L’Indifferenza divina (6)
6. La cultura del reale
In quei tempi, non c’erano solo le invenzioni assurde e stravaganti, gli alieni e gli antiuomo, c’era anche la realtà e, guarda caso, era proprio questa a produrre le cose che “contavano”. Gli stregoni potevano inventarsi tutto quello che volevano, però, al nocciolo, ogni cosa doveva essere conquistata coi fatti, si spiegava solo in base ai fatti. Erano le azioni ad avere ragione sulla fantasia. Il cibo non arrivava sulla tavola invocando Dio, ma con le lotte e con il lavoro dei contadini; gli edifici non si costruivano invocando Dio, ma con il lavoro dei muratori; le battaglie non si vincevano invocando Dio, ma coi rischi che affrontavano i soldati: tutto ciò che contava per la conservazione della vita, dalla prima all’ultima cosa, doveva essere conquistato con il fare umano. Le preghiere, le invocazioni: fiato sprecato; la Manna, il cibo che piove dal cielo: una mega balla; la Provvidenza, non ne parliamo neppure. In breve, profeti, maghi, sciamani, santi, preti non potevano niente contro la “realtà” ed era questa ad avere l’ultima parola.
La realtà, quella che si manifesta nelle nostre azioni, è tratta dalle cose concrete. È la quintessenza dei fenomeni, l’essenza della fisicità. L’uomo, in ogni atto che compie, si rivela per quello che è: una creatura della Natura. La cultura del reale è rappresentata dai fatti; la cultura dell’Indifferenza divina è rappresentata dall’aria fritta. L’immaginazione che si adatta alla realtà fisica avrà lunga esistenza; i pensieri che meglio soddisfano le esigenze della vita biologica avranno vita facile e lunga. La cultura, quella che noi consideriamo “cultura”, cioè quella tratta dal reale, non è artificio, è l’ancella della Natura. È questa che ci è consona, che si armonizza con noi, che si fa portavoce del nostro autentico sviluppo.
Dal reale nasce la scienza
E così, lentamente, con fatica, si va sviluppando anche la cultura del reale da cui nasce la scienza che rappresenta la conoscenza più affidabile che l’uomo sia riuscito a escogitare. La sua è una continua evoluzione, un continuo progresso. L’approccio scientifico, reale con il mondo è la chiave per capirlo. La scienza si autocritica, si autocorregge, si autosupera e non è interessata a condizionare nessuno a questa o a quella credenza. Il suo scopo è quello di scoprire le leggi della Natura. Lo fa attraverso l’esperimento, il discorso matematico, il buon senso. Con il suo lavoro la Natura parla, filosofeggia, diviene poesia. La scienza, e prescindiamo per ora da quegli scienziati che si sono innamorati di dogmi e di ideologie, è una disciplina del pensiero che non conosce fanatismi, colori, partiti. È imparziale. Le sue leggi non sono né razionali né irrazionali, “sono” e basta. L’acqua bolle a cento gradi, ti piaccia o no; le pecore sono animali erbivori a quattro zampe, ti piaccia o no; le creature sono un composto di atomi, ti piaccia o no. Scientificamente parlando, quello che è vero oggi, può essere messo in discussione domani, confutato e, se trovato falso, eliminato. Un esempio: Keplero abbandona l’idea eliocentrica di Copernico in favore dei moti planetari. La scienza ha fame di realtà, non d’aria fritta.
Nel prossimo capitolo, “Dio lo vuole!”, voglio riportarti, Rossi, alcune vicende storiche che riguardano l’Indifferenza divina. Mi servirò delle tesi di diversi studiosi e storici e particolarmente del libro di Gerald Messadié: “Storia dell’antisemitismo, 2500 anni di odio e di persecuzione”, già citato.