L’ editoria italiana – 9 post, il sesto
Editori e scrittori nel paese delle meraviglie
A mio modo di vedere, gli scrittori e gli editori italiani, consciamente o inconsciamente, sono i responsabili dell’analfabetismo in cui il popolo italiano affoga. Forse non tutti, ma comunque fanno parte ugualmente di questo crimine culturale. Il popolo di Charles Dickens, di Émile Zola, di Dostoevskij, nel diciannovesimo secolo, leggeva più libri di quanti ne legge oggi nel 2015 il popolo italiano. Qui, in questo paese, gli scrittori non conoscono il popolo; il popolo non conosce i suoi scrittori. Non per nulla non legge, è rimasto illetterato, e se legge, legge topolino; e se legge, legge scrittori stranieri. Quelli italiani li legge a scuola perché non può farne a meno: gli vengono imposti. E così, scrittori ed editori raccolgono i frutti che hanno seminato: i primi non vengono letti e i secondi non vendono libri. Il boomerang gli è arrivato in testa.
Ho iniziato a guadagnarmi da vivere quand’ero ancora un ragazzo; ho iniziato a distinguere tra cavoli e pegaso in terre straniere; ho iniziato a scrivere i miei primi racconti all’estero; ho scoperto l’Italia, la vera Italia, al mio ritorno, ed è stata una scoperta traumatizzante: ho capito quello che non avrei mai voluto capire; ho capito che l’Italia, l’Italia delle mie radici natali, non vendeva una cultura e una letteratura degne di questo nome, ma propinava una letteratura e una cultura dell’oscurantismo e dello schiavismo mentale (Dante, Castiglione, Manzoni, Rosmini, Calvino), in altre parole, una cultura retrograda, impotetne, medioevale (Voltaire, Flaubert, Goethe, questo l’avevano già capito).
Il popolo, quello senza cui nulla nasce, cresce o fiorisce, ahimè, conferma questa triste realtà: è rimasto, volutamente formattato a questo scopo dalle classi dominanti, schiavo e ignorante, pesta petto e sentimentale, credulone e bigotto, meschino e morto di fame. Il suo livello più alto di cultura è guardare i quiz in televisione e andare allo stadio di domenica per vedere i tiracalci (i pallonari) giocare al pallone. E così. questo popolo, menato e confezionato da preti e da politici con l’aureola, è deputato a scegliere i suoi governanti, cioè i buoni a nulla e gli spreconi d’alto calibro, e con questo il gioco è fatto: tutto cambia, direbbe il principe Fabrizio ne “Il gattopardo”, per restare lo stesso!
Cosa esporta l’Italia, culturalmente parlando, in giro per il mondo? E lasciamo perdere il made in Italy che è l’orgoglio dell’artigianato. Che tipo di idee? Che tipo di cultura? Sicuramente non idee e non una cultura emancipatrice, non scienza e non filosofia, non una letteratura con una spina dorsale, non progresso. Esporta una politica da baraccone, oppio religioso, mafia, camerieri e lavapiatti (i cervelli eccezionali sono pochi e quei pochi è grazie ai paesi esteri se poi riescono a combinare qualcosa). Forse che il papa quando va in altri paesi va per portare scienza, aiuto economico, illuminismo, democrazia, oppure va a portare mitologia, menzogne storiche, una retorica da quattro soldi, santoneria, miseria e ancora più miseria, favole dell’orrore, crocifissione, tortura, integralismo e oscurantismo? Qual è, allora, il ruolo dell’Italia sulla scacchiera nazionale e internazionale, quello di emanciparsi ed emancipare i popoli in un costante progresso economico e culturale oppure è quello di affogare il mondo e se stessa in un medioevalismo e reazionismo abissali?
Cosa c’entrano, mi chiederai a questo punto tu, lettore, cosa c’entrano gli scrittori e gli editori italiani in tutto questo? La risposta a questa domanda l’avevamo già anticipata sopra. Comunque, c’entrano, c’entrano eccome! Gli scrittori, quindi gli editori, sono quelli che, appunto, emancipano o schiavizzano i popoli; sono quelli che li illuminano o li lasciano nelle tenebre, sempre ammettendo che siano degli scrittori socialmente e politicamente avveduti. La mente del popolo, se non la si alimenta solo con panem et circenses, se gli si dà anche lettura e cultura, allora si evolve, si emancipa, vede e capisce come stanno le cose. Ed è qui, proprio qui, che gli scrittori italiani hanno fallito, perché hanno tradito il popolo, hanno tradito la loro missione, quella d’illuminarlo, e si sono resi responsabili di questo crimine culturale. Gli scrittori italiani, con qualche rarissima eccezione, sono rimasti gli infelici figli, nipoti e parenti de “Il cortigiano” di Baldassarre Castiglione.
Per conto mio tutti gli scrittori e artisti di ogni genere dovrebbero schierarsi apertamente e decisi contro l’Establishment, contro il banditismo legalizzato, contro leggi e privilegi inumani, ignobili, contro quelli che da quando il mondo è mondo sono vissuti solo e solo per alimentare il loro egoismo, la loro bestialità, contro tutti quelli che stanno uccidendo, grazie alla loro infernale sete di averi e poteri, il pianeta, contro tutti i discriminatori sociali senza scrupoli e senza remore e difendere, a spada tratta, quelli senza cui nulla nasce, cresce o fiorisce.
Non era forse Alberto Camus che diceva che il ruolo dello scrittore è quello di esprimersi in favore di tutti quelli che non riescono a farlo? E poi perché questo ruolo viene assegnato a lui, allo scrittore? Perché è l’unico, forse, che ha la sensibilità e la dote di capire, l’unico che sa, conosce, sperimenta, vive e respira l’alito penoso e sofferente del popolo che gli soffia addosso, e l’editore dovrebbe essere lì al suo fianco. Ma è proprio così che stanno le cose nel Paese delle meraviglie? Ribadisco: qui, in questo paese, gli scrittori non conoscono il popolo; il popolo non conosce i suoi scrittori, e questo anche se è il popolo che li nutre e non questi il popolo! Gli scrittori italiani, detto in nuce, hanno sempre fatto il gioco dei ricchi, dei potenti, di quelli che tengono il coltello dalla parte del manico. È più facile, of course, e poi, e poi si mangia bene, si vive meglio e si campa più a lungo!
Nel prossimo post, la cultura della rimozione
Tratto da Il Paese delle meraviglie
UN INVITO: passate parola, condividete, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comunicare, confrontarci, dire la nostra brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più! Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani! È questo ciò che raccomanda agli amici del Web, Orazio Guglielmini. E io aggiungerei un “Grazie!” per chi volesse tradurre questi post nella sua o in un’altra lingua.