Il Contratto – racconto in 7 post: parte sesta

Ann

 Ann aveva un viso malinconico, gli ricordava Dorothy. Max aveva un debole per questo tipo di ragazze, una specie di attrazione incosciente per i moribondi prematuri. L’aveva incontrata una sera durante l’intervallo in un teatro di Carlton. Ambedue erano andati a vedere Amleto. Ad Ann piaceva molto Amleto, l’aveva visto parecchie volte e lo conosceva quasi a memoria e, ovviamente, lo preferiva a tutti gli altri drammi scespiriani.

Max osservò che gli piaceva un altro dramma di Shakespeare, Macbeth. Amleto, secondo lui, era l’inconsolabile, un furore verbale, il pensatore in preda alla sua disperazione esistenziale che, per sopravvivere e vendicarsi della morte del padre, si era trasformato in un’istrione bizzarro e ispirato; mentre Macbeth rappresentava la cieca ambizione, il folle desiderio di potere che lo spingeva a usare tutti i mezzi pur di realizzare il suo fine, e il suo fine erano la potenza e la gloria, una cristallizzazione dell’egoismo. Tanto introverso l’uno, quanto estroverso l’altro; tanto filosofo il primo, quanto opportunista il secondo.

Ad Ann piacque l’interpretazione dei due protagonisti scespiriani. Legarono. Si scambiarono l’indirizzo e il telefono. Iniziarono ad uscire insieme.

Ann era diversa dalle ragazze che aveva conosciuto prima. Era calma pudica e, soprattutto, inavvicinabile in rapporti sessuali. Max non capiva. Ormai la regola del suo tempo era che quando un uomo e una donna s’incontravano, prima facevano all’amore e poi, eventualmente, incominciavano a conoscersi. Con Ann non era così. Trovava sempre una scusa:

“Ci conosciamo poco per certe cose.”

“Scusami, ma stasera non mi sento.”

“Devi essere paziente con me.”

In breve, in un modo o in un altro, riusciva ogni volta a tirarsi fuori da un possibile coinvolgimento sessuale e lo faceva con arte e savoir faire.

Lui trovava eccitante questo suo modo di mercanteggiare l’amore, di temporeggiare, questo modo di tenerlo lontano da lei solo quel tanto che bastava per non perderlo; si sentiva stuzzicato, libidinoso, s’innamorava ancora di più. Desideroso di scoprire il mistero e il fascino di quella donna che amava tanto il teatro e Amleto, Max aspettava che si decidesse a dargli ciò che per natura era suo: la vagina.

Aveva sempre avuto uno strano feeling riguardo al suo compleanno. Era una mistura di opposti sentimenti: da una parte c’era la soddisfazione di aver vissuto un altro anno, dall’altra la triste cognizione che gli era rimasto un anno meno da vivere. Malgrado questi pensieri contrastanti, il suo compleanno, questa volta, voleva festeggiarlo insieme ad Ann.

Quando lasciarono il ristorante, già tardi nella notte, erano ambedue un po’ briosi, un po’ brilli, un po’ felici. Il cibo, il vino, lo champagne, l’atmosfera avevano contribuito al loro benessere. Ann aveva chiesto a Max perché avevano bevuto tre differenti tipi di vini ( bianco, rosato e rosso ) più lo champagne, quando uno sarebbe stato più che sufficiente. Le disse che una volta, a Parigi ( Max era andato nella capitale francese alla fine dei suoi studi ), aveva conosciuto e invitato una francesina al ristorante e le aveva chiesto che usanze avessero i francesi per le occasioni speciali. Lei aveva risposto che era felicissima di dirglielo. Inoltre, se lui era pronto a pagare il conto, lei stessa era disposta a fare da cavia.

A questo punto Ann l’aveva interrotto dicendogli che non voleva che quella sera un’altra donna venisse a mettersi fra di loro.

“Non una parola di più a riguardo,” disse lui.

“Grazie!” fece lei.

Camminavano in direzione dell’auto. Una brezza accarezzava i loro visi accaldati. Max dette uno sguardo al cielo e fu all’istante salutato da migliaia di stelle. Quei distanti punti luminosi lo fecero pensare alle infinite meraviglie della materia, agli infiniti misteri dell’esistenza. Eravamo un gioco, il gioco degli elementi, delle particelle ultime. Noi a fare il loro gioco; loro a fare il nostro gioco. Solo corpi, infine, corpi che si costruiscono e si decostruiscono a caso e in eterno. L’assurdo, il contingente, il mistero, chiamalo quel che ti pare, non cambia nulla, siamo solo materia dalle infinite forme.

Ann, ad un certo punto, l’aveva preso a braccetto, cosa che non aveva mai fatto prima. Lui, cogliendo l’occasione, la tirò a sé e la baciò. La sua mossa sorprese ambedue. Era la prima volta, da quando uscivano insieme, che la baciava sulla bocca, la prima volta che le sue labbra toccavano quelle di lei, ma che tocco! Quel bacio, quell’incontro di labbra, invece del sapore dell’amore, gli aveva lasciato un tetro gusto, più vicino alla morte che alla vita: le labbra di Ann erano gelide, molli, tanto gelide e molli da dargli un brivido in tutto il corpo. Provò a baciarla di nuovo: ancora più macabre.

Anche Ann era rimasta scottata da quel bacio. Se l’era immaginato diversamente. Non capiva. Si sentiva turbata, paralizzata, una statua di ghiaccio. Cos’era successo? Cosa l’aveva trasformata così?

E lui, perché quella sensazione negativa? È vero, aveva fin troppo idealizzato Ann, non soltanto intellettualmente, ma anche sessualmente. Il suo amore per lei era un amore passionale e in quel bacio, lui che ormai qualche piccola esperienza con le donne se l’era fatta, aveva scoperto che Ann non rappresentava l’amore, la passione per la vita, cose che lui apprezzava tantissimo, ma tutto quello che era contrario all’amore e alla passione per la vita. Era stata questa sensazione a sconvolgerlo. Quei baci erano stati sufficienti per paralizzare tutti i desideri che aveva nutrito per lei dal primo giorno in cui l’aveva incontrata fino al momento in cui l’aveva baciata; quei baci non avevano né il profumo né il sapore del vivere, ma gli avevano lasciato soltanto il senso metallico e insulso della morte. Lo shock di quel contatto vita-morte l’aveva inorridito.

La contentezza che avevano provato all’uscita del ristorante era sparita. Continuavano, ognuno preso dai propri pensieri, a dirigersi verso la macchina. Questa volta, e vai a capire il perché, Ann non disse che voleva essere portata a casa sua, non disse niente, lasciò fare a lui.

Forse, a questo punto, è giusto dire che Ann e Max, ognuno a modo suo e ognuno con le proprie ragioni, avevano firmato dei ‘contratti’ con le loro vite, e che questi contratti, solo per il fatto che bisognava tener loro fede, impedivano loro di essere se stessi, impedivano alla biologia di svolgere la sua funzione.

Da quando era alla ricerca della donna ideale, Max non era più Max, era diventato un altro, era come se non riuscisse più ad essere spontaneo, disinvolto, se stesso, e questo rendeva difficili, per non dire impossibili, i suoi rapporti con le donne. In definitiva, non era la realtà femminile che lui cercava nella donna, ma l’ideale immaginario che si era creato di essa.

Da parte sua, Ann, che non voleva essere posseduta se non dall’uomo che l’avrebbe sposata, e solo dopo averla sposata, non poteva ora provare amore per Max, non era ancora suo marito. Impossibile. Si era auto-condizionata a quest’idea. Le sue labbra, e anche il suo corpo, erano diventati di gelo perché così ella aveva voluto, perché così ella si era strutturata, creata e perché solo così avrebbe potuto proteggere il suo tesoro verginale per il suo uomo ideale, per il suo principe azzurro. Quella sera, però, voleva rompere col suo contratto, anche se non l’aveva stampato nero su bianco e firmato come aveva fatto Max, sperando, anche se le cose non sarebbero andate esattamente come lei avrebbe desiderato, che almeno, si avvicinassero un po’ al suo sogno. In altre parole, aveva pensato di darsi a Max!

L’aveva portata a Kangaroo Ground. Lei prima di spogliarsi e mettersi nuda sotto le coperte, gli parlò del suo dream, gli disse che era vergine e che cosa si sarebbe aspettata da lui se avesse preso la sua verginità.

Lui rimase stupefatto da quella rivelazione. Aveva sempre fiutato l’aura di mistero che c’era intorno a Ann, aveva avvertito che gli nascondeva qualcosa; però, che fosse ancora vergine a 35 anni, questo Max non l’aveva mai pensato.

Giacevano nudi, non sotto le coperte come avrebbe voluto lei, ma alla luce d’una lampada che illuminava i loro corpi. Quello di Ann era bianco come la calce e pieno di foruncoli. Max lo guardava. Per molto tempo aveva aspettato quel momento, aveva più volte sognato quel corpo, e ora? Non riusciva a crederci. Quel corpo di trentacinque anni era ancora vergine! I suoi occhi si posarono sul seno timido, sulle areole, sui capezzoli, sul viso, sulla bocca, sul collo; poi si erano mossi verso l’addome, il pube, le gambe che finivano con due piedi insicuri: il tutto, che pietà! Quando riportò di nuovo i suoi occhi sul volto di Ann, vide che piangeva. Grosse lacrime scendevano dai suoi occhi. Aspettava con ansia, lei, aspettava che lui prendesse la sua verginità e questo le dava una paura tremenda. Lui, però, pensava a tutt’altra cosa.

“Non temere,” le disse, “non farò l’amore con te, non ti porterò via la tua verginità. Non voglio essere io il fortunato, tienila pure per qualcuno migliore di me, la tua verginità. Vorrei soltanto che tu sapessi invece che sento un forte senso di compassione e di rabbia per te. Dovresti sapere il perché. Per conto mio, tu, alla tua età, devi ancora imparare l’abc dell’amore, del sesso, della vita, cose che avresti dovuto conoscere, che avrebbero dovuto già fare parte del tuo corredo, della tua età matura. Io non ho né il tempo né l’inclinazione del maestro, dovrai trovarti qualcun altro. Avrei potuto capire una ragazza vergine a venti anni, ma non a trentacinque, e poi in quest’epoca e in questo paese! Hai sprecato uno dei periodi più belli della tua vita. Nessuno potrà ridartelo, mai più potrai riviverlo. In cambio, adesso, domandi molto dalla vita, vuoi recuperare quello che mai più potrai recuperare. Puoi recuperare i soldi che hai prestato a qualcuno e anche con gli interessi, ma non la vita: la vita o la vivi o la perdi, e tu, della tua vita, hai già perso una grandissima parte. Una ragazza con la metà dei tuoi anni può insegnarti tante di quelle cose sull’amore, sul sesso, sulla vita, senza sentirsi portatrice d’un corpo vergognoso e tremante come il tuo. Guarda come trema dal disagio!”

Ed era vero. Ann tremava tutta.

“Non sto cercando una donna come te,” continuò lui visto che lei non parlava, “non saprei neppure come comportarmi con una del tuo tipo. E poi non so se tu cerchi un uomo che ti ami o uno che ti sposi. La donna che io cerco deve aver vissuto la sua parte, così non mi rimprovererà quella che ho vissuto io. Tu né aiuti né onori la tua età, la tua epoca, il tuo sesso, sei solo una ripetizione inutile nell’ingranaggio dell’esistenza.”

Ann era rimasta lì sul letto trafitta da quelle parole inaspettate. Sembrava ipnotizzata, lì ad ascoltare la frusta verbale e gelida di quell’uomo che le aveva dato tante speranze fino a qualche momento prima. Non riusciva a capire, a spiccicare parola, non sapeva cosa dire, come difendersi da quelle accuse, e poi, per farlo, avrebbe avuto bisogno di un punto di appoggio, di un’argomentazione seria per sostenere le sue ragioni e, in quel momento, non la trovava.

Lui, non ancora soddisfatto dopo quanto le aveva detto, ritenendola colpevole del tempo perso, continuò a fustigarla.

“Mantenerti intatta? E per chi? Ma se siamo diventati tutti ignobili! Solo le bestie sono pure, perché non hanno cultura. La cultura è l’essenza stessa del male, di ogni male. La cultura di per sé è una corruzione, una violazione del mistero della natura. Allora? Non era forse meglio aver fatto mille volte all’amore, mille volte salita con gridi orgasmici sulle vette più alte e poi caduta ignominiosamente negli abissi più profondi, piuttosto che tenerti vergine e pura?

“E poi perché casta? La castità non è una virtù, è una fonte di pestilenza. Mamma mia, che spreco, che ignominia! La natura ti rinnegherà, la natura non sa cosa farsene di quelle come te, tu sei un pericolo per lei, un pericolo di estinzione! No, grazie. Non cerco una donna come te, io; non voglio caricarmi di tanta responsabilità.”

Tutto questo astio sprezzante e offensivo era venuto in bocca a Max in modo spontaneo e per la prima volta in vita sua. Insomma, si era ritrovato con la veste del moralista, lui che aveva sempre criticato e detestato ogni tipo di morale. Non poteva più neppure dire di conoscere se stesso!

Ad Ann, a questo punto, era venuto da vomitare, ma era riuscita a controllarsi. Aveva trasformato il senso di vomito in avversione per quell’abominevole individuo che le stava a fianco.

“Sei un essere odioso,” esplose, “senza cuore, senza anima, senza viscere, senza fede: un mostro! Come ha potuto il Signore mettere al mondo una creatura tanto orribile e diabolica? E perché, poi, ti ha messo proprio sulla mia strada? Io che l’ho tanto pregato di aiutarmi a realizzare il mio amore, di tenere lontano da me gli uomini malvagi e schifosi come te! Perché non mi ha ascoltato, perché ti ha messo proprio sulla mia strada? Adesso basta! Non credo più in questo Balordo che sta nei cieli, perché, se esistesse veramente, non avrebbe dovuto farmi un così brutto scherzo mettendomi in rapporto con un essere così depravato e nauseante, così moralmente abietto e truce come te.”

Saltò giù dal letto, raccolse in fretta e furia la sua roba, si vestì in un batter d’occhio e scappò via urlando insulti in piena notte. Ad un certo punto, mentre correva per quella strada solitaria, si era messa a sputare una volta verso Max e un’altra verso cielo e poi di nuovo verso Max.

Questa era ancora un’altra Ann, pensò lui, forse quella vera: la preferiva.

Continuava a correre sputando una volta verso il cielo e un’altra verso Max, mentre lui la seguiva con sguardo beffardo e pietoso. Poi, quando era sparita dai suoi occhi, era tornato in casa e si era messo a bere champagne australiano e ad ascoltare jazz.

Forse, rifletteva Max, il vero contratto con la vita è di non aver alcun contratto. E con questo pensiero si avvicinava molto all’idea di Ruth che, nella sua semplicità, esprimeva proprio questo: vivere liberi, vivere secondo le leggi della natura. Si ravvide – si ravvedeva sempre, tutte le volte che, per una ragione o per un’altra, sentiva il bisogno di mettersi in discussione – pensando che solo le bestie potevano vivere secondo le leggi della natura, non gli esseri umani. Ma allora Ruth era una bestia? No, Ruth era Ruth, e lui era lui, e ognuno doveva vivere secondo le proprie interpretazioni e valutazioni della vita. La sua scelta l’aveva espressa nel suo contratto.

La ricerca continuava.

Nel prossimo post: settima e ultima parte

 

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