Fides et ratio ovvero Lettera enciclica circa i rapporti tra fede e ragione, di papa Karol Wojtyla – seconda parte
“Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo”, p. 56, scrive il papa polacco citando Paolo di Tarso. Quindi la “filosofia, gli elementi del mondo e la tradizione umana,” erano e sono inganni. Ma dimmi tu, Rossi, dimmi tu cosa resta se togliamo la “filosofia, la tradizione umana e gli elementi del mondo?” Non resta niente: né san Paolo di Tarso né san Wojtyla del Vaticano né san Dio del cielo. Non è così, però, per l’autore di “Fides et ratio”.
“I filosofi per primi, d’altronde, comprendono l’esigenza dell’autocritica, della correzione di eventuali errori e la necessità di oltrepassare i limiti troppo ristretti in cui la loro riflessione è concepita. Si deve considerare, in modo particolare, che una è la verità, benché le sue espressioni portino l’impronta della storia e, per di più, siano opera di una ragione umana ferita e indebolita dal peccato. Da ciò risulta che nessuna forma storica della filosofia può legittimamente pretendere di abbracciare la totalità della verità, né di essere la spiegazione piena dell’essere umano, del mondo e del rapporto dell’uomo con Dio”, p. 77.
Quindi, mio caro Rossi, la ragione umana, “essendo una ragione ferita e indebolita dal peccato,” non potrà mai raggiungere la verità. La Chiesa sì, almeno così la pensa Giovanni Paolo II.
“Per quanto riguarda l’intellectus fidei, si deve considerare, anzitutto, che la Verità divina, “a noi proposta nelle Sacre Scritture, interpretate rettamente dalla dottrina della Chiesa”, gode di una propria intelligibilità così logicamente coerente da proporsi come un autentico sapere”, p. 96.
Son sicuro che quando il papa scrisse queste parole, stava delirando oppure era all’apice della sua abilità interpretativa, perché se c’è un libro nell’intero mondo che gode, non di coerenza come dice lui, ma d’una totale incoerenza dalla prima all’ultima pagina, questo libro si chiama Bibbia ovvero le Sacre Scritture.
“Alla luce di queste riflessioni, ben si comprende perché il Magistero (magistero è una parola papale che esercita un’indiscussa autorità dottrinale sui preti e sui fedeli) abbia ripetutamente lodato i meriti del pensiero di san Tommaso e lo abbia posto come guida e modello degli studi teologici”, p. 115.
Ecco perché il pensiero di Giovanni Paolo II, che non è andato oltre quello di Tommaso d’Aquino, viene spesso associato al Medioevo, il periodo più nero di tutta la storia occidentale. Lungo questo arco di tempo durato oltre mille anni, la Chiesa, i suoi dogmi, la sua politica, la sua leadership, la sua evangelizzazione erano indiscussi, assoluti. Era lei la sola padrona in cielo, in terra e in ogni luogo. Tutto le apparteneva, tutto era cristianità, tutto gocciolava, odorava, cresceva secondo la sua Santa Santissima Volontà guidata dal Santo Santissimo Onnipotente in persona, il signor Dio, il muto, che abita lassù. Principi, re, imperatori, signori e signorie, regine e principesse, tutti, tutti, nessuno escluso, al servizio della Chiesa. Pendevano dalle sue labbra, dalla sua saggezza divina e misericordiosa. Ogni cosa si faceva in suo onore. Quando scoreggiavi, Rossi, dovevi farlo per la sua gloria; quando respiravi, respiravi l’odore che proveniva dal suo alito divino. L’Europa intera chieseggiava, era tutta Chiesa. Non esisteva altro, solo lei.
Il Medioevo, dunque, inizia verso il Trecento, più o meno con la morte di Plotino, e finisce verso il Quindicesimo secolo, più o meno con l’inizio dell’umanesimo e del Rinascimento. In tutto questo periodo, solo Boezio ha prodotto una testimonianza scrivendo, mentre aspettava in carcere di essere giustiziato, “De consolatione philosophiae,” (sulla consolazione della filosofia), un abbozzo, tra l’altro, del mal di vivere di quel periodo. Oltre a questo filosofo e qualcun altro, altri non c’erano. Nel Medioevo, ogni creatura doveva sottostare all’ordine ecclesiastico. Figurati che neppure le rane nelle pozze d’acqua, particolarmente quelle intorno ai castelli, potevano gracchiare liberamente. La Chiesa aveva tappato la bocca sia agli esseri umani che agli animali. I cani non sapevano più abbaiare, avevano imparato a pregare; i gatti miagolavano cose divine; i porci avevano addirittura imparato a grugnire il nome del boss della Santa Santissima Indifferenza Divina, il papa re. Solo al culo degli animali e degli esseri umani era permesso di parlare liberamente, perché, anche volendolo, come facevano i cristicoli a tapparglielo? Per dodici lunghi lunghissimi secoli solo il trombone della Chiesa aveva il diritto di strombettare ciò che voleva, il resto era silenzio assoluto; per dodici lunghi lunghissimi secoli l’umanità è rimasta vittima del dominio di questa istituzione dispotica, criminale e dogmatica.
Giovanni Paolo II, grazie al suo intrepido genio, ha riportato il pensiero attuale della Chiesa proprio lì, lì nel cuore del Medioevo. Questa rifioritura medievale, la Chiesa la deve a lui, a Karol Wojtyla, il grande santone polacco.
Vedere L’Indifferenza divina
Nel prossimo post, parte terza