Ha un senso la vita? (2)

2. L’Universo: un paziente incurabile

Non è poi così sano, tranquillo e meraviglioso il nostro Universo come potrebbe apparirci a prima vista. No, pas du tout. Anch’esso, come noi, ha i suoi lati oscuri, i suoi raffreddori, i suoi grattacapi e, veniamo al dunque, anch’esso, come noi, ha il suo destino segnato.

Nel 1856, lo scienziato tedesco Hermann von Helmholtz, scrisse: “L’Universo sta morendo”. Il fondamento di questa apocalittica affermazione era il cosiddetto Secondo principio della termodinamica. “Questo annuncio”, scrive Paul Davies nel suo libro “Gli ultimi tre minuti”, “è forse il più lugubre di tutta la storia della scienza”, p. 20-24

Il filosofo inglese Bertand Russell, quando seppe di questa scoperta, si espresse così nel suo libro “Perché non sono cristiano”:

“Tutte le fatiche di tutti i tempi, tutta la dedizione, l’ispirazione, la luminosa grandezza del genio umano, sono destinate a estinguersi nella vasta morte del sistema solare, e il tempio delle conquiste umane sarà inesorabilmente sepolto sotto i detriti di un universo in rovina: questi asserti, pur essendo soggetti a discussione, sono tuttavia così vicini alla certezza che nessuna filosofia può permettersi di respingerli, se vuole avere qualche speranza di validità. Solo nell’ambito di queste verità, solo sul saldo fondamento di un’ineluttabile disperazione, può essere costruito, d’ora in avanti, l’edificio dell’anima”, p. 24.

Le cose stanno pressappoco così: nasciamo, cresciamo, invecchiamo, moriamo e questo vale sia per i corpi inanimati che animati. Il decadimento degli elementi è una legge basilare della fisica. Tutti decadiamo, passiamo, scompariamo, così succede per l’Universo. Questo, conscio o inconscio del suo destino, è il grande sperimentatore di tutte le nascite, le vite e le morti, inclusa la sua. L’Universo vive, attimo dopo attimo, non soltanto la sua espansione, ma anche la sua distruzione.

S’incomincia quasi sempre con qualche malanno, ne seguono altri e altri ancora e, infine, i malanni divorano il corpo che hanno attaccato. L’autrice di questo sfacelo è la cellula maligna. Una volta apparsa, nulla la ferma più. È insita nella materia. Non si può avere l’una senza l’altra: materia, dunque cellula maligna, dunque morte. La cellula maligna si autoriproduce e col tempo diventa un tumore incurabile. Per questo tipo di tumore non esistono né dottori né bisturi né cure. Figlio legittimo della morte, non uccide soltanto la vita biologica e vegetale, ma anche le stelle, le galassie e gli universi.

S’inizia con l’esaurimento dell’energia di una grande stella. Questa, via via che brucia il suo alimento gassoso, l’idrogeno, s’ingrossa fino a quando non diventa una supernova, fino a quando non esplode. Dopo il grande fracasso, il suo nucleo centrale crolla, creando un buco nero. E, voilà, la prima cellula maligna nel corpo della galassia che la ospita. Questa si trasformerà in un tumore di tali dimensioni (buco nero) che finirà per uccidere la galassia che l’ha creata, proprio come la cellula maligna in un essere umano finirà per uccidere il corpo che l’ha creata. Il micro e il macro sono legati al medesimo fato. Questo prova, se non altro, che la materia di cui sono costruiti, si equivale.

 

Contingenza e necessità

Ma come si è venuto a creare tutto ciò? Domanda atroce, Rossi, perché nessuno ha la risposta esatta e, forse, non si avrà mai. Sappiamo, però, che siamo i legittimi figli della contingenza.

La cosa funziona così: tutto ciò che è contingente è casuale, è accidentale, può o non può succedere, verificarsi. La contingenza non ama piani, scopi, progetti a lungo termine, anche se potrebbero accadere, rivelarsi necessari. La contingenza è la maestra di tutto ciò che accade senza un disegno. Infatti, è proprio questo, il suo disegno: non avere nessun disegno.

Già Aristotele diceva qualcosa del genere “ciò che non può essere altrimenti è necessariamente ciò che è” e “un evento può accadere, ma può anche non accadere” e questa è già contingenza dice Michael Shermer ne “How we believe, the Search for God in an Age of Science”.

La contingenza, però, senza la necessità, sarebbe ben poco. Le cose cambiano per necessità; le cose si stabiliscono per necessità, secondo Jacques Monod. Il contingente può o non può verificarsi, però, una volta che si è verificato, entra in gioco la necessità; entra in gioco la metamorfosi che fa sì che l’oggetto in questione passi attraverso tutte le vicissitudini della materia che lo compone: un gatto avrà vita da gatto, un albero vita da albero, così l’uomo e le stelle.

Tutto ciò che è necessario non può non esserlo. Il necessario è, s’impone, fa sì che ciò che deve accadere ad una cosa accada. È quel corso di eventi che un fenomeno animato o inanimato percorre una volta apparso. Non può sfuggire al suo destino. Se si esiste, si muore: ecco il necessario.

Siamo un accidente della Natura, qualcosa che avrebbe potuto esserci o no, come dice Stephen Jay Gould nel suo libro “Wonderful Life”. Il nostro ramoscello sull’albero della vita avrebbe potuto non spuntare. Non siamo il risultato di un ipotetico Bogududù, Rossi, siamo solo il frutto di forze oscure e contingenti. Tutto ciò che esiste sulla Terra, inclusa la Terra stessa, avrebbe potuto anche non esistere. Il nostro destino è legato alla contingenza; noi siamo contingenza.

 

 

 

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