La favola di Bogududù e la favola di Geova
Posted in La favola di Bogududù e di Geova By Francis Sgambelluri On Dicembre 24, 2011Prima di parlarti della favola di Bogududù e della favola di Geova, cercherò di farti capire come la religione si sia propagata. Dovrò parlarti, quindi, del suo motore principale: la divulgazione. Questa, grazie ai favolosi tempi in cui si formò e al suo insegnamento didascalico, ebbe carte blanche e lunga vita. I così chiamati preti, monaci, chierici, genti che lavoravano per la diffusione della dottrina Cristocatto, erano, almeno fino al Concilio di Trento, ancora più beceri di coloro che dovevano convertire. Ma la cosa non si fermò solo a questo mezzo rozzo di divulgazione. La Chiesa si servì anche, e in particolar modo, dell’arte e degli artisti per meglio propagandare la sua ideologia. Attraverso l’espressione artistica riuscì a mettere in movimento una tremenda macchina di diffusione di idee in un periodo (il Medioevo) in cui il quoziente d’intelligenza era poco al di sopra di quello del mio cane, Genio.
Il contenuto del messaggio era la resurrezione, il paradiso dopo la morte, la vita eterna ecc. Una trovata geniale. Tutti volevano resuscitare dopo la morte; tutti, anche i più miserabili e i più sanguinari, si convertivano al cristianesimo. La Chiesa era il luogo della salvezza terrena; il cielo la salvazione eterna. C’era anche l’inferno, of course, per chi non la seguiva. Le fiamme erano il terrore. I poveri di spirito, solo a sentir menzionare il forno ardente, cambiavano colore. Tu capisci allora, Rossi, tu capisci l’impatto che ebbe quest’idea del divino e dell’inferno in quelle zucche culturalmente poco evolute?
Il clero, poi, quello corrotto, quello che utilizzava la favola religiosa per trarne vantaggi economici e di potere, non credeva né all’inferno né al paradiso, ma solo al particulare suo; invece quello che ci credeva, quando commetteva peccati, per redimersi, si pestava a sangue, si flagellava, si autopuniva. E non solo il clero, ma anche poeti e artisti come Jacopone da Todi, che si autoumiliava a tal punto, quando peccava contro lo Spirito Santo, da considerarsi peggiore della merda d’un lupo. La Chiesa era riuscita a terrorizzare tutti con le sue mostruose e raccapriccianti invenzioni dell’orrore.
Dante, un tomista, un credente cieco, una creatura pia, era convinto che il mondo fosse piatto com’è scritto nella Bibbia e che, dopo la morte, sarebbe andato in paradiso a congiungersi con la sua Beatrice e a vivere felice e contento insieme a lei, crogiolandosi in un paesaggio nevoso e bevendo caffè sbavazza per l’eternità. Questo signore ha trascorso la sua vita masturbandosi una volta sull’inferno, una sul paradiso e un’altra sul purgatorio. Impensabile oggi una cosa del genere, ma per quei tempi, quei favolosi tempi, era invece il momento ideale per trovare poeti, pittori, artisti di ogni sorta che mettessero il loro talento al servizio della Chiesa, rendendo così molto più facile il suo lavoro di diffusione e d’indottrinamento religioso.
Dopo questo accenno introduttivo, ecco a te, Rossi, “La favola di Bogududù” e “La favola di Geova”. Partiamo con la prima.
La favola di Bogududù
Immaginiamoci, Rossi, un castello, diciamo un castello su Marte, okay? Vada per il castello su Marte. Il periodo storico? Qualcosa come il Medioevo. Il castello, of course, è una mia invenzione. Incomincio così (narro in prima persona o come meglio mi conviene): dico alla gente, alla gente che trovo per strada, a casa, ovunque, il cui quoziente d’intelligenza è poco al di sopra di quello del mio cane, Genio, che c’è un bel castello, un castellone su Marte, nel quale l’anima può trasferirsi dopo la morte. Il signore del castello è Bogududù, un dio grande, che dispone di poteri taumaturgici, che resuscita i morti ed è fornito di immense risorse vitali. Una volta in possesso dell’anima del defunto, riesce a ricostruire lo stesso corpo che uno aveva sulla Terra, oppure, volendolo, a trasformarlo come lo si desidera e a dargli intelligenza e immortalità.
Naturalmente, all’inizio, quando comincio a divulgare questa favola, non tutti abboccano, solo alcuni. C’è sempre qualcuno che crede in quello che dici, Rossi, poco importa quanto falso, stolto e incongruente. Questi pochi che credevano nella mia favola, me li sono lavorati ben bene e, via via che li convincevo sempre di più dell’esistenza di Bogududù e che si convincevano a loro volta, incominciavano loro stessi a passare la voce in giro. Importante. Capitale questo primo passo. Il tam tam si era messo in moto.
Un giorno, mentre sono alla ricerca di proseliti, incontro un Rossi, uno di quelli a cui manca tutto e ha fame di tutto. Questi crede a tutto quanto gli dico. Figurati, è un Rossi! Dopo la morte, vorrebbe un posticino nel castello su Marte. Solo qualche metro quadrato, specifica titubante, ma con sentita avidità. “Voglio anche essere trasformato in un bel giovane intelligente e molto ricco,” aggiunge.
“Nessun problema, gli rispondo, tutto quello che vuole, lì può ottenerlo”.
La mia risposta l’ha reso felice. Basta poco, come vedi, Rossi, per rendere felice un Rossi. Gli faccio capire anche, of course, che una sua piccola offerta al movimento bogududiano sarebbe auspicabile. Non ha tanti soldi, sborsa quelli che ha. Poi se ne va felicissimo. Inizia a passare parola. Arrivano altri Rossi.
A questo punto, La favola di Bogududù ha preso il via. Incomincio a pubblicizzare e a vendere il castello su Marte e il signore che ci abita, Bogududù. Una volta descritto ed elogiato come si deve, questi suscita fiducia e certezza. Scelgo e indottrino alcuni, i migliori, cioè quelli che credono ciecamente ma non capiscono, a diffondere la favola di Bogududù. Affido loro l’arduo compito di procacciare proseliti. Ne sono orgogliosi, lo fanno con zelo, entusiasmo. Tengo riunioni ai nuovi arrivati e fornisco descrizioni sul dio Bogududù. Racconto quasi sempre la stessa cosa. I soliti miracoli di Bogududù e della bella vita che si fa nel castello su Marte. La cosa funziona. I convertiti aumentano di giorno in giorno.
Incomincio a vendere le camere del castello lassù, proprio come fa oggigiorno il mago di Sanremo nel Paese delle meraviglie, che vende le sue in paradiso.
Il tam tam continua a farsi sentire. Arrivano nuovi convertiti ad ogni ora del giorno e della notte. Nel nostro esercito bogududiano accettiamo tutti: omosessuali, ladri, banditi, criminali, prostitute, terroristi, pezzenti, ricchi, poveri, nobili, barboni, idolatri, ubriaconi, avanzi di galera, squilibrati, visionari, folli, malati, vecchi, giovani, rivoluzionari, idioti, legionari, principi spodestati, re, morenti, psicopatici, disertori: in breve, la crema e la feccia della Terra.
A questo punto, il mio bluff è diventato un vero e proprio business, una trovata fantastica. La grande impostura ha preso il via. Sento che non la si ferma più.
Dopo un bell’ammaestramento dottrinale, cioè un bel lavaggio del cervello, inizio a mandare in giro gente sempre meglio preparata per diffondere la buona novella. I miei divulgatori, che poi, in realtà, sotto sotto (è questa la fortuna della mia favola) non sono molto più intelligenti di quelli che devono convertire, vanno in giro assicurando che, dopo la morte, ci sarà, per chi la desidera, un’altra vita su Marte, una vita vissuta insieme al favoloso dio Bogududù, l’unico vero dio del cielo, della Terra, di Marte e di tutto l’Universo. Tutti gli altri dèi, che i miei rivali propongono, sono menzogne e raggiri, pura aria fritta. Solo il dio Bogududù è vero; solo il castello su Marte offre vita eterna. Possiamo addirittura mostrare, con un’alzatina del braccio, ai nostri credenti, a quelli con un quoziente d’intelligenza sotto quello del mio cane, Genio, il pianeta Marte. Guardano in sù, gli pare di vederlo. Molti lo scambiano per la Luna. Vanno sul sicuro. Si persuadono. Abbaiano:
“È proprio così. Il castello su Marte esiste per davvero. L’abbiamo visto coi nostri occhi. Lassù vivremo per sempre. Evviva!”
E così, la religione bogududiana è diventata una realtà sociale. La gente ci crede, abbocca, passa parola. Non si sente parlare d’altro che di Bogududù, è sulla bocca di tutti: Bogududù, Bogududù, Bogududù. Il Signore di Marte brilla perché non lo si vede, perché, appunto, sta lassù.
I miei zelatori, i miei procacciatori di proseliti, se possono, spaccano la faccia a quelli che non credono in ciò che loro vanno dicendo. Poi, quelli che hanno avuto la faccia spaccata, per paura di farsela spaccare di nuovo, ci credono e ci credono per davvero. Vanno anche loro in giro per le strade gridando a squarciagola la buona novella, puntando il dito verso il cielo, verso Marte/Luna, dicendo che si può addirittura vedere la futura dimora, quella in cui un giorno riposeremo tutti felici e contenti per l’eternità.
Tantissimi derelitti, ormai convintissimi di tutto ciò che sbraitano i miei divulgatori, si convertono, diventano bogududiani. Un bogududiano è uno che crede, punto e basta. Tra le mie schiere aumentano i ricchi. Alla loro morte, lasciano tutto a me, lo fanno in cambio di un posticino nel castello su Marte. Figurati, Rossi, gli dico che li faccio persino cavalieri, castellani, ambasciatori divini, il braccio destro di Bogududù. Anche loro, molti di loro, credono ciecamente a tutto ciò che dico.
Mi presento di fronte al mio pubblico vestito di bianco, è un colore che piace, fa colpo. Predico dall’alto, un posto qualsiasi purché sia alto, da dove troneggio sui miei pecoroni. Non faccio più in tempo ad aprire bocca, che tutto quello che dico, lo credono, lo prendono alla lettera, lo santificano, lo venerano.
E si capisce “il perché”. Nella società in cui vive questa gente, regnano l’orrore, lo sfacelo, leggi mostruose, della giungla. La natura dell’uomo non è divina, è bestiale e, in quel periodo, il Medioevo, questa bestialità trovò la sua più alta espressione, trovò il terreno in cui il vizio e le bugie crescevano a tutto spiano. In questo ambiente crudele e corrotto, la povertà, il disagio, la disperazione la facevano da padroni. Credere, in mezzo a quella ferinità e miseria, era una vera e propria benedizione.
L’unica consolazione per quella gente era nelle parole, nelle promesse. I disperati e gli incolti, qualsiasi favola racconti loro, la prendono per vera, ci credono, se non altro dà loro sollievo. Di più. Gli dà anche speranza, la speranza che dopo la morte andranno incontro ad un mondo migliore.
Tenendo a mente queste condizioni sociali, l’ignoranza e la debolezza umana, era ovvio che la favola di Bogududù avrebbe avuto successo e, quindi, che il mio business prosperasse. Infatti, con i soldi, i doni, i lasciti, compravo scrittori, scultori, pittori, artisti, geni alla Dante, alla san Tommaso, alla Giotto, cioè ciechi credenti, bigotti; compravo geni di ogni genere e professione; compravo anche ingegneri, architetti, lavoratori, guardie del corpo, guardie dei miei averi, che aumentavano dappertutto. Ogni mio capriccio diventava realtà.
Il mio esercito di lavoratori costruiva case palazzi castelli manieri; il mio esercito di soldati (mi sono creato anche questo, Rossi: senza un esercito guerriero e bene armato come avrei potuto proteggere i miei averi?), quando non combatteva per me, lo mandavo a combattere per quei signori di turno da cui ottenevo grandi favori, aumentando i miei poteri. Con una fava prendevo due piccioni: tenevo occupati i miei soldati e conquistavo fama e ricchezza.
Vivevo ormai in un palazzo di mille camere, disponevo a mio uso e piacere delle donne più belle del paese, di un personale che si addiceva solo a un palazzo come il mio e a un signore come me. Ero potente e riverito e stimato dappertutto. Nessuno mi fermava più. La favola di Bogududù funzionava alla perfezione.
Mi viene un’altra idea. È inevitabile, da idea nasce idea. Come si dice: l’appetito viene mangiando. Costruisco un castello sulla Terra come quello immaginato su Marte. Una volta finito, riempio le camere con dei personaggi della mia fantasia che faccio ritrarre dagli artisti, i migliori artisti del mondo, of course. Altro che dei Michelangelo, altro che dei Rembrandt, altro che dei Piero della Francesca; coi soldi che pago posso comprare veri e propri geni della pittura. Le loro opere sono grandiose, appropriate, quelle che ci vogliono. I personaggi che ritraggono sembrano divinità. Bogududù, però, li batte tutti: è stupendamente divino. Ha occhi azzurri, capelli biondi, un viso attraentissimo, è alto, ben formato, armonioso, mirabilmente vestito.
I creduloni, dopo averlo visto nei dipinti, non hanno più dubbi. Se lo sognano persino di notte. Le donne, in particolare, vanno matte per il mio Bogududù. L’adorano. Sarebbero pronti a fare qualsiasi cosa per Lui: darsi a Lui, tradire i loro mariti, ammazzarsi. Sono tutti presi dal suo fascino, dal delirio mistico. Ne parlano, parlano, parlano, tutto il mondo ne parla, ne va matto, vuole comprare, affittare, assicurarsi a tutti i costi un posto su Marte, soprattutto dopo aver visto quello in miniatura sulla Terra. Non mancano quelli che vorrebbero addirittura morire subito per andare a vivere su Marte con Bogududù. Ci sono stati e continuano ad esserci dei suicidi a questo proposito. Non posso farci niente. La religione bogududiana è diventata irresistibile, quasi tutti, pagani e di altre religioni, si convertono ad essa.
Naturalmente, all’entrata del castello lassù su Marte, ci sono dei guardiani che lasciano passare solo chi ha le carte in regola, cioè un lasciapassare su cui c’è scritto che l’entrata è stata onorata. Una volta nel castello, tutti saranno accolti con festeggiamenti: si mangerà, si berrà, si farà l’amore: sesso e cibo a volontà. Dopo averlo fatto, ci si riposerà; più tardi si riprenderà a farlo di nuovo, e così per sempre. Le donne non mancano e neppure i maschi. Belle favolose donne, belli fantastici maschi. Tutti, tutti mirabilmente attraenti, anzi, attraentissimi, perché una volta lì su Marte, tutti diverranno bellissimissimi, anche i più brutti. Altro che neve e caffè sbavazza, altro che le 72 vergini, le bellissime hûrî musulmane che attendono il kamikaze nell’aldilà, i miei giovani e le mie giovani sono i più belli di tutti in assoluto. Non mancano neppure i poeti, i musicisti, gli artisti, i cervelli più pazzi e più svariati.
I cattivi, invece, i non credenti, gli atei, gli eretici, gli agnostici, i fisicisti, quelli che non hanno onorato l’entrata, quelli che sparlano del nuovo Dio, quelli che non credono in Lui né al castello su Marte, quelli che prima di credere vogliono capire, vogliono i fatti, questi, quando creperanno, andranno tutti dritti dritti da Bugadoni, il nemico di Bogududù, un mostro che dispone di un miliardo di tormenti e che castigherà tutti quelli che non credono nel mio castello su Marte e al potere divino di Bogududù. La gente trema dalla paura quando gli si parla di Bugadoni.
Bugadoni è un sadico, un torturatore, è l’incarnazione del male, massacra tutti, ma soprattutto gli eretici, i laici, i miscredenti, gli atei, i venali, gli arroganti, gli scienziati, i saputelli, quelli delle altre credenze. Questi li fa a pezzi cento volte al giorno e poi li rimette di nuovo insieme per rifarli a pezzi subito dopo e così all’infinito. Bugadoni semina terrore, la gente cambia colore solo a sentire il suo nome. S’informa su cosa bisogna fare per non cadere in mano a Bugadoni. Noi glielo diciamo; facciamo anche in modo che, se alla loro santa santissima morte si ricorderanno di noi nei loro lasciti, of course, nessuno, o quasi nessuno, finirà tra gli artigli di quell’essere truce.
Continuo a indottrinare e a fare propaganda. Tutti credono a ogni cosa che dico, eccetto, naturalmente, i soliti furbi. Questi, comunque, non mi danno più fastidio. Il gioco è ormai fatto. Non mi rimane che continuare a vendere la mia favola su Marte fino a quando trovo dei creduloni: i miei shit head.
Nel frattempo, proseguo a costruire castelli uguali a quello che mi sono immaginato su Marte e li dichiaro luoghi di culto. Iniziano i pellegrinaggi. Mi costruisco anche una storia del castello e dei suoi abitanti. Incomincio a vendere reliquie, ritratti, stracci, ossa, teschi, cacca di gallinelle, capelli, dichiarando che provengono da quelli che abitano lì su Marte e che sono personaggi divini con poteri sovrumani.
Ho i migliori talenti artistici e i migliori professionisti del mondo che lavorano per me, scribacchini molto sofisticati che narrano le favolose vicende di Bogududù e le mostruosità di Bugadoni. Ho eserciti di soldati bene addestrati che proteggono la mia proprietà e sostengono le mie idee a spada tratta, pronti a morire per me. Vorrei vedere, li pago io, no?
Mi invento un linguaggio, il linguaggio di Bogududù e di Bugadoni. Tutti vogliono capirlo, impararlo. Lo fanno. Costruisco scuole, università, collegi; faccio scrivere sopra la porta di ognuno di questi edifici: La parola di Bogududù è Verità, l’unica Verità vera. Non mi preoccupo delle tautologie. Anzi, per la gente e il periodo, sono proprio quelle che ci vogliono. Imprimono più profondamente la credenza. Impiego professori, maestri, demagoghi e inizio a insegnare la dottrina, la divina dottrina di Bogududù. Faccio compilare una specie di libro ideale dove uno trova tutto quello che desidera sapere sui miei personaggi e sul castello su Marte. Lo intitolo “Il divino libro di Bogududù”.
Appena pubblicato, va subito a ruba. Ormai tutti conoscono il linguaggio di Bogududù e di Bugadoni, tutti comprano una copia. “Il divino libro di Bogududù” diventa il testo del nostro indottrinamento. È diventato anche il libro più venduto al mondo in assoluto. È tradotto in seimila lingue. Ci sono, naturalmente, i soliti critici maligni, ma questi non li legge quasi nessuno.
Da adesso in poi, e posso permettermelo, taglio la testa a coloro che non credono al mio castello su Marte né a Bogududù. Li brucio vivi, li massacro, li metto in prigione, li torturo, li terrorizzo con Bugadoni e con pene eterne, se solo si permettono di mettere in dubbio una sola parola di tutto ciò che dico. Tutti i furbacchioni, quelli che vogliono capire prima di credere: eretici, atei, agnostici, cinici, scettici, laici, scienziati, filosofi, fisicisti, tutti, sapendo che non possono spuntarla con me, scappano come leprotti dal Paese delle meraviglie.
Sono diventato forte, Rossi, potente, non ho paura di nessuno, tengo in pugno tutti, ricchi e poveri, geni e idioti e ho molti fanatici che credono ciecamente alla mia favola e sono pronti a dare la vita per sostenerla. Una qualità indiscutibile dei miei seguaci è quella di non essere mai andati in cerca di verità, ma solo di frottole e, più precisamente, le mie frottole. Figurati, sono pronti a nutrirsi delle mie feci se gli do il permesso.
Tutto questo durerà, ovviamente, quel che durerà, e cioè fino a quando qualcuno non andrà veramente su Marte e al suo ritorno dirà che non ha visto il mio castello e, tantomeno, Bogududù. Quando questo avverrà, io dovrò difendermi contro il “bugiardo” dicendo che mente. Marte è grandissimo ed è per questo che non l’ha visto e, poi, Bogududù non si mostra a tutti, tantomeno agli empi e a quelli che non hanno onorato l’entrata. È chiaro, se ci riesco, farò arrestare, torturare, bruciare vivo, il “bugiardo”. E comunque, anche se non riesco, non importa. Ormai ho dalla mia parte gli shit head e tutti quelli che traggono interessi dal castello su Marte e dal suo Padrone. E, in ogni modo, anche se fosse vero quello che lui, il “bugiardo”, racconta, ed è vero e io lo so e tu lo sai, Rossi, e lo sa anche lui che è vero, io però, nonostante ciò, continuerò a smentirlo dicendo che mente, che non ha onorato l’entrata, quindi l’accesso al castello gli è stato proibito.
Proseguirò a vendere la mia favola bogududiana, forse fino a quando l’ultimo dei creduloni non sarà andato personalmente su Marte a vedere coi propri occhi che il castello, in realtà, non c’è, che la mia storia è tutta un big bluff, una mega sega mentale, una presa in giro e nulla più. Quando questo avverrà (se avverrà, perché può anche darsi che ci siano sempre degli idioti incurabili), allora la mia favola sarà definitivamente smascherata. Allora, verrà distrutto, dimenticato tutto ciò che si è costruito scritto fatto detto riguardo alla bella favola. Oppure, la si lascerà in pasto ai turisti come le piramidi, come i monumenti antichi, come il vallo di Adriano. Se succederà questo, i miei successori potranno continuare a fare soldi a palate con la mia favola, il mio bel big bluff, il mio grande imbroglio, facendo pagare il ticket a mandrie di visitatori che si precipiteranno a visitare i miei bei castelli, gloria e testimonianza di un tempo, che confermano l’affascinante attrazione per il fantastico e la gloriosa storia di Bogududù e di Bugadoni.
Ah, quei favolosi tempi!
La favola di Geova
E ora, Rossi, diamo una descrizione storica di quest’altra favola, quella cristiana. Come tu sai, questa iniziò a propagarsi con l’aiuto di predicatori, i padri della Chiesa – Saulus, Pietro, Lattanzio ecc. – ; con le immagini di catacombe, di madonne, di resurrezioni ecc.; e poi con tutti i san Francesco, i san Bernardo, i san Michele ecc.; tutti i san Giorgio che uccidono i draghi per salvare le principesse ecc. In seguito, arrivò anche una propaganda più raffinata, artistica, come la madonna col bambino di Vladimir, i re magi, i presepi, gli affreschi di Giotto, i baci di Giuda, i giudizi universali, i profeti del Vecchio Testamento, i diversi Geova ecc. Questo mezzo artistico divulgativo della Chiesa iniziò dai primi cristiani e giunse fino al Settecento. Chiameremo questo periodo: “il dominio dell’arte didascalica e dell’Indifferenza divina”.
Così si passa dall’arte delle catacombe alle cappelle alle chiese ai monasteri alle abbazie ai chiostri alle cattedrali gotiche ai palazzi ai dipinti di Adamo ed Eva ai dannati dell’inferno ai giudizi universali e angeli e madonne e madonne coi bambini e adorazioni dei magi e trittici e cristi e cristi crocifissi e cristi tra gli apostoli e santi, tanti tanti santi, e sempre tanti, tantissimi miracoli, ecco il Medioevo, Rossi, il resto del mondo non esisteva;
arriva l’umanesimo pittorico; si fa portavoce della mitologia, la lotta di Ercole e Anteo, Davide e Golia e sacrifici di lebbrosi e storie della Bibbia e ancora cupole e chiese e statue e cattedrali e ancora quadri di santi e madonne col bambino e canti in paradiso e annunciazioni e tutti i san Gerolami e tutti i san Cristofori e tutti i san Sebastiani trafitti da frecce e ancora trittici e polittici e cristi crocifissi e crocifissioni e santi, sempre tanti tanti santi, Rossi, e sempre e in ogni momento tanti tantissimi miracoli, il resto del mondo non esisteva;
ecco che arriva il Rinascimento, che culmina coi grandi dipinti e le sculture di Michelangelo e i dipinti di Raffaello e battaglie e Monna Lisa e Lucrezia e Marianismi e papi e la Natività e vescovi e i san Franceschi e i san Bernardi e le ultime cene e i cristi portacroci e i cristi crocifissi e i santi, sempre tanti tanti tanti santi; attenzione però, cambia qualcosa, appaiono i ritratti dei nobili, le battaglie, i capitani di ventura, il paesaggio, qualcosa si muove con il Rinascimento, però, sempre, sempre e sempre tanti, tantissimi miracoli, Rossi, il resto del mondo non esisteva;
siamo arrivati al Barocco, che si apre con Caravaggio che dipinge prostitute e le fa passare per madonne e poi i Bacchi che si danno alla pazza gioia delle orge, dell’alcool, questo periodo si cimenta nella natura morta, nel paesaggio, nelle scene di vita quotidiana, nelle rovine, nei fiori, nei pesci, negli strumenti musicali, nelle battaglie, nei costumi, ma soprattutto nel ritratto: ritratti di streghe, di filosofi, di santi, di donne e madonne, di nobili e di prelati. È il secolo che porta ad una svolta col passato, perché col Settecento siamo nel secolo dei lumi, nel secolo della ragione: l’Illuminismo; ma, ciononostante, sempre tanti tantissimi miracoli: i morti resuscitano, gli storpi guariscono, danzano, gli empi diventano santi e i santi empi e, per quello che riguarda il resto del mondo, questo non esisteva proprio;
nel Settecento, la pittura diviene più realista, più vicina alla vita, alla verità, ma ormai, dopo più di mille anni di indottrinamento religioso, il tipo di indottrinamento che ti mette le idee in testa con il martello, l’Indifferenza divina ha già inculcato la sua favola nella zucca della gente e, ancora oggi, vive con gli interessi di quel periodo.
Ah, quei favolosi tempi!
Effetto artistico della favola di Geova
Non è stato un effetto dappoco, perché questo tipo di arte al servizio della Chiesa ha contribuito a costruire il mondo di illusioni e di menzogne in cui navighiamo oggi. La pittura è dominata da gerarchie che vanno dall’inferno al paradiso, dai dannati ai santi e in particolare da madonne, papi, vescovi, angeli, cristi; la letteratura è tutta di preghiere, di sermoni, di descrizioni di chiese, di santuari, nonché di racconti biblici e di altri che narrano le audaci gesta di re magi, profeti e imperatori; l’architettura si concentra sulla costruzione di tremendi mucchi di pietre sacre.
Prendi le cattedrali gotiche, Rossi. Sai perché erano costruite così immense, buffe, eccentriche? Così cariche di fronzoli e di altre cose grottesche? Per lasciare stupefatti i pecoroni quando andavano a vederle, per farli pensare che quella non era opera dell’uomo, ma di Dio.
Poi c’è la scultura che scolpisce profeti e madonne con bambini, papi e re ossia preti con e senza sottana; tutte decorazioni, null’altro che decorazioni per chiese e palazzi. Questo arsenale artistico serviva a fomentare la favola divina, la favola, non di Bogududù, ma quella di Geova.
È anche vero, però, che molti artisti al servizio della Chiesa Cristocatto, l’unico padrone da cui potevano trovare impiego (Masaccio, Raffaello, Michelangelo ecc., dove altro avrebbero potuto esercitare il loro talento se non al servizio della Chiesa?), spesso erano artisti senza sapere di esserlo, senza conoscere il contenuto che rappresentavano nei loro lavori. Dipingevano, scrivevano, scolpivano per lodare questo o quel santo, questo o quel papa, questo o quel padrone, questo o quel tiranno, senza averne mai sentito parlare fino al giorno prima. Sapevano, di questi personaggi fantastici e reali, solo quello che i preti, gli interessati, raccontavano loro. Questi artisti, innocenti, ma dotati di grande talento, lavoravano per mangiare, per sopravvivere. Il loro lavoro veniva commissionato. Gli si diceva “Tu devi farmi questo così e così” e loro lo facevano. Era un’arte al servizio dei papi e dei potenti, non al servizio della libertà di espressione.
La differenza tra le due favole
Ecco, mon ami, come si creano le religioni. Comunque, la differenza tra La favola di Bogududù e La favola di Geova, è che, in futuro, un castello su Marte lo si potrebbe realmente costruire; invece, la favola di Geova resterà pur sempre una favola d’aria fritta e d’orrore.
Vedere L’Indifferenza divina