Einstein, un pilastro della fisica moderna fatto di cartapesta * (1) (2) (3) (4)
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A volte vorrei essere un acefalo, così me ne starei calmo calmo e zitto zitto e trascorrerei il resto dei miei giorni in anonimato e tranquillità. Invece no, invece non c’è verso. Ultimamente ho anche degli incubi. Mi vedo risucchiato in un pozzo cosmico, in uno di quei pozzi che Einstein ha teorizzato, dove di preciso non so, forse nella sua relatività ristretta o forse in quella generale. Non li chiama pozzi cosmici lui, ma oggetti intrappolati nella curvatura dello spazio-tempo. Posso capire un po’ le curvature, ma dello spazio-tempo non ne capisco nulla.
Se non ci capisci nulla, dov’è il problema?
Non è esattamente così. Non capisco nulla di come Einstein intenda lo spazio e il tempo, non però di come li intendo io.
Dimostra che la sua teoria è sbagliata.
Non è facile.
Ecco il problema.
Il mio grattacapo è il seguente. Mi chiedo, dato che ormai, onestamente, lo sanno tutti che né il tempo né lo spazio esistono, come, allora, lui abbia potuto creare la teoria della relatività, ristretta o generale, basandosi proprio sull’esistenza dello spazio-tempo. Un vero blocco. Continuo a non capire.
Non sei il primo e neppure l’ultimo.
Per favore, signor X, non aggredirmi, abbi un po’ di pazienza e di comprensione per me. Lo so, lo so, ho toccato un ferro rovente e ora sto bruciando. Tuttavia, e lo spero proprio, prima di diventare cenere, se non di averti dalla mia parte, almeno di farti simpatizzare un po’ con me. Quello che voglio dire, e tieni in mente che non sono né un fisico, né un matematico, né un astronomo e tanto meno un filosofo, sono un libero pensatore, uno di quelli che nutre il suo cervello del desco universale delle idee. In parole povere, quello che voglio dire è che c’è qualcosa che non quadra nella teoria della relatività di Einstein.
Dimostralo!
Lo spazio e il tempo non esistono, non come i canguri e il K2. Non esistono neppure come esistono le molecole, gli atomi, i protoni. Non esistono e basta. Sono invenzioni. Immanuel Kant, il filosofo tedesco, li avrebbe definiti dei postulati. Concetti necessari. E questo è vero, il tempo e lo spazio sono dei concetti necessari. Li abbiamo utilizzati per così tanto tempo che ormai ce li abbiamo nel nostro Dna, e l’abbiamo fatto, non perché li capivamo, ma perché ci erano comodi. Prova a togliere lo spazio e il tempo dalla nostra mente e vedrai! In ogni modo, piaccia o meno, fisicamente né lo spazio né il tempo esistono, per nulla e in nessun luogo, neppure in altri universi, nel caso esistessero questi ultimi. Ora, come fa Einstein, senza l’esistenza del tempo e dello spazio a sostenere la teoria della relatività?
Non sono io quello che deve smentirlo.
Intanto potresti chiedermi come faccio a dimostrare che non esiste né il tempo né lo spazio. Non con delle equazioni, ma col buon senso e coi fatti. In parole povere, se volessi mostrarti una mela, ne prenderei una dalla cesta che ho qui vicino a me e te la mostrerei. Tu la vedresti e potresti anche toccarla e mangiartela, volendo. Se volessi invece mostrarti il tempo e lo spazio, come potrei farlo se non hanno né corpo né vita, né sostanza né niente di niente? Ti potrei mostrare l’aria facendoti un gesto con la mano, ma non servirebbe a nulla, perché nell’aria ci sono particelle, invece il tempo e lo spazio ne sono privi. In essi non c’è niente, proprio niente, perché non esistono. Puoi sparare nel Large Hadron Collider del CERN tutte le particelle dell’universo che vuoi, ma non quelle dello spazio e del tempo. Affatto. Ambedue non hanno una paternità tra gli elementi. Sono prodotti mentali e nulla più.
Cosa intendi con “paternità”?
Intendo, e questo è molto importante per il nostro discorso, intendo che all’inizio dell’inizio lo spazio e il tempo non esistevano, e non esistevano perché all’inizio dell’inizio c’era solo il nulla del nulla e nel nulla del nulla non c’era nulla. Chiaro?
No, ma continua ugualmente.
* Vi propongo, in 8 post, il saggio che ho scritto su Einstein per gli Incontri Internazionali tenuti a Singapore 2018. Il titolo è: “Einstein, un pilastro della fisica moderna fatta di cartapesta”.
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Ad un certo punto, da questo nulla del nulla, è nato spontaneamente l’universo. Non tutto in una volta, naturalmente, ma tutto ebbe inizio con una piccola particella. Proprio così, con una piccola particella. Il magico di questa particella, che noi chiameremo il proto-elemento, è che, come nell’ovulo c’è tutto l’essere umano, così in essa c’era tutto l’universo. Questo evento primordiale è imprescindibile se si vuol capire il mondo in cui viviamo e dargli anche un senso, un senso umano, ovviamente, l’unico che gli si può dare. Senza un inizio spontaneo, naturale, l’universo è assurdo, non ha senso. È qualcosa d’inconcepibile. Inizi a capire?
Sì e no. Prosegui.
Tutto ciò che ha un inizio, ha una fine. È impensabile che qualcosa non abbia un inizio e questo vale anche per l’universo, soprattutto per l’universo. L’inizio è la base di tutto. Non inizio, non base, non esistenza. Non c’è discorso che tenga con l’universo se non parte dall’inizio. L’universo stazionario? Questo, per potere esistere richiede una causa, quindi un creatore, un disegno intelligente, un architetto. E questo, l’architetto, chi l’ha creato? L’universo stazionario solo un folle può immaginarselo. Una storia, per avere credibilità, deve avere un inizio.
Sono d’accordo.
La storia cosmologica ha predetto molti finali per l’universo – big crunch, big rip, big freeze, big bounce, ecc., -, ma non un singolo inizio. Nessuno osa andare oltre il muro di Planck, il punto zero, il big bang. Tutto è partito da questo istante. Ma il big bang non è l’inizio dell’universo. Per nulla. Quando questo evento è successo, si potrebbe dire che l’universo era già a metà del suo viaggio. Una volta accettato un inizio primordiale, ci rendiamo conto che il big bang non è il vero inizio dell’universo. Perciò, come c’è stato il primo elemento, la prima particella, così c’è stata la prima fusione nucleare, quindi il primo big bang.
Il nostro è il primo bang o ci sono stati altri bang prima di esso?
Non lo sappiamo. Potrebbe essere, ma potrebbe anche non essere o essere il trilionesimo del trilionesimo dei big bang.
Com’è successo tutto?
A questo proposito ti racconterò due storie. La prima è sulla seconda metà della vita dell’universo e la seconda sulla prima.
Iniziamo con la seconda metà. È più facile e più credibile. Parla di fatti, di cose vere come lo siamo noi. Siamo esseri reali, esistiamo, abbiamo un corpo e questo è un fatto incontestabile. Ora, partendo da noi, se andassimo a ritroso lungo l’evoluzione cosmica, troveremmo che la nostra specie homo esisteva già due milioni e mezzo di anni fa. Prima di noi, però, vengono i dinosauri e prima dei dinosauri viene il periodo Cambriano, 540 milioni di anni indietro nel tempo e, prima ancora del periodo Cambriano, viene la formazione della terra, quattro miliardi e mezzo di anni fa. Così facendo, passando dal sole, dalla supernova che l’ha partorito, dalla Via Lattea, quindi dalla prima stella, possiamo arrivare all’inizio del big bang dimostrando, coi fatti, la sua evoluzione cosmica e la sua esistenza. Come noi esseri umani abbiamo una storia, così l’universo ne ha una sua.
Chiaro fin qui?
Chiarissimo.
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E ora la prima parte della vita dell’universo. Non possiamo, purtroppo, presentarla come abbiamo fatto con la seconda parte. È meno fisica e più mentale la prima parte, ma ciò non vuol dire che è meno reale. Qui, in questa prima metà, dobbiamo procedere come fanno i paleontologi: con induzione e deduzione, con scienza e razionalità, perché ci mancano i fatti. Come ai paleontologi basta entrare in possesso d’un solo referto – arto, osso, teschio – dell’animale scomparso per ricostruirne tutto il corpo, così faremo anche noi con la prima metà dell’universo. Di referti ne abbiamo tanti – proto-elemento, particelle, atomi. Partiamo da ciò che conosciamo e iniziamo a costruire, passo dopo passo, la vita della prima metà. Lo faremo partendo dal nulla del nulla, poi dal singolo nulla e in seguito con la prima creazione spontanea della prima particella nata dal singolo nulla, che noi chiameremo il proto-elemento. Da questo proto-elemento al big bang, ci sono voluti almeno altri 14 miliardi di anni prima che si realizzarsi il primo boato cosmico. Chiameremo prima metà questa parte della sua esistenza.
Le cose, dal primo elemento al primo big bang, sono andate più o meno così. Quando un’enorme quantità di energia si era formata con l’accumulo di elementi leggeri prima e pesanti poi, questi ultimi, via via che si andavano formando, a loro volta, formavano nubi, accumulavano ammassi sempre più densi e massicci. Quando il volume del tutto aveva raggiunto la portata fisica che oggi troviamo nell’universo, si accese la prima scintilla, si mise in moto la prima reazione nucleare. Da questo momento il destino dell’universo è già avviato. Certo, non sappiamo esattamente quanto tempo ci sia voluto prima che la miccia cosmica scatenasse il finimondo, pensiamo tra i 13 e i 14 miliardi di anni luce, ma avrebbero potuto essere di meno o di più. Comunque, verso questa età, il big bang si scatenò scuotendo e illuminando per la prima volta le immense tenebre che lo circondavano.
Se i miei calcoli sono corretti, l’età dell’universo non è di 14 miliardi di anni luce, come usualmente si pensa, ma almeno il doppio, 28 miliardi di anni. E dato che ci siamo, mettiamo in chiaro anche questo punto. Il big bang di cui si parla oggi potrebbe essere il milionesimo del milionesimo, ma quello di cui stiamo parlando qui noi è il primo in assoluto. Possono far ridere il modo e la semplicità che abbiamo adottato per descrivere questo evento primordiale, ma le cose sono andate più o meno così!
Interessante. Go on.
Parlare del primo universo, il primo in assoluto di tutti gli immaginabili e inimmaginabili universi, senza che abbia avuto un beginning, è un parlare assurdo. Per quello che ne sappiamo, non c’è nulla che non abbia un inizio e una fine. Perché, allora, non dovrebbe averla anche l’universo? Di più. Questi happening cosmici come il nulla del nulla, il singolo nulla, il primo elemento, la prima scintilla, il primo big bang non hanno una data né una ubicazione cosmica, sono illocalizzabili, intemporali e universali e rimarranno for ever un punto interrogativo per chiunque si ponga la domanda.
Tenendo a mente quanto detto fin qui, all’inizio dell’inizio lo spazio e il tempo non esistevano e, non esistendo, non hanno una paternità tra i fenomeni che compongono l’universo. Inizi a capire adesso?
Ce la sto mettendo tutta.
Tranquillo, cercherò di rendere l’argomento più semplice ampliando il discorso.
Una buona idea.
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Si dice che Agostino d’Ippona sostenesse di sapere cos’era il tempo, ma ch’era incapace di spiegarlo; pare che Galileo Galilei pesasse il tempo facendo passare dell’acqua da un forellino; la clessidra, l’orologio di sabbia, misura il tempo, anche la sveglia di mia nonna lo faceva. In realtà, in questi esempi, non è il tempo a essere in gioco, sono la quantità d’acqua e la dimensione del foro attraverso cui l’acqua passa che decidono il tempo, ovvero l’esaurimento o meno dell’acqua. Così per la sabbia che passa attraverso il foro della clessidra. Infine, viene la corona dentata della sveglia di mia nonna, ed è essa che decide il tempo a seconda dalla sua velocità. Una giornata, con questo sistema, può essere di 24, di 12 o di 48 ore, dipende dalla velocità della corona dentata. Sono questi oggetti e la mente di Agostino a essere in questione qui, non il tempo.
Il tempo, poi, non è un verbo, è un nome. Un nome è un sostantivo, è sostanza, qualcosa che esiste. Invece non è il caso del tempo. Questo come sostanza non esiste. Da quando siamo apparsi su questo pianeta, non abbiamo fatto altro che riempirlo di nomi di ogni genere. Gli dei, i fantasmi, le divinità, gli spiriti, i totem, gli inferni, la luna, le pietre. La luna e le pietre esistono. La luna, però, avremmo potuto chiamarla Merilyn – “Oggi, grazie a Merilyn, ci sarà una eclisse solare” – e le pietre rose e così adesso chiameremo la luna Merilyn e le pietre rose – “Un bouquet di pietre per il mio amore, please!” – La luna e le pietre corrispondono a oggetti reali, ma non tutti i nomi succitati corrispondono a oggetti reali. Dei, fantasmi, divinità, spiriti, totem, inferni, sono nomi inventati, così il tempo e lo spazio.
Io non posso dire “una sequoia ‘temporeggia’ (non nel senso di “temporeggiare” che significa indugiare, tardare, guadagnar tempo), duemila anni”, devo dire “una sequoia dura (vive) duemila anni”. E perché dura duemila anni? Perché è composta di elementi fisici e chimici che le permettono di durare (di vivere) duemila anni. E così un insetto di stagione dura una stagione, una stella come il sole dura dieci miliardi di anni e non “temporeggia” dieci miliardi di anni. La domanda non è quanto tempo, ma quanto dura un fenomeno, inanimato o animato che sia.
La durata d’un fenomeno, piccolo o grande che sia, è relativa alla sua struttura e alla sua composizione fisica.
Relativa a cosa?
Ad altri fenomeni. Ci sono fenomeni la cui esistenza dura un istante – un neutrone e un antineutrone che si scontrano alla nascita, ad esempio – e altri che durano miliardi e miliardi di anni. La loro composizione atomica e la loro struttura decidono la durata della loro esistenza.
Einstein, all’inizio degli anni Venti del secolo scorso, aggredì il filosofo francese Henri Bergson, sostenendo che la scienza la sapeva più lunga della filosofia, proprio come aveva fatto Newton un paio di secoli prima con Leibniz. Però, se il tempo non esiste perché è invenzione, la “durata” di Bergson esiste. Infatti, i corpi, fisici o biologici che siano, incluso il corpo di Einstein, devono vedersela non col tempo inteso einsteinamente, ma con la durée intesa bergsoniamente. In altre parole, ogni fenomeno composto di atomi, nell’intero cosmo, deve fare i conti con la durata di Bergson e non con il tempo di Einstein. Forse, al permaloso scienziato mancava l’intuizione filosofica di Bergson.
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