In tutto questo show, guarda caso, manca proprio lui, il Soggetto, Dio

Durante questi giorni frenetici di attesa del conclave, il Paese è oggetto di innumerevoli dibattiti, di innumerevoli trasmissioni e conferenze, trasmissioni e conferenze tenute da grandi esperti, da grandi specialisti, da grandi santoni, da grandi dottori della metafisica, conferenze e trasmissioni tenutesi in onore del nulla e sul nulla. È già una festa solo a vedere questi signori esperti discutere discutere discutere e di cosa? Del nulla. Grande! Si parla infatti di ricerche sul nulla, di come distribuire il nulla nel Paese, in Europa, nel mondo, di come fare ricerche ed esperimenti sul nulla, di come vendere il nulla ai Marziani, di cosa vuol dire il nulla, cioè cosa vuol dire Nothingness, Néant, Nichts, Nada, Bogududù. Insomma, è veramente veramente un grande spettacolo.

Anzi fantastico. Proprio much ado for nothing, proprio uno show, uno show in cui manca, of course, il soggetto principale, Dio. Questo non esiste e se non esiste non esiste. Ormai lo sanno cani e porci che Dio non esiste, che Dio è un’invenzione, Gesù poi una fandonia unica (vedere “La favola di Cristo” di Luigi Cascioli; “Oltre la Bibbia” di Mario Liverani; “Trattato di Ateologia di Michel Onfray; “L’Illusione di Dio” di Richard Dawkins; “Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa” di Christopher Hitchens, ecc.), dei santi non ne parliamo neppure, solo scimmie antropomorfe, né più né meno che bestie imbalsamate appartenenti al regno animale.

Questo, il regno animale, dopo Darwin, è stato riconosciuto come tale da tutti i paesi un po’ evoluti nel mondo, eccetto lo Stato del Vaticano, of course. Infatti, l’Istituzione Vaticana continua  a vendere il regno del nulla come il regno di Dio. Grande grande grande, avrebbe detto Roscellino, grande spacciare flatus vocis per il regno di Dio. Proprio un bel show, uno spettacolo comme il faut, fatto alla grande in onore dell’aria fritta che ormai regna da millenni in questo fortunatissimo Paese.

Dall’altra parte c’è la realtà, la fenomenicità, gli umani, quelli veri, quelli attanagliati dall’angoscia, dalla miseria, dalla disoccupazione, dalla fame, dai problemi di tutti i giorni. Un giovane italiano su quattro non trova lavoro; il paese intero sta andando alla rovina; è stato già messo all’asta; non ha più una guida, non ha più niente, solo il nulla, il nulla che propina il Vaticano. Infatti, si nutre del nulla. Ingoia il nulla da mattina a sera e da sera a mattina. Strano, però, nonostante mastichi il nulla da mattina a sera, non fa mai un’indigestione.

È proprio così, siamo da sempre noi italiani alla mercè del nulla, del déjà-vu, un déjà-vu millenario; siamo da sempre alla mercè d’una campana il cui din don non cambia mai e il suo din don è ormai diventato il nostro dna. Non c’è da meravigliarsi se andiamo matti per questo din don che non cambia mai, il nulla che non cambia mai, il nulla che ormai siamo diventati. Grande.

Infatti è solo e tutto una montagna di formalità priva di senso, questo show, una montagna mastodontica zeppa di grottesco, nient’altro. E adesso si prepara l’uscita del nuovo clown, il patrono assoluto della montagna zeppa di grottesco, cioè si prepara il pallone gonfiato di menzogne, di ipocrisie, di falsità, di cretinate, di prese in giro, di assurdità di ogni calibro e dimensione per poi, una volta eletto da una banda di poveracci interessati e furbi, mandarlo sul trono della superstizione più in vista al mondo, quella della Chiesa Cattolica Romana, la Chiesa Cristocatto, e da qui arringare il gregge di tutto il mondo. Grande.

Vorrei riportarti qui, mio caro lettore, un piccolo brano preso a prestito da “L’Indifferenza divina”. A me piace molto, spero che piaccia anche a te. Eccolo:

“Voglio darti, Rossi, disse Orazio Guglielmini, voglio darti un’immagine di come “io”, un habitué del teatrino papale, in ultima istanza, mi figuro il grande, divino, inefallibile personaggio.

“Ecco, prendi un orangutan, lo depili in tutte quelle parti che non possono essere nascoste dagli abiti, gli dai una passata di smalto bianco sul muso, sulle orecchie, sulle zampe, oppure gli metti i guanti, poi un po’ di rossetto sulle labbra, gli metti il cappello sulla testa, la veste, la croce pettorale, l’anello, il pastorale in mano, non dimenticare le scarpe. Una volta addobbato, gli fai fare una bella sfilatina tra il suo gregge più intimo e poi lo schiaffi sul trono di Bogududù: grande!

“Questa è l’immagine che mi sono fatto di lui, Rossi, e non c’è verso di togliermela dalla testa. È più forte di me, non posso farci proprio niente. Tutte le volte che sento parlare questo clown, tutte le volte che vedo la sua immagine, zac!, scatta nel mio cervello la figura dell’orangutan circondato da scimmie e scimmiette di ogni calibro e dimensione. Altro, per quanto mi sforzi, non riesco a vedere.

“Spero che tu non me ne voglia, Rossi, per averti svelato l’immagine che mi sono fatto dell’orangutan, la 194esima scimmia di Desmond Morris. Nel caso la cosa ti rincresca, chiediti: per quale ragione il cervello di Orazio Guglielmini, cioè il mio, ha partorito questa immagine dell’orangutan seduto sul trono di Bugududù.”

Chi sarà, allora, il futuro orangutan che siederà sul trono di Bogududù? Che domanda! Che importanza vuoi che possa avere, amico mio. Una menzogna è sempre una menzogna e una menzogna, come si sa, vale l’altra.

Povera Italia

Povero uomo.

 

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