Il Contratto – racconto in 7 post: parte quarta

Tenny

Era sofisticata, intelligente, ambiziosa, al passo con le idee del suo tempo, emancipata culturalmente e sessualmente. Aveva ventinove anni, era insegnante d’inglese e una femminista convinta. Era stata in America, Europa, Africa, Indonesia e in altre parti del mondo. Era molto bella. Aveva gambe tornite e lunghe da far sbavare anche un eunuco. I capelli ondulati e biondi si armonizzavano con le sue lentiggini, le sue labbra erano coralline e sensuali, i suoi denti bianchissimi e gli occhi verde scuro erano schermati da ciglia curve e allungate come la coda d’un pesce tropicale.

Ovvio, Max adorava Tenny.

All’inizio tutto procedeva comme il faut: grande quantità di sesso, grande quantità di cibo, grande quantità di bevande, grande quantità di tempo trascorso insieme, grande quantità di cose da raccontarsi. Niente, un continuo festino, cuccurucucù Paloma.

Tenny era stupita dall’intelligenza di Max, almeno così pareva a lei. Nelle loro discussioni lui riusciva spesso ad anticipare le sue idee e l’aiutava a svilupparle. Cosa questa che, lei, senza il suo aiuto, non sarebbe mai stata capace di fare. Max faceva tutto ciò con naturalezza, ma a Tenny, in verità, la cosa, sotto sotto, non piaceva. Era una femminista, lei.

Dopo le abbuffate di sesso e di cibo; dopo le sghignazzate e le chiacchierate senza molto peso, tutto divenne chiaro: Max era più colto di lei e questo era difficile da mandar giù, difficile da gestire per una che aveva dei preconcetti.

Il bubbone scoppiò un giorno ch’erano andati a fare il bagno a Sandringham beach. Era lunedì e c’erano poche persone sulla spiaggia. Lì, tutt’e due, distesi sulla sabbia. Davanti a loro il mare sorrideva con onde che pigramente si frangevano una dopo l’altra; dietro di loro le dune, la macchia; più in fondo, alberi appena sfiorati dalla brezza, oltre, le prime case e sullo sfondo l’orizzonte.

La giornata era bella, luminosa, piena di vita e di brio.

“Tenny,” disse Max dopo essersi messo supino, “non so come dirtelo, però, vedi, io, è vero, posso aiutarti a districare e a sviluppare le tue idee, a ragionare su i tuoi sentimenti, ma coi miei, ahimè, faccio molta fatica. Un problema mio, lo riconosco. In questo momento, per darti un’idea, c’è qualcosa che sento fortemente pulsare in me, ed è che mi sento bene, meravigliosamente bene, sereno, felice. Forse quest’ultima parola non è quella giusta. Voglio dire … Sai … Maledizione, io non so con certezza da dove nasca questa sensazione insolita, questo feeling di benessere così raro. Deve pure venire da qualche parte. In ogni modo, questa straordinaria sensazione, credo di doverla in parte a questo incantevole luogo, a questa splendida giornata, ma anche a te, perché sei qui vicino a me col tuo corpo, il tuo profumo, il tuo amore. È un’esperienza fantastica, fuori dal comune, credimi.”

Parlando, Max non guardava Tenny, non poteva nella posizione in cui era. Fissava il mare, il cielo e i gabbiani davanti a lui. Non poteva neppure immaginare che mentre lui lasciava freely parlare il suo cuore, la sua compagna non solo non lo stimava più per la sua intelligenza, ma addirittura lo disprezzava e lo disprezzava perchè era un maschio. Tenny stava aspettando che lui la smettesse per iniettargli il veleno che aveva accumulato durante il tempo trascorso insieme. Si stava preparando per la battaglia, stava cercando le armi più efficaci, le parole più dure e affilate per riuscire nel suo attacco e per portare in quell’atmosfera di sogno la tempesta e la desolazione.

Proprio in quell’istante, lì di fronte a loro, un cormorano emerse alla superficie delle acque. Nel suo becco si agitava un pesciolino, le sue scaglie luccicavano al sole, si dibatteva, lottava per la vita, ma presto i suoi sforzi si rivelarono inutili: il suo destino fu definitivamente deciso quando calò a piccò nel gozzo della bestia acquatica.

 “Però, vedi,” continuò lui, “avrei voluto avere qualche certezza in più in ciò che sento e intendo, solo qualche piccola certezza in più.”

“Peccato,” disse calma Tenny, “peccato peccato peccato, perché sembra che tu sappia tutto su tutti e su tutto, ma quando si tratta di conoscere le tue idee, i tuoi sentimenti, ecco che fingi di non saperne più nulla, evitando in questo modo di articolarli, di dire quali sono. E se poi provi ad esprimerli, allora li mescoli con un sacco di ‘ma’, di ‘forse’ e di ‘non so’. Per me questo è un tratto del maschio, un vostro modo per prendere in giro le donne. Lui, il signor maschio, sembra che non sappia mai con certezza cosa senta, cosa voglia, cosa sia e dove sia. Però, quando si devono dettar leggi, a queste lui ci arriva subito e senza tanti ‘ma’ ‘forse’ e ‘non so’, le fa e le applica incurante delle conseguenze che possano scaturirne.”

“Tenny!” fece Max sorpreso, “non c’è bisogno che tu mi dica …”

“Invece sì,” l’interruppe lei decisa alzando la voce. “Questo discorso l’ho sentito e risentito un milione di volte. Lo so, lo so fino alla nausea che non devo insegnarti nulla, dirti nulla, perché tu sei uno di quei maledetti omuncoli che sanno sempre tutto. Voi maschi sapete anche come tenere una donna in casa a cucinare lavare stirare pulire i vostri panni sporchi, tirar su i vostri marmocchi e farla diventar matta facendole fare un milione di cose e, infine, e questo è ignobile, mettere a vostra disposizione bocca culo e figa per quando ne avete voglia! Ecco il genere di contratto sociale che la donna deve affrontare in questa società omuncolesca, un contratto sociale fatto dal macho per servire il macho. Ma tutto questo è obbrobrioso, è inconcepibile, orrendo, mostruoso,” finì per dire lei tutta rossa in viso e quasi con le lacrime agli occhi.

Il Sole faceva sfavillare i flutti in mille perle luccicanti. Vicino alla spiaggia le onde continuavano ad arricciarsi una dietro l’altra per poi seguitare a frangersi sul bagnasciuga nel loro continuo flip flop. I gabbiani volavano indifferenti avanti e indietro mandando ogni tanto stridii rauchi e sconsolati che squarciavano il silenzio e la calma che regnavano tutt’attorno. Il cormorano era emerso altre volte dall’acqua, ma senza pesciolini dalle scaglie luminose nel suo becco. Max si era appoggiato sui gomiti e continuava a guardare il mare. Aveva un aspetto tranquillo. Il suo corpo si godeva la brezza fresca e leggera, ma il suo stato d’animo non se la godeva più. Dal collo cominciava a colargli del sudore. I gomiti stavano affondando nella sabbia che cedeva sotto il suo peso.

Là, in quella quieta giornata d’estate, dove madre natura aveva disposto e amalgamato alcune delle sue bellezze, là, proprio là, qualcosa si era incrinato dentro di lui. Il velato si era svelato e Tenny si era messa in luce. La ragazza dagli occhi verde scuro e dalle ciglia a coda di pesce tropicale, era diventata ciò che realmente era: Tenny.

“Non l’ho fatta io, la società,” replicò lui, “piuttosto è stata la società che mi ha scolpito a sua immagine e somiglianza. Non ho mai firmato leggi contro donne o contro uomini, io. Purtroppo, lo ammetto, partecipo passivamente a questo indegno e ingiusto contratto sociale. Lo so che voi donne vi sentite sfruttate dalle sue leggi discriminanti, ma so anche che una grandissima parte degli uomini sono ancora più usati e sfruttati di voi. Sono cosciente del tipo di società cannibalesca in cui viviamo. Però, vedi, so anche un’altra cosa, so che ho una sola vita da vivere e che voglio viverla tanto quanto posso, in pace con gli altri e col mondo e a modo mio. Cerco di evitare di fare torto ai miei simili e nello stesso tempo di far sì che essi non facciano torto a me. Tengo gli occhi aperti, ecco. Invece, se mi metto a pensare a tutte le cose malvage che esistono intorno a me e nel mondo, avveleno e distruggo l’unica cosa che ho: la vita.”

“Sei tutto parole”, fece Tenny astiosa e sprezzante. “Ti discolpi, ti escludi, ti giustifichi, in breve, razionalizzi, e ti rendi ancora più vigliacco. Sei solo un omuncolo che si crede chissà cosa. Dì almeno che non vuoi rischiare nulla e basta! Non ti distingui dalle bestie, le tue viscere ti dominano e il tuo trono più alto non è quello umano, ma quello del tuo egoismo.”

“Non mi riconosco in quello che dici,” protestò lui. “Anch’io, se vuoi saperlo, ho firmato un ‘contratto’, non un contratto sociale, ma un ‘contratto individuale’, ch’è quello che più conta per me. Della società mi basta conoscere le regole del gioco, del resto mi occupo io. E sappi che, da quando ho cominciato a pensare a modo mio, con la mia testa, ho imparato a trattare le persone per quello che sono, senza badare a nazionalità sesso o colore della pelle. Sono per l’uguaglianza dei sessi, delle razze, dei colori, delle nazioni e contro tutti i generi di ingiustizia e discriminazione. È l’amore che a me interessa, perché è l’unico cibo che il mio organismo desidera e apprezza.”

Il Sole era sempre più caldo. Il cormorano aveva fatto un’altra vittima. Una coppia era andata a sdraiarsi poco distante da loro. Max diveniva sempre più Max; Tenny sempre più Tenny: la cultura li divideva invece di unirli.

“Non tirar fuori il tuo amore da quattro soldi e la tua umanità da squalo affamato. Il mondo sguazza nella cacca grazie agli omuncoli come te,” disse lei ignorando il suo contratto.

“Non sono un omuncolo, sei tu che sei una stronza femminista,” scoppiò Max. “Tu ce l’hai con gli uomini e li metti tutti sullo stesso piano. Ebbene, te l’ho già detto, io non mi riconosco nel tipo di uomo che la tua testa del cavolo macina. E poi sappi che non posso farci  nulla se alcune delle nostre funzioni organiche non sono uguali. Se non sei nata col cazzo, non devi prendertela con gli uomini che ce l’hanno, ma con la natura, e smettila di renderti così odiosa e ridicola!”

“È proprio quello che farò,” disse lei. “Sono stufa marcia dei ‘Max’ e degli uomini, stufa marcia della vostra ipocrisia, arroganza, pronti ad analizzare i pro e i contro di ogni cosa e infine optare sempre per ciò che più vi conviene. Per me, da questo momento, puoi andare a farti fottere con chi desideri, sporco omuncolo, perché con me hai finito di farlo.”

“Peccato,” fece lui, “ti credevo più raffinata.”

“Guarda chi parla di raffinatezza!” fece lei.

“E non solo,” continuò Max. “Pensavo che avessi abbastanza cervello per distinguere fra un uomo e l’altro. E invece? In pochi minuti mi hai fatto capire quanto poco ti conosco, quanto poco ci conosciamo. Dovrò ripensare di nuovo a tutto quello che riguarda noi due.”

“Non ne hai bisogno”, lo zittì Tenny, “ti ho appena mandato al diavolo. È da tempo che pensavo di troncare il nostro rapporto, ma non ero ancora riuscita a farlo e non so neppure il perché, o forse perché tu non me ne hai dato la possibilità. Hai iniziato a non piacermi dalla prima volta che hai cominciato a correggermi quando dicevo qualcosa di sbagliato, di sbagliato secondo il tuo macho modo di vedere le cose. E anche se fosse stato così? Sono obbligata a dire e a fare qualcosa di sbagliato nella vita se voglio crescere, però mi fa incazzare da morire che tu sia sempre lì a correggermi.”

“All’inizio non era così,” fece lui.

“L’inizio era l’inizio,” ritorse lei, “ora è ora. Voglio vivere, lo capisci? Non intendo essere una cavia della tua gabbia mentale; non voglio neppure che tu completi le mie frasi, le mie idee. Vai all’inferno tu e tutti gli omuncoli. Vai a fare diventare matta qualche altra cretina, se mai ne troverai una, perché con me è finita!”

Il mare continuava ad essere quello di sempre, le onde ad avanzare, frangersi, ritirarsi. Si era alzato un po’ di vento, il sole era ancora caldo e maestoso, il cielo sereno e bello, le colline riposanti, verdeggianti, tranquille; la sabbia dorata, sembrava un grande letto caldo e sorridente, e tutto appariva calmo e incantevole, ma lo era? Sicuramente sì per la coppia che era arrivata dopo di loro, che non smetteva di accarezzarsi e baciarsi, ma non per Max e Tenny.

Era rimasto quieto, nonostante non potesse raccapezzarsi di quello che gli stava succedendo. Non l’aveva mai sentita parlare in quel modo. Era stata sempre gentile, garbata, spesso accondiscendente, e ora? Tutta un’altra! Si sentiva inchiodato sulla sabbia, solo scosso dalle sue parole. Non voleva perderla, femminista o non femminista, lui era innamorato di lei, a modo suo, ma innamorato.

Tenny sembrò leggere in lui quello che stava pensando, disse: “Tu non ami nessuno, credimi, ed è già tanto se riuscirai ad amare te stesso.” E, detto questo, si alzò, raccolse le sue cose e andò via senza aprire più bocca.

Lui era restato lì, scioccato, sconvolto, con qualcosa che gli bruciava dentro e un nodo alla gola, guardando quelle lunghe snelle gambe allontanarsi da lui. I suoi piedi trascinavano con loro granellini di sabbia e li spargevano di nuovo attorno. Max seguì la silhouette di Tenny fino a quando non sparì dalla sua vista come quei granellini di sabbia sparivano nella grande massa, lasciando solo qualche traccia del loro apparire a colui che in quell’attimo, li aveva visti. Ma Tenny non era un granello di sabbia, Tenny era molto di più.

Improvvisamente, tra un’idea pazza e l’altra, lo prese il bisogno di nuotare. Si alzò e corse furiosamente verso il mare. Mancava soltanto una ventina di metri all’acqua, ma a lui sembrarono mille. Al primo contatto il liquido gli sembrò molto morbido e liscio. Cominciò a nuotare velocemente. In ogni bracciata riversava tutta la sua forza, tutta la sua solitudine, tutta la sua vita. Per come fendeva l’acqua, sembrava un siluro lanciato da una torpediniera.

Nuotò fino a quando non sentì più il corpo ed ebbe l’impressione di essersi sciolto nell’acqua. Il cuore pompava sangue al massimo. I suoi sentimenti erano un misto di rabbia odio amore passione compassione crudeltà pietà, ma più forte di tutti era quel suo selvaggio desiderio di essere forte, di essere sempre pronto a confrontarsi con ogni situazione in cui si trovasse. Il grado del suo amore per la Vita, per il Mondo e per Tutto, dipendeva, in ultima istanza, da come si sentiva lui, dalla sua forza e volontà di combattere, dalla sua grinta verso l’Essere.

Aveva continuato a nuotare fino a quando non fu che un puntino tra cielo e mare. In quel posto strano e meraviglioso, galleggiando supino, ignorando il pericolo di possibili squali o di un suo esaurimento, Max, facendo il morto, aveva lasciato fluttuare il suo corpo secondo l’andamento della corrente marina. Mentre si rilassava, sentiva che bastava poco, molto poco per farlo andare alla deriva. L’ondeggiamento però gli dava un senso di pace e di sollievo. Aveva chiuso gli occhi, si era abbandonato a quel letto d’acqua, lasciandosi dondolare come una barca in un porto solitario.

Dopo quella nuotata, si sentì meglio, nettamente meglio, sentì una nuova sensazione affiorare in lui. Dimenticò Tenny e il resto del mondo. Solo il suo contratto lo faceva fremere di vita e di speranza. Domani la ricerca sarebbe iniziata di nuovo. Con Tenny era finita. Rivederla, cercare di riconquistarla, sarebbe stato tempo perso. E poi, anche se ci fosse riuscito, non sarebbe stato mai più come prima. E a lui, per com’era fatto, non piacevano i minestroni riscaldati. Doveva rassegnarsi.

Quella sera festeggiò alla grande. A notte fonda, uscì sulla veranda con un bicchiere di champagne in mano, alzò gli occhi: il cielo non gli era mai parso così bello, ma bello in realtà non lo era, e gli vennero alla mente le parole di Omar Kayyâm: “Quella ciotola rovesciata chiamata cielo, sotto la quale striscianti e schiacciati viviamo e moriamo, non alzar le mani per invocare il suo aiuto, poiché continuerà a rotolarsi su di te e di me.”

Tra una donna e l’altra, tra una festa e l’altra, Max incontrava Ruth. Non più amante, ma amica. Le raccontava avventure, sentimenti, ostinazioni.

Lei, in quei tempi, usciva con un francese un po’ critico e maldisposto nei confronti dell’Australia, ma, a parte questo, interessante e simpatico. A Max faceva piacere che Ruth avesse un amico, ma era un piacere contorto. Gli veniva da pensare che, se mai ci fosse stata una donna con cui avrebbe potuto unirsi vita natural durante, questa era proprio lei, Ruth. Eppure era così lontana dal suo matrimonio ideale!

Per parecchi mesi, dopo la rottura con Tenny, Ruth fu l’unica donna che Max frequentò. Si raccontavano. Lei gli parlava del francese; lui delle sue vicende. Mentre lui raccontava, Ruth pensava che Max, fosse anche un bambinone, a lei piaceva e piaceva proprio perché era un bambinone. Si sentiva ancora innamorata, ancora mamma.

Nel prossimo post: parte quinta

 

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