Il vecchio al pronto soccorso – in due post, il primo
Ero andato al pronto soccorso per farmi medicare un dito, un pomeriggio, dopo avergli dato, per sbaglio naturalmente, un colpo di martello, disse Orazio Guglielmini a Rossi. C’era tanta gente che aspettava e pochi dottori e infermieri. Un vecchio su una barella rantolava. Lo guardai. Lui non mi notò, non penso. Sembrava mal messo. Aveva un viso stanco, un aspetto moribondo e respirava con fatica. Qualcosa si stava sgretolando rapidamente in lui. Visto le condizioni in cui era sentii il dovere di chiedergli: “Vuole che cerchi un dottore?” Non mi rispose. Forse non si accorse neppure che gli avevo rivolto la parola. Era alle prese con cose più importanti della vita lui, molto più importanti delle ombre come me che gli baluginavano attorno.
Vidi arrivare il prete. Si vede che qualcuno l’aveva chiamato. Infatti, era andato dritto dritto da lui. Allora la situazione era drammatica, pensai. Il prete iniziò a parlargli. Capì, sicuramente capì che, nello stato in cui il vecchio era, gli restava pochissimo da vivere. Voleva fare in fretta a somministrargli i sacramenti, ma non fece in tempo, Dio non glielo permise. Il vecchio, dopo due colpi di tosse e un leggero arcuare del corpo, s’afflosciò, non si mosse più, morì mentre stava cercando di mormorargli qualcosa. Era rimasto con gli occhi spalancati e la bocca aperta.
Quando il prete capì cos’era successo, fece una smorfia, sicuramente deluso perché non era riuscito a finire il suo lavoro. Non gli mise il crocifisso sulle labbra, non si scompose, non si agitò, non chiamò qualcuno, diede solo un’occhiata in giro: non vide nessuno, nonostante fossimo tutti lì a guardarlo. Gli chiuse gli occhi, la bocca, gli incrociò le mani sul petto, lo coprì fino al collo con la coperta. Si fece il segno della croce e poi sparì, lasciandolo caldo caldo lì sulla barella. Il vecchio, nel modo in cui l’aveva lasciato il prete, sembrava dormire.
Come uomo poteva essere chiunque. Aveva una fronte ampia, capelli bianchi, viso ovale; dall’aspetto era difficile dire se appartenesse ai Rossi oppure a qualche altra classe. Era un uomo e basta. Un cadavere su una barella ora. Una vita, un essere umano, un mondo, un universo, un niente, lì di fronte a me, in quel corridoio freddo, spettrale, con gente tutt’intorno.
Chissà qual era stata l’ultima immagine su cui si erano chiusi i suoi occhi: il tetro soffitto del corridoio del pronto soccorso, il viso pallido del prete, oppure, in quel momento dei momenti, stava ricordando qualche esperienza lontana o vicina della sua vita? Difficile dirlo. Ma, dato che stava cercando di dire qualche parola al prete, allora non poteva avere nello stesso tempo altre immagini per la mente, soprattutto nel momento in cui stava per spegnersi, perché, quando le forze sono minime, le immagini al cervello, oltre che sfocate, arrivano anche lentamente e con fatica. I suoi occhi, probabilmente, si erano chiusi tra il tetro soffitto del pronto soccorso e il viso pallido del prete. Le tenebre, da un istante all’altro, l’avevano inghiottito per sempre.
E adesso? Lì, né più né meno che come un cane morto, come un albero morto, come la carcassa di una macchina lasciata sul ciglio di una strada, come un rudere che ti chiede anche se non te lo chiede: “Perché sono finito così?” e tu non sai cosa rispondere, e tu rimani lì scioccato e terrorizzato ma sveglio.