertebrati predatori che si fanno strada nella selva dei miei ricordi spicca la figura di un noto geometra locale, il futuro costruttore edile U. C. Era un amico di mio padre che ho perso quando avevo solo due anni e, oltre che amico, era anche un suo compagno di partito, il partito comunista. Dai racconti fatti in famiglia, la figura di quest’essere, appariva onesta e morale. In realtà, poi, sotto sotto, era la persona più abietta e spregevole al mondo, quella che ha più contribuito a trascinarci nel baratro e, una volta che ci aveva portati lì, sull’orlo, con evidente perfidia e caparbietà ci spinse dentro con mani risolute e ferme in nome del puro interesse.
Ecco cosa va a ripescare la mia mente ogni anniversario della morte di mio padre Dario: 13 gennaio 1958.