Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (10)
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Per la gente di Calvario, come si è già detto, con qualche eccezione, da quando le ragazze erano arrivate, casa D’Alessio era diventata un bordello. Era un disonore, si andava dicendo in giro, quello che stava accadendo in quella casa. Non c’era alcun dubbio: quella dimora, costruita sotto quel terribile picco sporgente, che ospitava gente bizzarra e di cattivi costumi, non poteva essere altro che l’opera del demonio che voleva vendicarsi di Calvario e del suo gregge, il quale da sempre rispettava i comandamenti che gli venivano imposti dall’alto e pregava il Signore e la Madonna tutto il tempo:
“Oh Dio onnipotente e sapiente, proteggici e salvaci dal peccato e dalla corruzione e fai che i nostri figli stiano alla larga da persone infedeli e perverse. Amen!”
La vicenda, in ogni modo, non era finita con la partenza delle girls. Al Dritto, che aveva già messo sull’avviso Nicolò allo sposalizio di Michele, non era bastato quell’ammonimento. Inoltre, c’è da dire che Nicolò non aveva ancora fatto quella “cosa” e questo rendeva la situazione più difficile. Così, il giorno dopo la partenza delle australiane, il signor Dritto sentì che doveva dare un’altra lezioncina a quel depravato, che doveva ricordargli, con le buone o con le cattive, se fosse stato necessario, i vecchi sani costumi di Calvario.
“Queste cose non si fanno qui da noi, signor D’Alessio, non si fanno e lei lo sa benissimo!” ringhiava in dialetto.
Nicolò, da un pezzo ormai, serrava i denti, si mordeva le labbra, perché costretto ad ascoltare parole che non voleva ascoltare; da un pezzo ormai, aspettava che il Dritto se ne andasse e lo lasciasse in pace; da un pezzo ormai, sopportava quell’individuo che non capiva e, per di più, davanti alla propria casa! Dover rispondere: “Sì, certo, posso capire il vostro punto di vista, i vostri costumi, i vostri sentimenti,” non gli andava più, era stanco di ripeterglielo. Ma cos’altro avrebbe potuto fare, dire? Se almeno nella zucca di quell’essere ci fosse stato uno spiraglio, fosse stato possibile proporgli un dialogo, sarebbe già stato qualcosa, ma non c’era. Non c’era niente di niente. Solo arroganza e dogmi mentali. Tutto nella sua testa era già stato sistemato da anni, da secoli, da un tempo che non si contava più. Il suo cervello si era ormai atrofizzato nell’accettazione supina di rituali e comandamenti atavici che lui non capiva ma subiva senza saperlo. I suoi paraocchi non gli facevano vedere che quella misera strisciolina che si delineava davanti a lui. Se uno gliel’avesse tolta, sarebbe diventato cieco da un momento all’altro.
“Queste cose non si fanno qui da noi, signor D’Alessio, e lei lo sa benissimo, lei lo sa benissimo!” continuava a ringhiare.
“Senta,” gli disse Nicolò che non riusciva più a contenersi, “io sono mancato per molti anni dalla mia terra natale. All’estero ho imparato cose diverse dalle nostre, molto diverse.”
Il Dritto a queste parole s’infuriò ancora di più: “Noi non vogliamo saper nulla di quei costumi.”
“Se voi non volete saper nulla di quei costumi, se voi non volete che i vostri compaesani vi corrompano con nuove idee, nuovi comportamenti, nuovi costumi, non fateli emigrare,” disse Nicolò. “Teneteli qui con voi, puri e intatti. Però dategli del lavoro, lavoro onesto; dategli qualcosa da fare per guadagnarsi un accidente che li mantenga in vita. Insomma fateli vivere. L’emigrazione ha radici nella fame, nell’istinto di sopravvivenza, nel motto: emigra o muori. Noi espatriamo perché se restiamo qui rischiamo di mangiarci l’uno con l’altro; non andiamo via per spirito di avventura, per curiosità culturale; andiamo via per guadagnarci un pezzo di pane, per continuare a vegetare chiedendo l’elemosina in giro per il mondo. E poi, quando uno ritorna, come potete aspettarvi che da un giorno all’altro dimentichi tutto e ricominci qui di nuovo come se nulla gli fosse successo mentre era via, come?”
“Per quello che io so”, sputò il Dritto ignorando tutto quello che aveva detto Nicolò e guardandolo con occhi cattivi, “è che lei non ha contattato nessuno dei nostri ‘compari’ all’estero. Potevano insegnarle la giusta via. Ma questo lei non l’ha mai fatto, non l’ha mai fatto, perché?”
“Perché non sapevo della loro esistenza e tanto meno ne ho mai sentito il bisogno,” venne naturale dire a lui.
“Invece se l’avesse fatto, adesso non avrebbe sporcato Calvario portandoci delle prostitute!” vomitò il Dritto.
Quest’ultima frase mandò in bestia Nicolò, gli fece schizzare il sangue alla testa. Disse stringendo fortemente qualcosa in una tasca della giacca:
“Mi ascolti ora. Per quello che mi riguarda, io voglio, intende? io voglio vivere come mi pare e piace. Portare qui chi mi pare e piace. Questa è casa mia, questa è terra mia, questo è affare mio. Non permetterò mai né a lei né a nessun altro d’interferire minimamente con le cose di casa mia e della vita mia. Tabù devono essere, ha capito? La mia vita è mia e basta! Non ho mai rotto le scatole a qualcuno io come fa lei adesso. Non voglio, m’intende, riesce ad intendermi? non voglio più né vederla né sentirla. Se ne vada via, se ne vada all’inferno, se ne vada dove diavolo vuole, ma mi lasci in pace una volta per tutte. Non mi rompa più le scatole né in un modo né in un altro. Guai a lei, m’intende, guai a lei se viene di nuovo qui a molestarmi. E adesso via, canaglia!”
A questo punto Nicolò non era più Nicolò, era diventato un altro. Livido in faccia, tremava dalla rabbia e, per la prima volta, non riusciva a controllarsi come avrebbe voluto lui. Si era messo a dare spintoni al Dritto e urlandogli ancora e ancora: “Via! Via! Vada via da qui prima che perda la pazienza e la prenda a calci in culo!”
Il Dritto, com’era d’aspettarselo, cambiò e ricambiò colore più volte mentre Nicolò lo spingeva e l’assaliva verbalmente. Già dal primo spintone le sue mani avevano cercato febbrilmente nelle tasche qualcosa che non avevano trovato. Voleva sistemare quella faccenda lì e subito. Ma come avrebbe potuto farlo, senza i ferri da scannatoio o da sputafuoco? Con le mani? Sì, però avrebbe dovuto avere qualche anno in meno. Gli spintoni di Nicolò la dicevano lunga sulla sua forza. Si controllò, lo puntò con occhi iniettati di sangue, abbaiò:
“Compare D’Alessio, quello che voi avete fatto adesso a me, non si era permesso mai nessuno di farlo. Se vi è rimasto ancora un po’ di onore e di coraggio, sapete dove trovarmi. Io, per queste cose, non sono mai vecchio” e, avendo sputato il suo veleno, se ne andò.
Nicolò, rimasto solo, si disse che doveva stare calmo, non doveva arrabbiarsi e che ogni cosa sarebbe avvenuta quando doveva avvenire.
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