La Morte è la cosa più Importante e Preziosa che abbiamo – 3 post, il terzo
Apologia della Signora delle tenebre
Questi scritti s’indirizzano a tutti quelli che vogliono vivere bene, vivere in eterno e mantenersi sani di mente, Orazio Guglielmini
L’arte di vivere non è solo saper filosofare, perché saper filosofare non è necessariamente saper vivere; l’arte di vivere è saper provare, sentire, amare e con tutto il proprio essere, e l’arte di vivere sta nell’arte di saper morire. Chi delude quest’arte, prima o poi lo rimpiangerà. L’arte di vivere è democratica, è vivere e far vivere, è godere e far godere, amare e fare amare. In due parole: è vivere in armonia con se stessi e i propri simili.
Se la vita è vista e vissuta così, la morte, il trauma della fine, non dovrebbero farci paura più di tanto, perché, dopo un’esistenza sana, giusta e ben vissuta, il pungiglione dell’addio si sarà ammorbidito e, chissà, potrebbe anche, a questo punto, essere la benvenuta la Signora delle tenebre. La morte, vissuta umanamente e consciamente, ci aiuta ad apprezzare l’esistenza, ad assaporarla giorno dopo giorno in tutti i suoi aspetti e a prepararci, forse anche serenamente, per il suo gran finale.
Per liberarsi dalla paura della morte (ma poi, a volte mi chiedo, come possiamo avere paura della morte quando noi stessi siamo morte?), uno deve diventare morte-viva prima che diventi morte-morte. Il sonno è già una piccola morte, è già un piccolo esempio della grande morte, il resto dovrebbe essere facile da immaginare. La morte bisogna viverla da vivi e a occhi aperti, perché vivere, in realtà, è morire. Non è la vita che noi viviamo vivendo, è la morte: ogni istante che passa, e da quando nasciamo, è un istante in meno per la vita. Noi siamo morte, solo che la nostra paura, il nostro istinto animalesco e la nostra ignoranza ci impediscono di capirlo, ci impediscono di vivere pienamente la nostra unica vita e la nostra unica morte.
L’insegnamento della morte non è cogli l’attimo, carpe diem, l’insegnamento della morte è cogli in un attimo il volto dell’universo nel suo perpetuo divenire, perché solo questa visione ha sapore di eternità. La morte ci insegna che non basta cogliere solo l’attimo, come insegnava Orazio, ma bisogna saper cogliere in un attimo l’immagine dell’intero universo. Questa visione è la visione degli uomini immortali (un’immortalità virtuale la loro, ma pur sempre un’immortalità), di quelli che in un batter d’occhio abbracciano la perennità e l’immensità di tutto ciò che li circonda.
Vista da vicino, la morte in realtà non esiste, è un concetto necessario ma vuoto, perché la morte siamo noi, la morte e la vita sono legate in un eterno abbraccio, una morte che diventa perpetuamente vita e una vita che diventa perpetuamente morte. La morte di per se stessa non esiste, esiste la morte individuale, questa sì, ma non la morte come fenomeno dell’universo. Noi siamo eterni, la nostra specie apparirà e sparirà nell’eterno gioco degli elementi.
Grazie alla morte, la vita è al centro di tutto: solo lei regna nelle fitte tenebre che l’abbracciano. È lei che vede l’inizio e la fine di ogni cosa, inclusi l’inizio e la fine dell’universo che l’ha creata. Per la vita, il mondo è diafano, un’illuminazione unica. Questa visione cosciente dell’immenso fa dell’essere umano la cosa più maestosa e preziosa nel grande tutto. Non perdiamoci quest’esperienza, questa visione unica e meravigliosa. E che lo sappiamo o meno, ogni uomo che nasce è un dio che nasce e un dio che muore.
Tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande si situa l’uomo, non un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo più vicino all’infinitamente piccolo, non un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo più distante dall’infinitamente grande, esattamente al centro: è lui, l’uomo, la luce e il Signore dell’universo, il resto, anche se c’è, non conta, è come se non ci fosse.
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