Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (11)
XI
Non vedeva suo cugino da tempo. Un rumore sollecita la sua attenzione. Telepatia, coincidenza, cosa? È Amedeo.
“Si può entrare?” fa di fuori.
“Hai ancora bisogno di chiederlo?” risponde lui aprendo la porta.
“Non si sa mai. Con uomini come te c’è da aspettarsi di tutto,” fa Amedeo entrando, stringendogli la mano e posando sulla tavola della cucina una cesta piena di roba.
“Non mi risulta,” dice Nicolò. “Però ognuno è libero di pensare quello che vuole.” E, annusando scherzosamente l’aria: “Sento odore di cibo”.
“È soltanto una parte,” dice Amedeo. “Il resto Lucia lo sta preparando. Ho comprato da un vicino mezzo capretto. Una metà della metà, fatto alla cacciatora, sarà la nostra cena per stasera e tu, se ne hai voglia, potresti continuare il tuo racconto. Che te ne pare?”
“Eccellente idea,” fa Nicolò brioso. “Niente di meglio per trascorrere la serata. Mi auguro solo che tu non dia troppo lavoro a tua moglie che ne ha già tanto di suo e che non si arrabbi se tu vieni da me.”
“Si sarebbe arrabbiata se le ragazze fossero state ancora qui, ma a quest’ora chissà dove sono,” dice Amedeo facendo trasparire nella voce un velo di rimpianto. “Forse è meglio così. La pace in famiglia ci vuole, altrimenti tutto diviene difficile. Capisci?”
“Sì, credo di sì,” risponde Nicolò osservandolo.
“Spero che non te la sia presa se siamo rimasti un po’ freddi, in disparte durante il loro soggiorno. Tu sai com’è fatta questa terra.”
“Anche molto bene.”
“Sono andate via contente?”
“Agli stranieri questo paese piace, e piace perché è ricco di paesaggi suggestivi, perché ci sono tanti ruderi da vedere, perché il cibo non è l’ultimo del mondo e la gente è ossequiosa e ospitale,” risponde lui.
“E adesso dove sono?”
“Sono a Firenze, suppongo. Hanno detto di volerci trascorrere una settimana prima di andare a Venezia.”
“Sai,” dice ora Amedeo con rimpianto, “nonostante tutte le cordicelle che mi legano, non posso fare a meno di pensare a quel ben di Dio a Firenze, bello libero e disponibile, mentre io sono qui impastoiato e frustrato. A volte mi pare di impazzire!”
“Cosa, cosa?” fa Nicolò. “Tanto per cominciare disponibile non direi. Non sono delle prostitute. E poi neppure le prostitute sono sempre e con chiunque disponibili, come tu dici. Inoltre, cosa vai mai pensando? Tu certe idee non dovresti fartele venire nemmeno in testa. Sei nato per reprimere, fallo allora, e fallo a testa alta! Il letto di piume, le lenzuola pulite, l’onore alle stelle, la tavola pronta e il focolare e le comodità e i bambini e il calore che emana da tutto questo mondo di benessere familiare si deve pure pagare in qualche modo. L’hai scelto tu, no? Quindi non lamentarti, reprimi, è il giusto prezzo che devi pagare!”
Tutto ad un tratto, Amedeo trova antipatico quel modo di parlare del cugino. Ricorda vecchie dispute fra loro. Si scrolla quel sentimento di rimpianto e di femmine che l’aveva invaso, dice: “Io, se vuoi proprio saperlo, non ho scelto un bel nulla. Tutto è stato scelto per me, fino nei minimi dettagli. Sono un modello di ubbidienza, io. Tutto è andato secondo il desiderio dei miei genitori. Non ho mai detto no, io; non ho mai trasgredito, io; perfetto sono. E con questo?”
“E con questo niente,” fa Nicolò scoppiando a ridere per quel modo di parlare del cugino. “Anzi, ti meriti sicuramente qualche riga sull’Enciclopedia Britannica. Se non altro, almeno per aver dato alla storia una famiglia impeccabile, durevole, che continua saldamente nella sua interezza quando in altri paesi si sta sfilacciando come una matassa di filo marcio. Bravo, paladino dell’antiquato!”
“Vai all’inferno!”
“Mi sto preparando.”
”Divieni sempre più insopportabile. A volte mi esasperi!”
“Non sono io che ti esaspero. È la tua vita di uomo perfetto. E poi perché, sentiamo, perché te la prendi con me?”
“Perché tu mi fai spesso sembrare un fesso, una merda, oltre a ricordarmi, ogni volta che ti vedo, tutto quello che mi sono perso della vita. A volte ti odio, Nicolò. Avrei preferito che tu non avessi mai più messo piede a Calvario. Il tuo ritorno qui mi renderà difficile il resto dei miei giorni.”
“Non dire cavolate.”
“Non dico cavolate, dico quello che penso, se vuoi proprio saperlo. Sono geloso di tutto quello che tu sei riuscito a fare, mentre io poltrivo qui.”
“Sempre più scemo.”
“Allora di me non hai capito proprio un bel niente. In questo momento, e non chiedermi il perché, mi piacerebbe romperti il grugno,” butta Amedeo.
“Così, senza una ragione?”
“Te ne ho già elencate tante.”
Nicolò si porta la mano sulla fronte, si fa pensieroso. Com’erano arrivati a quel punto? Non ricorda, non importa. Raccoglie il guanto di Amedeo dicendo: “Va bene, uomo! Ti ricordi, una volta ero io che le prendevo quando la facevamo a cazzotti. Può darsi che le cose adesso siano cambiate. Vuoi che riproviamo?”
“Con piacere!” risponde l’altro che pareva non aspettasse altro e, togliendosi la giacca e rimboccandosi le maniche della camicia, si para davanti a Nicolò pronto per la lotta.
“Non qui dentro, buffone, fuori,” dice Nicolò intuendo che ora la scazzottata era diventata inevitabile. Comincia anche lui a rimboccarsi le maniche.
Si dirigono verso quel lato della casa dove da ragazzi, quando non erano d’accordo su qualcosa, si riempivano di botte.
“Niente colpi sulla faccia,” dice Amedeo mentre cammina a testa alta verso il luogo indicato.
“E tu non tirare calci nei coglioni,” fa Nicolò seguendolo.
“Stai tranquillo, adesso ti aggiusterò tutto nel centro,” dice Amedeo girandosi di scatto e tirandogli un pugno nello stomaco.
“Traditore!” grida di dolore Nicolò, “fanno ancora più male i tuoi maledetti pugni,” cercando di contraccambiare quello ricevuto.
Amedeo lo schiva e contemporaneamente lo centra una seconda volta dicendo: “Cosa ti aspettavi, carezze delle tue donne?”
“Ahi!” grida di nuovo Nicolò scaricando sul suo avversario una raffica di pugni come meglio gli veniva.
“È così che tu rispetti le regole?” protesta Amedeo.
“Tu le hai rispettate?” dice Nicolò continuando a tempestare di cazzotti Amedeo che non riusciva a scansarli. “E poi la lealtà non è mai esistita nella lotta. È un’idea che hanno inventato gli scribacchini. Mena o sarai menato!”
“È così che la vedi? E così sia!” fa risoluto l’altro liberandosi dal cugino e mettendosi in guardia.
Si picchiano sotto il picco sporgente della montagna. Questo sembra guardarli in cagnesco, geloso di non potere partecipare. Si staccasse almeno un pezzo del suo granito e gli arrivasse in testa!
Continuano a picchiarsi. Sono soli. Nessuno li vede, eccetto, ovviamente, il picco sporgente. Si battono a lungo. Né l’uno né l’altro molla. Sempre ragazzacci cocciuti e duri. Gli frullano, mentre se le danno, cose in testa. Ricordano, si riconoscono nella lotta. Ad Amedeo riusciva spesso, quando si battevano da giovani, oltre a tirargli calci nei coglioni, anche ad acchiapparlo per la testa e immobilizzarlo. Anche adesso aveva cercato di fare la stessa cosa e per poco non ci era riuscito. Nicolò, invece, era rimasto il solito picchiatore alla rinfusa, tirava calci e pugni dove trovava spazio, dove gli veniva meglio, preferibilmente in faccia. Continuano a menarsi. Sudano. Si affannano. Si fermano col fiatone per qualche minuto e poi tornano alla carica. Sembrano due bestie. Un pugno sbagliato di Amedeo va a cacciarsi in pieno volto di Nicolò. Comincia a colare sangue dal naso e dalla bocca.
“Scusa, mi è proprio sfuggito,” bercia il feritore boccheggiando.
“Non è niente,” borbotta Nicolò. “Aspettiamo che si fermi il sangue e poi ricominciamo.”
Smettono di picchiarsi e vanno dentro. Amedeo fa sedere il cugino col viso in su e inizia a lavargli il sangue.
Nicolò, mentre l’altro lo lava, dice: “Sei sempre il solito bestione, eh?”
“E tu lo stesso testardo caprone!”
Si guardano negli occhi, cosa che facevano di frequente da ragazzi. Chi allora ammiccava, perdeva. Ora i loro occhi cercano altro, cercano una spiegazione a ciò che li ha così tanto cambiati. Crescevano, maturavano, accumulavano esperienza, divenivano altri, divenivano più consapevoli, e poi? Domanda infernale. Chi aveva mai sondato le radici della vita? Chi si era mai dato una risposta tranquillizzante? Nei loro occhi si poteva intravedere il mistero che essi stessi rappresentavano. Quelli piccoli e penetranti di Amedeo, questa volta, però, luccicavano di emozione. Un momento dopo, si butta nelle braccia del cugino con delle grosse lacrime che gli colavano sul volto.
“Perché, perché,” si mette a gemere, “perché a volte mi sento tanto inasprito e insoddisfatto anche se non mi manca nulla?”