Il Paese delle meraviglie (2)
2. Il fare dei meravigliosi
Ritornando a casa
A questo punto della nostra Lettera, Rossi, voglio raccontarti qualcosa di personale. “Personale” per modo di dire perché, in realtà, tutto quello che ti ho scritto finora è “personale”. Io scrivo in prima persona. In ogni modo, mentre ero all’estero, avevo idealizzato un po’ troppo la zolla natale e non vedevo l’ora di ritornarci. Ricordo una conversazione con un mio amico, un certo Dalton, Denis Dalton, un americano, che mi disse un giorno:
“Per quello che so del tuo paese, non sarei poi così ingenuo da credere che lì sia tutto rose e fiori. Comunque, sai, dopotutto, è il paese in cui sei nato, e questo, a volte, lo si difende a torto o a ragione”.
Era così, Rossi: se qualcuno parlava male del mio Paese, in quei tempi, partivo subito all’attacco. Ah, l’ignoranza, l’ignoranza!
Ricordo anche che, una volta, avevo regalato “I Promessi sposi” ad una gentil signora che aveva espresso la curiosità di leggere un romanzo del Pdm (Paese delle meraviglie). Perché “I Promessi sposi?” Perché la libreria in cui ero andato, in quel momento, non aveva altro. Era una vecchissima edizione. Lo comprai. Glielo diedi. A lettura finita, la gentil signora mi ha detto:
“Ma non esistono veri uomini nel romanzo che lei mi ha dato, o, se esistono, sono uomini-burattino, perché nei loro cervelli domina un burattinaio che l’autore chiama Provvidenza”.
Me l’ero presa, ma a torto: non avevo ancora letto questo capolavoro della letteratura meravigliosa.
In ogni modo, è meglio lasciar perdere, parliamo piuttosto delle cose che mi sono successe da quando sono tornato nel Paese delle meraviglie. Partiamo con
La patente
Quando sono arrivato in America avevo la patente francese. Nel giro di qualche settimana ne ho ricevuta una americana. Ho pagato solo per la traduzione. Anni dopo, in Danimarca, sono arrivato con la patente americana. Dopo alcuni mesi, dato che intendevo viverci per qualche tempo, ho dovuto cambiarla. Sono andato all’ufficio di pratiche automobilistiche, ho dato la mia patente e, tre giorni dopo, mi hanno dato quella danese. Se ricordo bene, come in America, ho pagato solo per la traduzione.
Poi, quando sono ritornato nella Santa Santissima Terra dei meravigliosi, ho dovuto farmi, of course, la santissima patente. Non ti dico, Rossi, le scartoffie che ho dovuto compilare. Ho trascorso mesi e mesi chiedendo certificati di nascita e di residenza a destra e a manca, traduzioni, contatti costanti con l’agenzia di pratiche automobilistiche, soldi da pagare e scocciature a non finire. Alla fine, al controllo oculistico, mi è stato detto che dovevo portare gli occhiali. Io, però, vedevo bene, anzi benissimo. Vedevo sulla strada una monetina da lontano. Niente da fare. L’oculista mi diede nome e indirizzo del negozio dove comprarli.
“Faccia il mio nome e vedrà che le faranno anche uno sconto”.
Per dieci anni ho guidato con gli occhiali abbassati sulla punta del naso, perché se li alzavo, non ci vedevo o quasi. Ovviamente, avrei potuto non metterli, però, se mi avesse fermato la polizia, avrei dovuto pagare una multa.
Dopo dieci anni di sconforto, ho dovuto rinnovare la patente, quindi di nuovo l’esame oculistico. Questa volta, secondo l’oculista (non più lo stesso), i miei occhi erano perfetti e non dovevo portare gli occhiali mentre guidavo.
“Bene, me li tolga dalla patente”.
“Sì, ma deve pagare una tassa!”
“Cosa?”
“C’è una tassa da pagare”.
Voilà, Rossi, dopo avere aspettato tanto tempo per la patente, dopo aver sborsato soldi a destra e a manca, dopo aver guidato per dieci anni con quel fastidio davanti agli occhi, ecco il risultato: ho dovuto ancora pagare per farmi togliere gli occhiali dalla patente!
Ad ognuno la sua coscienza
Un giorno ho avuto un incidente. Stavo passando un semaforo con il verde, quando mi ha investito un automobilista che, forse, non aveva visto il rosso. Fortunatamente andavamo piano e non ci siamo fatti male. Rimanevano però i danni (la parte posteriore della mia auto era malmessa) da pagare da parte di chi aveva torto e questo, of course, era di chi era passato col rosso.
I semafori, come sai, non restano sempre verdi o rossi o gialli, cambiano di continuo. Ebbene, quel tipo, era sceso dalla macchina stizzito e si era messo a gridare e ad accusarmi dicendo ch’era colpa mia. Ero io che ero passato con il rosso!
Sono rimasto di stucco. Come si può essere così falsi? A meno che non fosse daltonico, doveva essersi accorto che era stato lui a passare con il rosso e non io. E poi, se fosse stato daltonico, come mai aveva la patente?
Niente, devo essere grato ad alcune persone che si erano avvicinate e avevano calmato quell’energumeno, altrimenti mi avrebbe anche messo le mani addosso.
Qualche tempo dopo, nonostante le assicurazioni, siamo finiti in tribunale. Qui, l’energumeno, giurando liberamente il falso, è riuscito a farsi valere. Ha vinto lui!
Un bar sulla cima dell’Everest
Poco dopo il mio ritorno dall’estero, volevo mettere su un business, così ero andato in una banca per vedere se potevo ottenere un prestito. Sì, potevo, mi aveva detto il bancario, ma dovevo avere una proprietà che valesse più del prestito richiesto. Più del prestito richiesto? Mi sono meravigliato. In America avevo ottenuto prestiti bancari senza ipoteche, semplicemente dopo che la banca aveva effettuato una piccola ricerca sul business che volevo avviare e, una volta fatta, mi avevano dato i soldi richiesti, senza preoccuparsi di sapere se avessi o non avessi una proprietà.
Chiesi all’impiegato: “Ma alla banca non interessa sapere che tipo di business intendo svolgere?”
“No, rispose. Alla banca interessa solo sapere se lei ha i soldi per pagare nel caso il suo affare andasse a rotoli. Per il resto, lei può anche aprire un bar sulla cima dell’Everest!”
Sono rimasto così male da quel colloquio che ho deciso di togliermi dalla testa qualsiasi idea imprenditoriale fino a quando fossi rimasto nel Paese delle meraviglie.
L’idraulico
Dopo che c’eravamo messi d’accordo sui lavori e sul preventivo, l’idraulico aveva cominciato, mentre effettuava il lavoro, a chiedere più soldi di quelli preventivati. E non solo. Avrebbe potuto terminarlo in meno di tre o quattro giorni, invece ci aveva messo due mesi. Veniva, e quando veniva, era per dieci minuti, una mezz’oretta, un’ora al massimo e poi se ne andava dicendo che aveva dimenticato qualcosa, che aspettava del materiale, che doveva andare a finire un altro lavoro e altre scuse.
Per giustificare l’aumento diceva che ci voleva più tempo di quanto aveva pensato, che aveva trovato problemi coi tubi, che il materiale preventivato non bastava ecc. Morale della favola: aveva triplicato il prezzo stabilito inizialmente.
In America, quando ti fanno un preventivo, puoi star sicuro che, alla fine del lavoro, ti trovi a pagare quasi sempre qualcosa, non in più, ma in meno. Era questa, novantanove su cento, l’etica che applicavano i lavoratori lì dov’ero io. Qui è tutt’altra cosa; qui, da quel poco che ho capito, se possono, ti fanno vendere la casa per ripararti il bagno!
La Signora dei telefoni
Quando ho acquistato l’alloggio in cui abito, non c’era solo il lavoro idraulico da fare, c’erano anche altre cose che andavano fatte, tra cui installare la linea telefonica. Ho fatto domanda. Alcuni giorni dopo sono venuti due signori armati di martelli, tenaglie, cavi, cacciaviti, trapani. Volevano mettermi una presa telefonica in ogni stanza. Mi sono ribellato.
“Aspettate, ho detto, non voglio prese telefoniche dappertutto, una sola nello studio mi basta”.
Niente da fare, finirono per mettermene due, una nella camera da letto e l’altra nello studio. Era la prassi e il prezzo era lo stesso.
Prima bidonata con la Signora dei telefoni: il prezzo non era lo stesso. Ho scoperto, parecchi anni dopo, che pagavo il canone per una seconda presa telefonica, senza mai averla utilizzata.
Seconda bidonata con la Signora dei telefoni: prima di collegare l’apparecchio telefonico, ho chiesto se potevo comprarmene uno. Hanno detto che non era necessario, dato che ne avevano, guarda caso, uno lì con loro e che l’offriva la ditta. Ho scoperto poi che non era affatto gratuito! Per parecchi anni ho pagato l’affitto per quell’aggeggio.
Terza bidonata con la Signora dei telefoni: mi sono comprato, anni addietro, un computer, ergo anche Internet. Per navigarci, mi dicono che devo fare un contratto per un anno. Lo faccio pagando in anticipo la somma richiesta, quasi quattrocentomila vecchie lire. Scopro che altri concorrenti offrivano la possibilità di navigare su Internet gratuitamente. Scrivo una lettera disdicendo il contratto. La lettera, non avendola inviata con raccomandata e ricevuta di ritorno, era andata persa, of course, perché mi arriva una bolletta che mi sollecita a pagare per il rinnovo del contratto. Mi rifiuto. Spiego le ragioni per le quali non intendo pagare. Mi dicono che c’era una clausola nel contratto, in base alla quale, per disdirlo, avrei dovuto inviare una lettera raccomandata prima della scadenza!
Quarta bidonata con la Signora dei telefoni: ti spiego, Rossi. In passato, quando navigavo su Internet, non potevo ricevere telefonate e, quando telefonavo, non potevo navigare su Internet. Chiaro? Cosa succede allora? Succede che la Signora dei telefoni, conoscendo questa scomodità dei suoi clienti: o telefono o Internet, o Internet o telefono, una specie di aut aut, aguzza l’ingegno e scopre come può eliminarla. Ed è giusto così, se ci rifletti. Bisogna sempre aiutare l’amatissima clientela, liberarla, in questo caso, dal fastidio: o telefono o Internet, o Internet o telefono.
È andata così. Ricevo una telefonata dalla Signora. Penso che, dopo tutte le bidonate ricevute, non avrei dovuto cascarci di nuovo.
“Pronto!”
“Il signor Guglielmini?”
“In persona. Cosa desiderate questa volta?”
“Niente, solo renderle la vita più facile installandole un cosettino che le permette di telefonare e di navigare su Internet contemporaneamente”.
“E il costo?”
“Nessun costo”.
“Nessun costo?”
“Proprio così, nessun costo”.
“Allora la cosa m’interessa”.
“Lo sappiamo”.
“È gratuito, dunque?”
“Certo, gliel’ho già detto”.
Ci faccio un pensierino. Concludo che, forse, dopo tutti i problemi che mi hanno dato e tutti i soldi che mi hanno preso ingiustamente, adesso vogliono darmi qualcosa gratis.
“Lei risparmierà molto tempo se passa dal sistema vatte-la-pesca al nuovo sistema vatte-la-pesca che le proponiamo”.
“What?”
“Niente, niente, fa la voce, è solo una sigla”.
“Come solo una sigla?”
“Vuol dire non più scocciature, non più o si telefona o si naviga. Con il nuovo sistema, lei può fare tutt’e due le cose contemporaneamente. Guadagnerà molto tempo e il tempo, come dicono gli americani, è denaro”.
“Il tempo, mi ripeto mentalmente, non è denaro, come dicono gli americani, ma è vita!”
Arrivano. Sono di fretta. Dicono che hanno migliaia di altre persone in lista che aspettano il nuovo giocattolino. Sono superbusy. Fanno il lavoro in quattro e quattr’otto e la scocciatura o Internet o telefono, o telefono o Internet è finita.
Ahimè, non sono rimasto felice e contento per molto tempo. No, Rossi, affatto. Vuoi sapere perché? Vuoi proprio saperlo? Ebbene, da quando mi hanno installato il nuovo aggeggio, mi hanno raddoppiato il canone! Ora tu pensi che se mi avessero detto che mi avrebbero raddoppiato il canone, pensi veramente che avrei accettato la loro proposta? Incredibile, incredibile, incredibile! Ancora una bidonata! Mi avevano raddoppiato il canone dicendomi semplicemente che avevo due linee. Avevano ragione: avevo due linee! Non è finita qui.
Quinta bidonata con la Signora dei telefoni. Questa, la Signora dei telefoni, è diventata l’ossessione della mia vita. Mi perseguita, non mi dà tregua. Niente, mi arriva, ottobre 2004, senza averlo chiesto, un cordless e mi si dice che devo pagare cento e rotti euro! Non li pago; non lo voglio. M’incazzo! Telefono chiedendo le ragioni di questa nuova impostura. Mi si dice di rispedirgli il cordless. Scocciature a non finire: fare il pacchetto, scrivere l’indirizzo, andare alla posta, pagare e, infine, fatto.
Fatto un corno! Mi arriva una bolletta in cui mi si dice che devo pagare per il cordless! Non pago. Mi staccano il telefono. Ce l’ho ancora staccato. Oh Rossi, Rossi, what’s next!?
La voltura
Prima di morire, i miei genitori avevano diviso in parti uguali tra me e mia sorella la proprietà, la terra e la casa che avevamo. Ritornando dall’estero, ho deciso di vendere a mia sorella la mia parte. Andammo dal notaio e facemmo ciò che si doveva fare. Pagò lei tutte le spese per le pratiche. Così, dopo questa demarche burocratica, terra e parte della casa che mi appartenevano diventarono sue, giustamente.
Anni più tardi, mi arriva una tassa concernente la proprietà che mi avevano lasciato i miei genitori e che avevo venduto a mia sorella. Telefono al comune dicendo che quella proprietà non era più mia, perché l’avevo venduta ormai da anni.
“Qui risulta, rispose l’impiegato, che quella proprietà è ancora intestata a lei. Lei è il padrone. Potrebbe anche venderla, se volesse”.
Cos’era successo? Il notaio, per non pagare le tasse sui soldi che gli aveva dato mia sorella, non aveva fatto la voltura. La proprietà, quindi, era ancora mia a tutti gli effetti!
Un fondo pensionistico molto sicuro!
Ho quasi finito i soldi che ho portato dall’estero, Rossi. Le banche del Paese delle meraviglie, una volta con l’inflazione, un’altra perché l’investimento è andato male, un’altra ancora per la svalutazione della moneta eccetera, eccetera, hanno fatto in modo che restassi senza soldi. Gli ultimi che mi sono rimasti, mi si consiglia di investirli in un fondo pensionistico. Dico che non voglio nessun investimento, tanto meno pensionistico, ma che me li tengano in banca anche a tasso zero, sostenendo che, per quello che mi sarebbe rimasto da vivere, mi sarebbero bastati. Niente da fare, l’impiegato della banca insiste. Mi promette che in dieci anni avrei raddoppiato il capitale, senza nessun rischio, un investimento sicuro al cento per cento, e poi è un “fondo pensionistico!”
Okay, stufo di argomentare, dico: “Faccia lei”.
Risultato: ho perso quasi tutti i miei soldi. Li aveva investiti in titoli che non erano neppure quotati in borsa! Ecco dove sono andati a finire il mio sudore, la mia pensione!
Niente, sono in causa con la banca. Spero solo che la Santa Santissima Legge Meravigliosa sia dalla parte del “giusto”, altrimenti mi attenderà una vecchiaia da barbone!
Legalized thieves
Hanno ragione gli inglesi quando sostengono che le banche sono legalized thieves – ladre legalizzate. E lo sono anche secondo un mio conoscente. Ha una sua teoria. Sostiene che, se sei un “tonto”, uno di quelli che ha sgobbato e risparmiato tutta la vita e affidi il tuo sudore a queste istituzioni, queste trovano sempre il modo “legale” per portarti via almeno una parte del denaro depositato.
Per esempio, se depositi 100mila euro, te ne rubano 10mila; se depositi 50mila, te ne rubano 5mila, e così via. La cifra, in altre parole, varia a seconda del deposito.
Questa, secondo lui, è la prassi delle banche nella Santa Santissima Terra dei meravigliosi. Poi, una volta che ti hanno rubato i soldi, riescono a farti credere che sei stato anche fortunato per non aver perso tutto il capitale. Quindi devi essere ancora grato alla banca!
Questa modo di agire, sempre secondo il mio conoscente che, guarda caso, lavora in banca, spiega perché non ci sono stranieri che investano i loro soldi da noi. Nessuno o quasi, dice lui, investe nel Paese delle meraviglie. In Inghilterra, per esempio, gli investimenti stranieri sono del 65%; in Germania del 45%; in Belgio del 35%; nella piccola Danimarca, neppure 6 milioni di abitanti, tanto per tagliare corto, gli investimenti stranieri sono il doppio di quelli che si fanno qui da noi: il 5%! Questo 5% investito nelle nostre banche, sempre secondo il mio conoscente, non è denaro straniero, ma appartiene a quei “tonti” meravigliosi che lavorano all’estero!
Il vino
Un giorno sono andato con mia moglie in un supermercato e ho visto che c’era del vino in offerta. Ne ho comprate due bottiglie. A casa l’ho assaggiato. Niente male.
Sono ritornato al supermercato e ho chiesto alcuni cartoni. Purtroppo, mi hanno detto che quello in negozio era esaurito. Se volevo, potevo ordinarlo. Così ho fatto: due cartoni per ciascun tipo.
Qualche settimana dopo mi hanno portato a casa il vino, però, guarda caso, non era più lo stesso. L’etichetta e la bottiglia sì, ma non il contenuto. I tipi di vino che avevo assaggiato io, un prosecco e un barbera, il primo frizzante, pastoso e piacevole al palato, il secondo un po’ più robusto, ma altrettanto buono, erano tutt’altra cosa. Invece, il vino che mi avevano portato a casa era quasi acetoso.
Cos’era successo? Un giochetto da bambini: avevano messo in saldo alcune bottiglie di vino buono e, poi, secondo l’ordine di tutti quelli che avevano abboccato come me, avevano imbottigliato e distribuito tutt’altro vino!
Il venditore ambulante
L’altro giorno, mentre stavo aprendo il cancello del cortile per mettere dentro l’auto, dietro la mia si era inchiodato un furgone carico di frutta. Era sceso in fretta e furia un bel giovane tra i 25 e i 30 salutandomi, afferrandomi e stringendomi la mano calorosamente e dicendomi che i suoi genitori erano preoccupati perché non mi avevano più visto o sentito da tempo. Si chiedevano come stavo. Mentre diceva questo e altro, si era messo a mettere giù alcune casse di pesche, meloni, fichidindia (4 casse). Tutta l’operazione era avvenuta nel giro di qualche minuto.
Ho dato una sbirciata al giovane. Mi pareva di non averlo mai visto prima. Intanto a fianco della portiera dell’auto c’erano quelle 4 casse che lui aveva appena scaricato. Ho immaginato cosa voleva. Non avevo ancora aperto bocca. Aspettava. Cosa fare? Dirgli di ricaricarsi la sua roba sul furgone e di lasciarmi in pace, perché né io né mia moglie vivevamo solo di frutta.
Aveva smesso di parlare. Aveva perso il brio iniziale. Continuava ad aspettare. Sfuggiva i miei occhi. Aveva capito che avevo capito. Era arrossito un po’. Cosa lo spingeva a tutto questo? Che sciocca domanda. Aveva un viso intelligente, pronto. Ho pensato che avrebbe potuto essere mio figlio. Questo pensiero ha portato automaticamente la mia mano al portafogli, l’ho aperto e gli ho detto di prendersi l’equivalente delle 4 casse di frutta. È quello che ha fatto. Intascati i soldi, è salito sul van ed è sparito.
Ho rimesso la macchina al suo posto, chiuso il cancello, poi ho portato, non senza fatica, la frutta in casa pensando di darla ai miei vicini. Avevo sistemato le casse provvisoriamente in cucina. Mi stavo versando dell’acqua in un bicchiere quando le mie narici sono state assalite da un odore acre, sgradevole. Era l’odore dei meloni marci. Anche le pesche e i fichidindia lo erano. Li aveva bene camuffati. Non mi ero accorto di questo dettaglio. Ho portato e buttato tutto nel cassonetto dell’immondizia prima che arrivasse mia moglie.
Per giorni mi sono portato dentro la rabbia. Non contro il giovane che mi aveva imbrogliato così miseramente, ma contro tutto un paese.
L’amministratore
Nell’edificio dove io e mia moglie abitiamo, Rossi, ci sono dodici appartamenti, tre per piano. In uno di questi abita un maresciallo della guardia di finanza. Una simpaticissima persona. Amico di tutti e non solo nostro. Pensa che, spesso, appoggiati alla porta del suo appartamento ci sono dei bei pacchi lasciati lì dai commessi quando non trovano nessuno in casa. Non ti dico poi dei regali che riceve tra Natale e l’Anno Nuovo. Tutto il pianerottolo, a volte, è pieno di involucri di ogni genere. Questo succede quando non c’è nessuno in casa del signor maresciallo della finanza.
Di fronte al suo appartamento abita una signora anziana. Mi capita di andare a trovarla. Vuole sempre offrirmi cioccolatini. Poi dice: “Me li ha dati il finanziere”.
Niente da dire, un uomo molto capace e generoso.
Ha un figlio. Pare che abbia faticato non poco per prendersi il diploma da ragioniere e pare anche che suo padre abbia sudato non poco per farglielo ottenere. Una volta ottenutolo, il signore della finanza è venuto a bussare alla porta di ogni condomino pregandoci di dare l’amministrazione dell’edificio a suo figlio, ora ch’era diventato ragioniere. Avremmo risparmiato soldi oltre ad avere una comodità a portata di mano. Figurati, eravamo tutti contenti. Così è stato fatto.
L’unico inconveniente, con questo cambio di amministrazione, è stato che, nel giro di qualche anno, ci siamo ritrovati con le spese condominiali raddoppiate, oltre a dover pagare per lavori nell’edificio non necessari e a volte addirittura inesistenti. Il nuovo amministratore s’inventava sempre qualcosa: impianti elettrici, tettoie, lavori in cantina, antenne televisive, riparazioni di ogni genere. Figurati che il portone d’entrata, in noce, bellissimo, orgoglio dell’edificio, il nuovo amministratore ha trovato il modo di cambiarlo, sostenendo che non funzionava. Si è saputo poi che l’aveva piazzato nella casa che suo padre si stava costruendo fuori città.
Niente, con il nuovo amministratore, il nostro edificio era diventato un cantiere. Faceva tutto di sua iniziativa. C’erano sempre lavori in corso, sempre cose da pagare e non c’era più pace in casa con tutti i rumori che si sentivano.
È guerra. Alcuni cercano di vendere l’appartamento, ma non ci riescono: le spese condominiali sono troppo alte. Iniziano i litigi, tanti litigi nelle nostre assemblee condominiali. Scappa un cazzotto, poi un altro. Qualcuno del condominio finisce all’ospedale. Il padre dell’amministratore, il maresciallo, quello che era venuto a bussare alle nostre porte per dirci di dare l’amministrazione dell’edificio a suo figlio, per tenere l’ordine nei nostri incontri e per incutere timore, si presentava in divisa alle assemblee condominiali. Un vecchietto, quello che abita al primo piano, in una riunione molto calda, dopo avergli sputato in faccia gli si è lanciato contro e ha iniziato a tirarlo per la giacca, tanto da strappargli i bottoni.
Abbiamo anche chiamato i carabinieri. Ci hanno fatto capire che sarebbero ritornati solo quando ci fosse stato qualcuno spianato morto o ferito per terra.
Questi scontri violenti, comunque, non sono mai serviti a nulla. Lo squalo non è disposto a mollare la preda. E così, dopo che nulla funziona più nello stabile, dopo che, in dieci anni, le spese condominiali si sono quadruplicate in confronto a quelle che pagavamo col precedente amministratore, dopo che la discordia ha contaminato tutti, incluso il sottoscritto, dopo aver cercato disperatamente un nuovo amministratore – difficile da trovare perché, quando sentono il nome del nostro amministratore, “figlio di uno della finanza”, nessuno vuole averci a che fare – dopo, dopo, dopo…, non si è concluso ancora nulla. Adesso siamo per vie legali. Come vedi, amico Rossi, il Paese delle meraviglie, non delude mai!
L’industriale L. P.
Nei primi anni dopo il mio ritorno, una mattina, nel bar sotto casa, ho incontrato un tipo. Era un industriale, l’industriale L. P. Vendeva anche all’estero, particolarmente nei paesi orientali, macchine e macchinari tessili vecchi e nuovi. Mi propose, una volta a conoscenza del mio lavoro, di diventare suo collaboratore per un paio d’ore al giorno. Dato che conoscevo l’inglese, il mio compito sarebbe stato quello di prendermi cura dei clienti esteri.
L’ho fatto per cinque mesi. Nell’ufficio c’erano sua moglie, che lui picchiava regolarmente, e una segretaria, giovane. Questa non durava mai più di un mese. Ho scoperto che metteva degli annunci sui giornali locali offrendo un posto di segretaria a giovani apprendiste. L’accordo diceva: “Se sei brava, dopo un mese di apprendistato, il lavoro sarà tuo”. Nessuna, però, neanche la più brava segretaria del mondo, avrebbe mai ottenuto quel posto. Sfruttava le ragazze per un mese senza dar loro una lira e poi diceva che, purtroppo, non era esattamente quello che lui cercava. Questo si verificava sempre all’ultimo giorno di prova della ragazza. Il giorno dopo ce n’era pronta un’altra, entusiasta e giovane.
La cosa con L. P. non si fermava solo allo sfruttamento delle ragazze. Era un vizioso. Verso la fine del mese di apprendistato, quando si era ormai stabilito un certo feeling tra lui e la would be segretaria, dichiarava alla giovane che doveva recarsi all’estero (che poi era sempre in Svizzera) per lavoro e che desiderava portarla con sé per farle conoscere alcuni clienti importanti. Figurati, la ragazza, non immaginando i suoi sporchi piani, impazziva dalla gioia, convinta che tutto stesse andando per il verso giusto. Una volta in Svizzera, però, per una ragione o per un’altra, l’appuntamento col cliente, guarda caso, veniva annullato (in realtà non c’era mai stato), quindi, dopo un caffé qui e un giretto là, si andava in albergo. Una volta qui, L. P. trovava sempre una scusa per dire che aveva speso tutti i soldi che aveva portato con sé, che aveva dimenticato il bancomat, che non c’erano altre camere ecc., proponendo alla giovane, di punto in bianco, di trascorrere la notte nella sua camera!
Naturalmente, non sempre le cose andavano come lui si aspettava, ma, la maggior parte delle volte, riusciva ad ottenere, comunque, sempre qualcosa, il verme!
L’ultimo venerdì del mese che ho lavorato per quella canaglia, Daniela, la ragazza che stava per lasciare il posto alla successiva fortunata candidata segretaria dell’industriale L. P., mi aveva parlato della disperata situazione economica in cui versava la sua famiglia: mamma invalida, padre morto, fratello drogato, senza soldi, pieni di debiti, rischio di sfratto.
Quello stesso venerdì, sapendo cosa attendeva Daniela, ero passato dalla banca e, dopo che l’industriale L. P. aveva dato all’ “aspirante segretaria” la bella notizia, le ho dato tutto il denaro che ero riuscito ad ottenere da quella schifezza d’uomo durante i miei cinque mesi di lavoro con lui.
L’assicurazione
La storia che più mi offende, Rossi, tra tutte quelle che ti ho raccontato fin qui, è quella della buon’anima del signor Rupolo, morto suicida, il mio “fu” vicino di casa. Il signor Rupolo era andato da un’assicurazione, perché, avendo un figlio handicappato, voleva lasciargli … L’assicurazione era riuscita… No, Rossi, scusa, non credo di farcela a raccontarti quest’altra storia. No, non te la racconto; anzi, non ti racconto più niente. Mi è preso lo schifo, il disgusto, il…
Vivere nel Paese delle meraviglie
Quando sei giovane, amico Rossi, puoi anche fartela mettere nel culo più volte al giorno. Insomma, sei giovane, devi fare esperienza. Ah, l’esperienza, l’esperienza, che gran bella cosa!
Cosa succede, però, quando non sei più giovane, quando non hai più spazio per lo sperma che ti viene iniettato e che devi comunque continuare a prendere? Diventa faticoso, amico mio, atrocemente faticoso. Ed è qui che volevo arrivare. Vedi, nel Paese delle meraviglie, uno deve avere un culo senza fondo, se vuole vivere bene. Non c’è altra via.
Ovviamente, ed è vero anche questo, è tutta questione di pratica, di allenamento, di ginnastica, training dicono gli inglesi. Perciò, se ti abitui a questa puntura spermosa e, inoltre, ci trovi anche piacere, great! Che fortuna, dalla nascita alla morte vivrai di piacere, col brivido di quel “momento” che, prima o poi, stai pur certo, si presenterà e ovunque tu sia nel suo territorio. Per te, allora, il Paese delle meraviglie sarà il più bel paese del mondo.
Ora, però, Rossi, prova a pensare alla vita di quelli che non hanno un culo senza fondo. E non solo. Ce l’hanno persino stretto e delicato e, per di più, trovano ripugnante l’esercizio della puntura. Prova, amico, prova a pensare anche a loro che la puntura se la devono comunque beccare!