Il segno della croce tra gli atleti
La domanda è:
È eticamente tollerabile che gli atleti possano farsi il segno della croce quando sono in azione? Ad esempio, nel campionato di calcio Argentina vs Germania, brasile 2014, i calciatori argentini (io ne ho visti 4) si facevano il segno della croce prima di entrare in campo. Sappiamo com’è finita la partita. Però, supponiamo che avessero vinto gli argentini, avrebbero vinto loro o li avrebbe fatti vincere il loro dio?
E come la mettiamo poi fra quei calciatori che credono e quelli che non credono e fanno parte della stessa squadra? Il calciatore non credente, non pensa che sia stato dio a farlo vincere. Affatto. Quest’essere, per lui, non ha nulla a che vedere con la sua vittoria. E allora?
Quando un ciclista sta per vincere una tappa e al momento di superare la striscia bianca si fa il segno della croce oppure guarda in alto in segno di ringraziamento, cosa vuol dire? Vuol dire che non è stato lui a vincere la tappa, ma gliel’ha fatta vincere il suo dio. Questo atleta, col suo gesto, invalida tutta la sua fatica, la sua sofferenza, preparazione agonistica regalando la sua vittoria ad un essere di cui lui non ne sa nulla.
Ritorniamo ai calciatori argentini. Conosciamo gli esseri umani: tutti corruttibili, tutti fragili, tutti vanitosi, tutti pronti a facili guadagni, eccezioni a parte. Allora, supponiamo che il prete, prima del match, abbia detto loro che ci saranno 50mila/100mila euro per chiunque si faccia il segno della croce durante o all’inizio o alla fine della partita se avessero vinto, quanti calciatori, anche se non credenti, si sarebbero corrotti per una tale cifra? Per la chiesa, il cui denaro non l’ha sudato, pubblicità di questo genere, non ha prezzo! E allora?
Insomma, come il crocifisso nei tribunali, nelle scuole, in tutti i luoghi pubblici va vietato, così il segno della croce agli atleti dovrebbe essere vietato. La credenza è una cosa personalissima e ognuno dovrebbe avere il pudore, la delicatezza, la sensibilità di tenersela per sé e non farne merce pubblica!
C’è una sola cosa che non condivido: il divieto. A prescindere dal segno di croce, ognuno per scaramanzia può toccarsi le palle, incrociare le dita, indossare un cornetto se ci crede. È ovvio che il crocefisso non va appeso nei luoghi pubblici perché è come dire che la scuola, l’ospedale pubblico è sotto la protezione del Dio cristiano-cattolico. Sul segno di croce nelle partite c’è da dire anche che è un comportamento profondamente antisportivo. Perché è come tirare Dio (ritenuto l’arbitro supremo) per la giacca e dirgli: favorisci me, non l’altro, fammi assegnare un calcio di rigore ecc. anche se io sono una schiappa e l’altro è il più forte e meriterebbe di vincere. Stessa cosa, ma più grave ancora, accadeva nelle guerre e perfino nei campi di concentramento dove un povero condannato pregava di stornare la condanna da lui e che piuttosto si abbattesse su un altro.
Ritengo non corretta la interpretazione che si vuole attribuire al segno della croce. Nessuno vuole tirare Dio in ballo e schierarlo dalla propria parte per giocare 12 contro 11. Una persona che crede si affida a Dio prima della prova chiedendogli forza e sostegno morale, alla fine della partita ringrazia comunque a prescindere da come sia andata. E il crocifisso negli ospedali è per i credenti un momento di consolazione. Toglierlo non farà guarire piu rapidamente gli atei, quindi chi trae giovamento della sua assenza ? Non capisco perché un 10% della popolazione debba condizionare il restante 90% per cose di questo tipo. E se parliamo di integrazione, non sarebbe meglio appendere al muro oltre al crocifisso qualche scritta religiosa in ebraico o in arabo ? Ah gia… E gli atei ? Mmmm. Facciamo così : in ordine mettiamo un crocifisso, una bella scritta in arabo, una in ebraico e sotto una in italiano : ” sono tutte palle “. Cosí anche gli atei saranno felici…
Le nostre sono tutte interpretazioni, Vittorio, che nascono e muoiono nella nostra testa. L’unica cosa è che alcune di esse sono più corrette, per quello che riguarda la realtà in cui viviamo, delle altre.