Elogio della materia
Alla fin fine è tutto materia, alla fin fine tutto si gioca tra cervelli illuminati e cervelli rozzi; alla fin fine è tutto relativo, un sali e scendi fra questi due estremi: cervelli illuminati e cervelli rozzi. Il resto esiste, ma è come se non esistesse. Ossia, è lì solo come palcoscenico, come paesaggio, come un teatro dove avvengano infinite vicende, fatti, apparizioni, eventi, tutti svolti nella più accecante luce che comunque nessuno vede.
La conoscenza va conquistata. “He who the most knows, the most lives,” Colui che più sa, più vive, dice William Blake e dice giusto. È tutto qui. Altro non c’è. È un gioco mentale a spazi chiusi, una palla che balza dalle oscurità più spesse per raggiungere lo splendore più luminoso e subito dopo si inabissa di nuovo negli abissi, lì dove regnano le tenebre.
Tra questo fiore, questo batterio, quest’atomo, questo minerale, quest’essere, anche se così diversi l’un dall’altro nella forma e nel carattere, in realtà non c’è differenza fra loro: tutti frutto della materia. L’anima, la mente, lo spirito, l’immaginazione, la fantasia, la poesia, materia, materia e basta. Non si va mai oltre la materia, oltre la propria circonferenza cerebrale. It’s all in the mind, È tutto nella mente dicono gli inglesi e, ancora una volta, dicono giusto.
Le particelle elementari, il big bang, l’evoluzione fisica, l’evoluzione biologica, l’evoluzione delle specie, tutti la stessa e medesima cosa: materia; il passaggio dal nulla al fenomeno, dall’inanimato all’animato, dal naturale al culturale e dalle armi allo spirituale, la stessa e medesima cosa: materia.
Il filosofo francese, Renè Descartes, l’evoluzionista inglese, Charles Darwin, il fisico italiano, Carlo Rubbia, il teologo tedesco, Joseph Ratzinger, tutti materia. È sempre lei la protagonista. Gode di illimitate potenzialità, riesce a trasformarsi in sterminate forme, ma al nocciolo ha un’unica forma: quella materiale. Questa è unica, la madre di tutte le madri.
La musica, la geometria, la matematica, il pensiero di homo habilis, materia. Tra un cervello che si auto-illude e uno che accetta l’esistenza per com’è, fenomenica, non c’è differenza di formazione: tutt’e due sono il prodotto della materia: nascono dalla materia e ritornano alla materia.
L’Olimpo, il Corano, i Titani, il Nirvana, la Bibbia, Yahweh, il Bhagavadgita, Zeus, i Testi Sacri, Mbombo, Dio, il Tao, il Libro dei Morti, Brahma, Osiride, gli Dèi, il Valhalla, Marduk, il Grande Capo Lassù, Odino, i Giganti, Kamui, tutti, nessuno escluso, tutti pus, marciume ed escrementi del cervello.
Arroganza? Pazzia? Dissacrazione gratuita? Megalomania? Sbruffi di onnipotenza? Magari! Il pensiero “pensare a Vienna”, benché espresso in termini materiali, è, come ha rivelato il filosofo statunitense Quine, un processo che si fonda sulla materia, ma che in sé non è materiale,” scrivono i neurologi Edelman e Tononi ne “Un universo di coscienza”.
Le illusioni, gli abbagli, le fantasticherie, i deliri, le aspettative e i sogni non si contano più e ad ognuno i suoi, ma sono solo pruriti del cervello e nulla più; i bigotti, gli esaltati, i romantici, gli acchiappa nuvole, gli idealisti, i duri a morire: materia. Questa è il respiro e l’anima di cui è composto l’universo, quindi noi, noi i suoi legittimi figli.
T. S. Elliot scrive nei Four Quartets “We shall not cease from exploration, And the end of all our exploration, Will be to arrive where we started, And know the place for the first time.” “Non cesseremo mai di esplorare, E la fine della nostra esplorazione, Sarà di arrivare dove abbiamo iniziato, E conoscere il luogo per la prima volta.”
Nasciamo materia; moriamo materia. Quando abbiamo capito questo, abbiamo capito come stanno le cose, e non è poco.