Il sogno d’una vita – terza e ultima parte
Paolo il muratore aveva ascoltato con interesse la lunga tirata dell’Onorevole. Si era morso più volte le labbra mentre lui parlava e continuava a trovare difficoltà a credere a quello che sentiva. Si era illuso, quindi, se quello che diceva l’Onorevole era vero, di vivere in un paese democratico, giusto, dove tutti i cittadini erano uguali. Invece non era così, e non poteva essere così se quel tipo poteva prendersi la pensione solo dopo alcuni anni di bel far niente!
“Auf jeden Fall”, attaccò di nuovo l’uomo dalla faccia butterata quando l’Onorevole aveva smesso di parlare, “lasciando da parte tutto quello che hai detto, a te sembra giusto che lo Stato, un’istituzione che tu per di più detesti, ti debba pagare una pensione molto elevata per il resto della tua vita senza che tu gli renda più servizio?”
L’Onorevole questa volta guardò l’uomo dalla faccia butterata con disprezzo. Fece una smorfia e a testa bassa e deciso caricò nuovamente.
“Tu non hai capito un accidente di tutto quello che ho detto. In ogni modo, io non costerò molto, non allo Stato comunque, il quale non si è mai sporcato un dito, ma costerò ai contribuenti. Sono loro che pagheranno la mia pensione.
“È lo stesso,” fece l’altro.
“Non per me,” continuò l’Onorevole. “Voglio dirvi ancora una cosa. In questi miei anni di attività politica, non vi dico quante volte, se avessi voluto, mi sarebbe capitato di riempirmi le tasche. Bastava solo dire ‘Sì’ e poi prendere e basta. Verstehen Sie? Nur dass, nur dire “Sì”. Non l’ho mai fatto, non ho mai approfittato della mia posizione. Ho fatto unicamente il mio lavoro, ecco tutto. Perciò io la pensione me la sono guadagnata e me la prendo!”
“Vedrete,” disse la donna avvenente composta e calma, “vedrete che se questo coso a Roma continua a scialacquare i soldi di quelli che lavorano, come lo sta facendo adesso, finirà ben presto per non averne più. A questo punto ne vedremo delle belle!”
Paolo non aveva mai pensato che le cose funzionassero in quel modo al Palazzo. Iniziò a temere per la sua tanto agognata e sognata pensione quando la donna disse “… se questo coso a Roma continua a scialacquare i soldi di quelli che lavorano, …” Aveva capito benissimo lui, anche se era un ingenuo, aveva capito cosa la donna intendeva dire per “coso”: il governo. Ma com’era possibile tutto quell’imbroglio? Continuava ad ascoltare con maggior attenzione, anche se si sentiva terribilmente debole e stanco.
“Per come vengono gestite le cose in quel putiferio, nulla è da escludere, tutto è possibile,” finì per dire l’Onorevole riprendendo a guardare il magnifico paesaggio davanti a lui.
Vittorio, l’aiutante di Paolo il muratore, era sbucato da qualche parte e aveva chiesto a Paolo se doveva impastare altra calce. Il muratore gli aveva fatto cenno di no e l’altro era sparito com’era apparso. Paolo continuava a sentirsi fiacco, oppresso dalla fatica. Aveva freddo, sudava freddo, si sentiva la febbre addosso, aveva iniziato persino ad aver paura. Che cos’era? Cosa gli stava succedendo? Solo con sforzi su sforzi riusciva a stare in piedi, a far credere a quei signori che stesse lavorando. Quel suo corpo minato logoro spossato, come mai prima, lo stava torturando. Durante tutta la sua vita, lui, non aveva fatto altro che sgobbare come un asino da mattina a sera e solo per sopravvivere con la famiglia, altro che disquisire!
Quando la biondina, quella che fino allora aveva detto solo qualche parola, si mise a parlare, fu un altro terribile colpo per Paolo. Era riuscito a cogliere il senso delle sue parole e, in quello stesso istante capì, capì quello che non aveva mai capito fino ad allora, capì di essere vissuto unicamente per concimare la malerba.
“Io la vedo in questo modo,” disse la donna che poteva ben essere la moglie d’un Cartier, poiché ovunque uno guardasse il suo corpo, lì avrebbe visto gioielli, “a quelli come noi, sicuramente le leggi per come sono fatte, e fin quando restano così, vanno bene, anzi, benissimo! Sì, lo so, è una vergogna. Ci sono anche quelli come lui,” e dette una sbirciata verso Paolo. “Certo, quelli come lui,” continuò fredda e sprezzante, “cosa volete, in fondo in fondo questi straccioni non si sono mai ribellati, non hanno mai avuto il fegato di alzare un dito contro coloro che li usano: simbiosi perfetta tra sfruttati e sfruttatori. Sono solo capaci di sgobbare. Non sono mai riuscita a capire perché proprio noi dobbiamo avere della gente tanto ossequiosa, disgustosamente servile, elemosinante, vile e di una ignoranza spaventevole. Nei paesi civilizzati, se nel governo, nelle istituzioni, nelle grandi industrie, accadessero cose simili a quelle che accadono qui da noi, la gente si sarebbe ribellata un milione di volte, sarebbe andata a scovare nelle loro case con tridenti archibugi mannaie i criminali e i ladroni e li avrebbe fatti a pezzi. Qui invece il popolino al massimo scende in piazza, pesta i palmi, assorda i timpani, sbraita, poi sfinito e intontito ritorna a casa e il giorno dopo continua a leccare il culo proprio a quelli che lo pelano, a quelli che ha applaudito il giorno prima: i suoi negrieri di sempre. Incredibile, siamo diventati un’altra India! Là come qui, qui come là. Per me,” finì per dire con palese scherno quell’essere ingioiellato, “se credono questi pezzenti che saremo noi ad andare a fare la rivoluzione per loro, per difendere i loro interessi, allora sì che possono aspettare!”
Fu in quel fatale momento che qualcosa fece trasalire i signori. Era stato un rumore sordo, pesante, sgangherato, era stato il corpo di Paolo che non resistendo più, era cascato per terra di colpo e quando aveva raggiunto il suolo, il suo sogno, il suo tanto agognato e amato sogno, non c’era più.
Questo racconto, “Il sogno d’una vita”, è stato scritto nel 1983-84, alcuni anni dopo ch’ero ritornato dall’estero, e pubblicato nella collezione di racconti “Andando a Canberra” nel 1998 con “Quaderni di Contro Corrente”. Era ovvio già allora dove sarebbe andato a finire questo paese. Forse proprio per questa ragione nessuna casa editrice ha pubblicato i miei racconti: parlavano d’una realtà banale ma vera e la verità qui da noi è stata sempre una cosa scomoda. Infatti, miei romanzi, racconti, scritti, aspettano ancora un editore.