La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il nono
Effetto artistico della favola di Geova (IX)
Non è stato un effetto dappoco, perché questo tipo di arte al servizio della Chiesa ha contribuito a costruire il mondo di illusioni e di menzogne in cui navighiamo oggi. La pittura è dominata da gerarchie che vanno dal paradiso all’inferno, dai santi ai dannati e in particolare da madonne, papi, vescovi, angeli, cristi.
La letteratura è tutta di preghiere, di sermoni, di descrizioni di chiese, di santuari, di commenti e di racconti biblici e di altri che narrano le audaci gesta di re magi, profeti e imperatori.
L’architettura è un concentrato di tremendi mucchi di pietre sacre. Prendi le cattedrali gotiche, Rossi. Sai perché erano costruite così immense, buffe, eccentriche? Così cariche di fronzoli e di altre cose grottesche? Per lasciare stupefatti i pecoroni quando andavano a vederle, per farli pensare che quella non era opera dell’uomo, ma di Dio.
La scultura scolpisce profeti e madonne con bambini, papi e re ossia preti con e senza sottana; tutte decorazioni, null’altro che decorazioni per chiese e palazzi.
Tutto questo arsenale artistico vuoto e assurdo serviva a fomentare la favola divina, la favola, non di Bogududù, ma quella di Geova.
È anche vero, però, che molti artisti al servizio della Chiesa Cristocatto (Masaccio, Raffaello, Michelangelo), dove altro avrebbero potuto esercitare il loro talento se non al servizio della Chiesa? Infatti era, con l’eccezione di qualche monarca, l’unico padrone da cui potevano trovare impiego.
Questi artisti, spesso, erano artisti senza sapere di esserlo, senza conoscere il contenuto che rappresentavano nei loro lavori. Dipingevano, scrivevano, scolpivano per lodare questo o quel santo, questo o quel papa, questo o quel padrone, questo o quel tiranno, senza averne mai sentito parlare fino al giorno prima. Sapevano di questi personaggi fantastici e reali solo quello che i preti, gli interessati, raccontavano loro. Questi artisti, innocenti, ma dotati di grande talento, lavoravano per mangiare, per sopravvivere. Il loro lavoro veniva commissionato. Gli si diceva “Tu devi farmi questo così e così” e loro lo facevano “così e così”. Era un’arte al servizio dei prepotenti, dei despoti, di tutti quelli con la licenza di uccidere, e sicuramente non un’arte al servizio dell’umanità e della libertà di espressione.
Nel prossimo post, La differenza tra le due favole: quella di Bogududù e quella di Geova (X)
Tratto da L’Indifferenza divina