Ha un senso la vita? (4)
Muffa, scimmia o homo sapiens?
Arthur Schopenhauer, in un passo riportato nel libro di Rüdi ger Safranski “Quanta globalizzazione possiamo sopportare?”, scrive: “Nello spazio infinito ci sono innumerevoli sfere lucenti, intorno a ciascuna delle quali ne ruotano forse una dozzina di altre più piccole e illuminate che, calde all’interno, sono ricoperte da una crosta indurita e fredda, sulla quale uno strato di muffa ha generato esseri viventi e conoscenti”, p. 10.
La nostra sfera lucente, Rossi, si chiama Sole. Intorno ad essa ruotano, pare, dieci pianeti. Tra questi pianeti che ruotano intorno alla Sfera lucente, c’è la Terra, la nostra dimora galattica. Essa, come dice Schopenhauer, è costituita da un nucleo caldo interno composto di ferro, di solfuro ferroso e di nichel, poi c’è un nucleo meno caldo, poi il mantello e infine la crosta. Questa, lontana dalla fornace centrale, è andata via via raffreddandosi. Su questa crosta raffreddata, si è creata una muffa, un qualcosa che rassomiglia ai funghi, alla gelatina, al muschio. Da questa muffa fungosa si sono sviluppati diversi tipi di muffe fungose. Alcune pelose, altre pennute, altre frondose, altre ancora striscianti ecc. La maggior parte di queste creature è dotata di istinti che le permettono di vivere e di riprodursi.
Tra tutte queste muffe fungose, una in particolare, oltre agli istinti, ha sviluppato anche il pensiero, un modo astratto di riflettere che le permette di capire tante cose. Ora, questa muffa pensante, via via che si scopre sempre più muffa pensante, via via che scopre la sua vulnerabilità e la sua fatalità, si ribella a questo destino tanto ingrato e, di conseguenza, per ricompensare ed esorcizzare questa sua umiliante forma fungosa e passeggera, s’immagina l’eternità e si crea altri esseri e altri mondi. Questi nuovi mondi, in opposizione a quello in cui vive ora, sono favolosi, le permettono di sopportare l’assurdo e l’odioso. Il mondo della muffa fungosa e pensante si popola così di meraviglie inesistenti, tutte inventate per scongiurare il suo dramma finale.
La muffa, la muffa pensante, diversamente dalla cozza che è attaccata allo scoglio ma non è cosciente di esserlo, è cosciente, sa di essere attaccata alla crosta terrestre, sa che deve sottostare a tutti i capricci della pancia su cui è incollata. Questo è il suo destino e, diversamente da quello della cozza, lo segue ad occhi aperti.
Lo stesso si può dire, secondo il discorso di Schopenhauer, di tutte le sfere lucenti dell’Universo, dei pianeti che ruotano l’uno attorno all’altro e della muffa fungosa che si può o non si può creare su di essi. Questa, Rossi, è la realtà del “tutto”.
Il bipede spelato
Per Platone l’uomo è un bipede spelato; per Diogene un pollo senza penne; per Linnèo homo sapiens; per Darwin una scimmia. Se poi vogliamo vedere più intimamente la nostra parentela con questa signora pelosa, possiamo domandarlo ai biologi. Questi ci dicono che il numero dei cromosomi dello scimpanzé e dell’uomo varia di poco: gli scimpanzé ne hanno 48, gli uomini 46; 15 cromosomi su 23 sono strutturalmente identici nelle due specie, sono i cosiddetti paleocromosomi rimasti invariati dal nostro antenato comune: la scimmia. Il frequente riscontro nell’uomo di alcuni caratteri atavici scimmieschi – irsutismo, determinate pieghe palmari, il cosiddetto tubercolo di Darwin nel padiglione dell’orecchio, in alcuni neonati il coccige visibile, e vari altri difetti – costituisce una prova irrefutabile del ruolo giocato dai rimescolamenti cromosomici nel corso del progresso di ominizzazione.
È stato questo, Rossi, il processo di ominizzazione che ha condotto all’umanità attuale. L’uomo appartiene all’ordine dei primati, sottordine scimmie, famiglia ominidi, che comprende le specie fossili e quella attuale. Alla base di tutti i cambiamenti evolutivi, ci sono le mutazioni. È stata una di queste che ha portato all’homo sapiens.
Ora, come noi descriviamo il nido delle formiche, la ragnatela delle tarantole, le costruzioni dei castori, la tana d’una volpe e poi ci filosofiamo sopra, così questi animali, se avessero avuto la parola (do per scontata che abbiano l’intelligenza), avrebbero fatto con noi. Ci avrebbero descritti come costruttori di case, di armi, di veicoli ecc.
Che cos’è, dunque, il cosiddetto essere umano? Sicuramente non un essere umano! Non è neppure homo sapiens come lo vuole Linneo. Cosa c’è di sapiente in questa creatura? Non si direbbe tanto, per come sono sistemate le cose nel mondo.
Non ho bisogno di parlartene. Lo sai, Rossi, come sono messe le cose. Ne abbiamo parlato ne L’Indifferenza divina e ne Lo Stato predatore. L’homo è un bipede, una specie che, al suo inizio, camminava su quattro zampe e che, con il tempo, ha imparato a farlo su due. Fondamentalmente è un animale, il più egoista e bestiale del Pianeta. Quest’essere ce l’ha a morte con la Natura, colei che l’ha partorito dalle sue viscere più profonde. Per sfuggire a questo parentado, si è dato un sacco di nomi, quali umano, homo sapiens, figlio del sole, figlio di Dio. Non vuole proprio saperne del suo vero nome: bipede, bestia, scimmia parlante. Insomma, un animale che usa la parola per convincere e abusare degli altri animali.
“Les anthropologues confondent sans discernement l’homme et l’humain, juxtaposant un concept naturaliste et un concept philosophique. Je reste toujours consterné par l’usage qu’anthropologues et primatologues font d’une terminologie abusive, parlant de primates non humains pour tous les primates à l’exception du seul primate humain, l’homme. Pourquoi ne pas appeler un chat un chat et un homme un homme?” Pascal Picq “Qu’est-ce que l’humain?”
Per Picq l’uomo appartiene all’ordine dei primati. Sempre secondo lui, oggi la nostra famiglia di ominidi è composta dalle grandi scimmie africane: gorilla, orangutan, bonobo, scimpanzé, homo. Noi nasciamo prima animali, poi scimmie e infine ci autodefiniamo uomini.
“Homo sapiens n’est pas humain de fait. Il a inventé l’humain et il lui reste à devenir humain, ce qui sera fait lorsqu’il regardera le monde qui l’entoure avec humanité”, continua Picq.
L’essere umano, dunque, non esiste, ce lo siamo inventato noi. Esistono il bipede, il bonobo, il gorilla, lo scimpanzé, l’orangutan, insomma gli ominidi. Questi sì, ma non l’essere umano. Questi deve ancora diventarlo: non deve solo chiamarsi “essere umano”, deve anche dimostrare di esserlo.
Il bipede ha molti complessi, Rossi, di cui può o non può disfarsi, ma se è quello dello scimmione che più lo infastidisce, è meglio che si tiri un colpo in testa, perché la scimmiaggine è la sua vera natura e non se ne potrà mai sbarazzare. “On accepte l’évolution à condition que son but ultime soit l’homme. Or rien ne nous dit que l’évolution ait un but. Tout nous montrerait plutôt le contraire”, Pascal Picq et Laurent Lemire “À la recherche de l’homme”.
Coloro che pensano, invece, ad un’evoluzione non antropologica, sono quelli che non accettano l’uomo per com’è venuto al mondo, cioè come un caso cieco nel pandemonio degli elementi.
Il fatto è che sappiamo appena appena che cos’è l’umano, ma sappiamo invece molto bene che cos’è la bestia homo. Picq chiude il libro “Au commencement était l’homme”, con queste rimarchevoli parole: “Nous sommes uniques tout simplement parce que nous sommes seuls”.
All’inizio, Rossi, non c’era Bogududù, c’era l’homo.
Materia cieca e materia che vede
La creatura, l’istinto, la pulsione, il sentimento, l’affetto, la coscienza, l’intelligenza, sono proprietà e caratteristiche materiali. Ovunque esiste “materia”, ovunque esistono stelle e pianeti, lì esiste in potenza la vita. Come la creatura emerge dalla natura, così la coscienza emerge dalla creatura. Vita, creatura, istinto, coscienza sono qualità emergenti dalla materia.
“Questa, disse giocherellando (Siddharta al suo amico Govinda), è una pietra, e forse, entro un determinato tempo, sarà terra, e da terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. Bene, un tempo io avrei detto: ‘Questa pietra è soltanto una pietra, non val niente, appartiene al mondo di Maya: ma poiché forse nel cerchio delle trasformazioni può anche diventar uomo e spirito, per questo io attribuisco anche a lei un pregio’. Così avrei pensato un tempo. Ma oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l’amo e l’onoro non perché un giorno o l’altro possa diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata, tutto; e appunto questo fatto, che sia pietra, che ora mi appaia come pietra, proprio questo fa sì ch’io l’ami, e veda un senso e un valore in ognuna delle sue vene e cavità, nel giallo, nel grigio, nella durezza, nel suono che emette quando la colpisco, nell’aridità e nell’umidità della sua superficie”, p, 162, “Siddharta” di Hermann Hesse.
In ogni sasso vedo anch’io fiorire la vita e in ogni vita vedo un sasso. Questo è ciò che c’è, ma non si vede nel cuore del mondo fisico: il suo potenziale, la sua essenza. Bisogna imparare a vedere l’invisibile, la vita visibile e la vita invisibile. Il mondo, infatti, non presenta misteri, enigmi, zone d’ombra, ma solo sostanza fenomenica in perpetua trasformazione che bisogna saper decifrare, leggere, capire.
Persino la speranza è biologica. L’istinto di sopravvivenza si è trasformato in istinto di speranza. Qualsiasi animale, fino all’ultimo momento della sua vita è portato dall’istinto di sopravvivenza ad andare alla ricerca di cibo per continuare a vivere. Gli esseri umani, con il detto “la speranza è l’ultima a morire”, hanno semplicemente trasformato un istinto biologico in un istinto di speranza.
Sono gli ignoranti, coloro che non sanno leggere le proprietà della materia, che s’inventano un mucchio di assurdità per spiegarla. Non ci riescono comunque e, infine, ne rimangono intrappolati, vittime delle loro stesse affabulazioni, volgarità, nonsense. Detto diversamente, c’è materia inautentica e materia autentica, materia cieca e materia che vede.
Dalla materia alla biologia alla cultura
“Restiamo perplessi di fronte ad antichi costumi che punivano esseri senz’anima, come la norma ebraica che prevedeva la lapidazione a morte del bue che avesse provocato la morte di un uomo, la pratica ateniese di mettere sotto processo l’ascia che avesse ferito qualcuno (e di scagliarla giù dalle mura cittadine, se fosse stata giudicata colpevole), la condanna comminata in Francia nel Medioevo a una scrofa che aveva straziato un bambino a essere a sua volta straziata, e le frustate e la sepoltura inflitte nel 1685 alla campana di una chiesa per aver prestato i suoi servigi agli eretici francesi. Ora, i biologi evoluzionisti sostengono che non siamo sostanzialmente diversi dagli animali, e i genetisti molecolari e i neuroscienziati che non siamo sostanzialmente diversi dalla materia inanimata”, p. 218, “Tabula Rasa”, di Steven Pinker.
“Dovrebbe essere ovvio, scrive Geoffrey Miller in “Uomini, donne e code di pavone”, ma lo dico comunque: tutta l’evoluzione della nostra specie è avvenuta nell’ambito di una popolazione di pelle scura o nera, che è vissuta in Africa. All’inizio dell’evoluzione degli ominidi, cinque milioni di anni fa, i nostri antenati simili a scimmie antropomorfe avevano pelle scura proprio come gli scimpanzè e i gorilla. Quando l’Homo sapiens moderno si è evoluto, un centinaio di migliaia di anni fa, avevamo ancora la pelle scura. Quando le dimensioni del cervello triplicarono, triplicarono in popolazioni africane. Quando si sono evoluti il linguaggio, la musica e l’arte, si sono evoluti in popolazioni africane. Le pelli chiare si sono evolute in alcune popolazioni europee e asiatiche molto tempo dopo che la mente umana aveva già raggiunto le sue attuali capacità”, p. 232.
Noi ci troviamo d’accordo, Rossi, con l’afrocentrismo di Geoffrey Miller come pure coi genetisti molecolari e i neuroscienziati citati da Steven Pinker.
La nostra specie viene da lontano. Lungo la sua evoluzione, è stata dominata più dall’ignoranza che dall’intelligenza. Figurati, non vedeva differenza tra le campane, le asce, gli animali e gli esseri umani. In breve, non faceva distinzione fra materia inanimata e materia animata.
Dalla cultura alla biologia alla materia
Nel caso avessi ancora dubbi sulla tua natura, Rossi, sappi che sei prima di tutto uno spruzzo di particelle e poi un animale. Appartieni alla specie ominidi sviluppatasi dalle scimmie, quindi sei un mammifero bipede e non homo sapiens. Nasci, cresci, mangi, defechi, copuli, metti figli al mondo e muori come un qualsiasi altro animale della Terra. Tu sei tutto questo, Rossi.
Poi, e solo poi, sei anche cultura, il fenomeno astratto che ti sei inventato. Questa, la cultura, che è la tua seconda natura, può essere utile o distruttiva, buona o cattiva, razionale o irrazionale, ingenua o sofisticata, oppure qualcosa tra le due, così sei tu.
Sei anche alto o basso, intelligente o stupido, ricco o povero, compassionevole o spietato, oppure qualcosa tra i due, ma tutto questo non cambia un’acca dalla tua vera natura, quella che ti apparterrà e ti inseguirà in eterno: spruzzo oggetto spruzzo.
L’uomo neuronale
C’è un uomo neuronale, non un uomo spirituale. Se toccassimo il suo cervello, il suo pensiero cambierebbe da un istante all’altro. Nessuno elemento dello spirito ha questo potere sul suo modo di essere e di pensare. L’uomo è materia non spirito. Bisogna costruirlo partendo dai suoi elementi biologici, vestirlo con pensieri neuronali.
L’uomo post-moderno è l’uomo neuronale. È questo il nuovo protagonista della storia bipede e non l’uomo spirituale. Questi ha fatto il suo tempo. È ora di cestinarlo. È stancante, molto stancante e irritante vedere ancora in giro questa zavorra umana. Un dinosauro sui Campi Elisi all’inizio del Duemila è troppo! Lo spirito è morto. Dalle sue ceneri nasce l’uomo neuronale, l’uomo post-moderno.