Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (7)
VII
Nicolò fu il primo ad alzarsi. Una volta lavato e sbarbato, fece il caffè. L’aroma si diffuse presto e le girls, anche se ancora un po’ intontite per il lungo viaggio del giorno prima, vennero destate piacevolmente da quel profumo.
Poco dopo si ritrovarono tutti in cucina per la colazione. Mangiarono biscotti e bevvero caffè. Poi Nicolò suggerì di prendere l’auto e di andare a farsi una passeggiata sul Lungomare di Stìdero, un giro dai suoi amici, visitare qualche paesetto nei dintorni e, la sera, andare a mangiare in qualche ristorante.
Come uscirono, Gaby alzò gli occhi e vide levarsi nel cielo quel picco sporgente dell’Agave sulla casa. Non ci aveva fatto caso quand’era arrivata perché era buio, ma ora quella mole immensa sopra la sua testa le pareva inverosimile. Rimase esterrefatta. Per qualche istante ebbe anche paura.
“Che idea folle,” disse, “costruire una casa proprio qui sotto!”
“Da queste parti non è l’unica,” commentò Nicolò.
“Fino a quando non ci casca addosso,” ribatté lei smettendo di considerare quell’eccentricità della natura e quell’idea pazza dell’uomo di costruire una casa lì sotto e si era messa a dare un’occhiata al paesaggio che la circondava.
“Stai tranquilla,” la rassicurò lui entrando in macchina, “perché se la tua vita dipendesse da questa roccia, tu vivresti per sempre.”
Sheryl e Judy non fecero alcun commento riguardo alla stranezza di quella casa e di quella montagna. Si limitarono ad osservarle, a fare qualche smorfia e a salire sulla macchina di Nicolò.
“E adesso dove ci porti?” chiese Sheryl.
“Prima dai miei amici,” rispose lui.
La futura dimora di Michele e Maddalena aveva subìto alcune bizzarre trasformazioni: in cucina la stufa a gas nuova stonava col vecchio focolare; il marmo nella camera da letto col logoro pavimento di coccio delle altre stanze; la luce elettrica con il lume a petrolio ancora sul tavolo. Insomma, il kitsch e il contrasto tra il vecchio e il nuovo spiccavano ovunque. L’abitazione si trovava al centro del podere e sul davanti c’era una grande pergola, da cui pendevano grappoli di uva. Sotto c’era una lunga serie di tavole con panche e sedie dove, il giorno dopo, si sarebbero seduti gli invitati allo sposalizio.
Michele, vedendo l’amico e le ragazze scendere dalla Lancia, smise di tagliare legna e andò loro incontro. Maddalena e Filomena, la madre di Michele, raggiunsero anche loro il piccolo gruppo.
“Tutto procede bene per il grande giorno?” domandò Nicolò.
“Ogni cosa procede meravigliosamente bene,” rispose Michele con un sorriso che gli illuminava il volto, stringendo le mani a lui e alle girls. “Vedo che le tue amiche sono arrivate in tempo per venire al matrimonio. Non fartele scappare, voglio vedervi tutti qui domani.”
“Ci teniamo tanto ad avervi con noi,” disse Maddalena salutando Nicolò e presentandosi alle ragazze, “perché questo conferma l’immagine d’un mondo che si va sempre più restringendo.”
“È vero,” disse Judy. “Oggi i mezzi di trasporto hanno accorciato tempi e distanze”.
“Siamo felicissime di venire al vostro matrimonio,” fece Gaby dandole la mano. “Per noi sarà un bellissimo evento.”
“Lo penso anch’io,” disse Michele invitandoli a sedersi sotto la pergola mentre lui andava a prendere qualcosa da bere.
Filomena sentendo the girls parlare italiano si meravigliò, disse: “Ma voi parlate italiano. Siete figlie di genitori italiani all’estero?”
“I nostri genitori non sono italiani. Abbiamo imparato l’italiano in Australia a scuola, perché volevamo venire in Italia e conoscere dal vivo il vostro paese e la vostra cultura,” rispose Gaby.
La vecchia donna, non essendo sicura di cosa voleva dire ‘cultura’, non chiese altro e corse ad aiutare il figlio.
Maddalena, che si sentiva a suo agio tra le ragazze, fece: “Siete affascinanti tutt’e tre e vestite con molto gusto. Dev’essere un sogno poter viaggiare per il mondo quando si è giovani e libere come voi.”
Toccate dal complimento, the girls fecero eco: “Anche lei è molto bella.”
“Vi ringrazio. Ditemi, avete visto qualcosa di Stìdero?”
“Abbiamo dato un’occhiata mentre lo attraversavamo,” disse Sheryl, “ma…”
“E anche quando l’avrete visto con comodo e per intero,” l’interruppe Nicolò, “vi accorgerete che non c’è molto da vedere.”
“Ci sono alcuni castelli, qualche chiesa e altre cose da mostrare alle ragazze,” fece Maddalena.
“Se ti riferisci a quel vecchio rudere di Ruccia e a quell’altro di Giriu, dì anche che bisogna fare attenzione ad avvicinarsi,” si mise a dire lui. “Il primo è abitato da capre e pecore e il secondo può essere raggiunto solo dai corvi. Ci sono buchi e trappole e pericoli dappertutto. Una volta Amedeo mi portò a visitare quella fonte di ricchezza storica e per poco non mi sono rotto l’osso del collo in uno scantinato.”
“Beh, allora c’è il mare, c’è il bel tempo e l’aria qui da noi non è inquinata,” disse Maddalena con fierezza.
“La natura è bella dappertutto,” fece lui.
In quel momento tornò Filomena con un vassoio colmo di dolci. Michele la seguiva con delle bottiglie.
Le australiane assaggiarono i dolci fatti in casa, gli uomini trangugiarono un bicchierino di anice e lo fecero bere anche alle nuove arrivate. Gaby, che aveva l’aria d’intendersi di bevande alcooliche, lo trovò buono, disse che le ricordava l’ouzo greco.
Passarono una mezz’oretta piluccando e parlando. Quando stavano per andarsene, arrivò Vincenzo, il figlio di Maddalena. Portava con sé dei libri tenuti insieme da un elastico. Andava ancora a scuola. S’avvicinò a loro con spigliatezza. Sua madre gli aveva detto che Nicolò aspettava delle ragazze di Sydney. Gliele presentò.
“How do you do?”1 disse in un inglese indeciso guardandole negli occhi una per una. Quando incontrò quelli di Sheryl, la ragazza sentì qualcosa colpirla al cuore. Abbassò gli occhi, arrossì.
Ancora qualche parola dopo lo scambio di presentazioni, poi Nicolò e the girls se ne andarono.
Il resto della giornata lo trascorsero a Stìdero. The girls avevano comprato alcune cose nei negozi. Verso sera fecero una passeggiata sul Lungomare e un’altra sul corso Cavour. Poi, presi dalla fame, entrarono in una rosticceria per mangiare. Il padrone era ossequiosissimo. Al bar c’era un signore seduto su uno sgabello, nella sala da pranzo quattro giovani che bevevano. Questi vedendo quelle tre donne in compagnia di un uomo e intuendo che non erano del posto, non potevano darsi pace. Parlavano, sparlavano e cercavano di attirare l’attenzione delle girls. Non fu difficile. The girls erano altrettanto curiose. I maschi locali, allora, cominciarono una specie di show fatto di paroline sottovoce e di sguardi maliziosi.
Nicolò li ignorava, mangiava con appetito. Judy, che non condivideva la curiosità delle amiche, dava segni di stanchezza, di voler finire quella cena al più presto e ritornare a casa.
Sheryl e Gaby, invece, guardavano i loro ammiratori, poi si guardavano tra loro e ridevano. Trovavano buffo il comportamento dei maschi.
“Aren’t they queer?” 2 diceva Sheryl
“They really are,” rispondeva Gaby. “They look like Pavlov’s dogs.” 3
“Yes, exactly. Fortunately their super-ego holds them back,” 4 ribatteva l’altra.
“How funny!” 5
Finito di mangiare, chiesero il conto, pagarono, uscirono.
Mentre ritornavano a casa, decisero di andare a salutare Amedeo e Lucia. Questi, a quell’ora un po’ insolita, furono sorpresi dalla visita, ma contenti di conoscere le amiche di Nicolò. Volevano offrire loro il caffè o qualcos’altro. Nicolò rifiutò dicendo ch’era troppo tardi, ch’erano stanchi, che le ragazze avevano espresso il desiderio di conoscerli prima di rientrare, ma ora sarebbero andati dritti dritti a casa.
Quella notte, dopo che Nicolò e Judy avevano fatto all’amore, lei gli era rimasta appiccicata tra le braccia. Non parlava e nemmeno lui. Ad un certo punto, Judy si era messa a cercare, con l’accuratezza d’un cardiologo, la giusta posizione del suo cuore e non appena le parve di averla trovata, ci appoggiò l’orecchio e si mise ad ascoltarne i palpiti. Quando sembrava essersi addormentata, chiese:
“Sei sempre dello stesso parere?”
“Altrimenti non sarei qui,” rispose lui.
Non più una parola fu detta a quel proposito.
Più tardi, mentre lei dormiva, Nicolò pensò che forse sarebbe stato meglio se non l’avesse più rivista. Certo non era stato lui a dirle di venire. E adesso che poteva fare? Niente, eccetto che continuare a trarre il meglio dal loro rapporto durante il suo soggiorno lì.
Nell’intimo, Nicolò sentiva di aver bisogno di amare e di essere amato, sentiva che c’era in lui una inesauribile fonte di sentimenti che volevano essere condivisi, ma non voleva rivitalizzarli. I sentimenti erano un lusso che non tutti potevano permettersi. I suoi, in ogni modo, doveva continuare a reprimerli.
A Judy non rimase altro da fare che accettarlo com’era. Aveva provato in tutte le maniere a strapparlo da quella sua pazza “idea” e farlo suo. Non ci era riuscita in Australia e neppure ora qui. Cos’altro avrebbe potuto fare? Nulla. E poi, in fondo in fondo, il suo orgoglio non le permetteva di sollecitare l’amore altrui. Si diceva, per consolarsi, che con Nicolò o senza Nicolò la vita doveva continuare.
1 Come state? 1
2 Non sono bizzarri?
3 Lo sono, e come. Sembrano i cani di Pavlov.
4 Esattamente. Fortunatamente che il loro super-io li trattiene dalle cattive azioni.
5 Quant’è divertente!