La Santa Santissima Sindone di Torino
Sai, Rossi, disse Orazio Guglielmini a Rossi quella mattina, sai in che modo la Chiesa ha accumulato i suoi averi, visto che all’inizio non aveva proprio nulla? No? Non lo sai? Bene, te lo dico io: usando metodi spicci e poco onesti. Figurati che c’è stato un periodo, nella sua succulenta storia di favole divine, in cui vendeva come reliquie persino ossi di polli, di gatti, di cani, come se fossero appartenuti a Gesù, a dei personaggi biblici, a dei santi. A volte, questi ultimi, innalzati agli onori degli altari, venivano addirittura uccisi e fatti a pezzetti per essere venduti come reliquie. Un ottimo business, non credi?
Tra queste migliaia e migliaia di reliquie ce n’è una che la Chiesa spaccia ancora oggi come vera. È apparsa per la prima volta in Francia, intorno al 1389 e, tra tutte le migliaia e migliaia di reliquie che venivano vantate come appartenenti a Gesù, questa s’impose, appunto, come quella vera e si trova ora, dopo tante avventure, a Torino. Ecco uno stralcio della genesi della Sindone riportato nel libro di Luigi Garlaschelli, “Processo alla Sindone”.
“Qualche tempo fa in questa diocesi di Troyes, il decano di una chiesa collegiata, cioè di quella di Lirey, con la falsità e l’inganno, essendo consumato dal fuoco dell’avarizia e della cupidigia, e non a scopo di devozione ma di lucro, procurò di avere nella sua chiesa un certo telo artificiosamente dipinto, sul quale in modo ingegnoso era stata dipinta la doppia immagine di un uomo, cioè sia la parte anteriore che la posteriore, e con ciò egli falsamente dichiarava e fingeva che quello fosse il vero Sudario in cui il nostro Salvatore Gesù Cristo era stato avvolto nel sepolcro, e sul quale l’intera effigie dello stesso Salvatore, con le ferite che aveva subito, era rimasta così impressa; ciò che non solo nel regno di Francia, ma fin quasi in tutto il mondo fu divulgato, così che da tutte le parti del mondo le genti confluivano “a Lirey”. E per adescare tali genti, così che con scaltro ingegno si estorcesse loro del denaro, ivi si fingevano mendacemente dei miracoli da parte di certi uomini appositamente assoldati, i quali fingevano di venire risanati durante l’ostensione del detto Sudario, che da tutti veniva creduto il Sudario del Signore… E quindi, a seguito di accurata indagine e dopo aver raccolto informazione sulla cosa, alla fine (si) scoprì la frode e in che modo quel telo era stato artificialmente dipinto, e fu provato anche dall’artefice che lo aveva dipinto, che esso era fatto per opera umana, non miracolosamente prodotto o concesso”, pp. 14-15.
Le vicende di questo telo, Rossi, dal Medioevo ad oggi, sono molte, i giudizi tanti, gli inganni non si contano più. Ti riporto solo, sempre dal libro di Luigi Garlaschelli, il verdetto finale dato da un’équipe di scienziati che lo ha esaminato nel 1988 con la datazione al carbonio-14.
“I risultati complessivi dei tre laboratori, ricevuti dal cardinale Ballestrero il 28 settembre, furono da lui resi pubblici in una conferenza stampa indetta a Torino il 13 ottobre 1988. I test di datazione circoscrissero l’età del telo al periodo, centrato sul 1325, compreso tra il 1260 e il 1390 (con una fiducia del 95 per cento per un’età compresa in questo intervallo).
“Questo risultato conferma in pieno la verosimiglianza del fatto che il telo della Sindone sia stato tessuto nel Trecento. L’età reale della Sindone coincide quindi con quella “storica”: l’immagine, apparsa a metà del Trecento, fu fabbricata proprio in quegli anni e non tredici secoli prima; il dato risulta anche in accordo con quanto affermato nel memoriale del vescovo Pietro d’Arcis, il quale afferma che il suo predecessore, il vescovo Enrico di Poitiers, aveva individuato l’artefice del falso”, p. 102.
Ultimamente, La Stampa, 22 giugno 2005, riporta che l’équipe francese di “Science & Vie” ha rifatto la Sindone in laboratorio. Scrive a questo riguardo Domenico Quirino: “Gli arnesi per la sfida sono sul tavolo: un telo di lino tessuto con una tecnica analoga a quella del Medio Evo, un barattolo pieno di ossido di ferro mescolato con una gelatina naturale ricca di collagene, un legante molto utilizzato per i colori ai tempi in cui Giotto decorava le cattedrali. E poi, naturalmente lui, il volto: il calco di un bassorilievo del milleduecento che rappresenta il Cristo straziato dal supplizio… L’esperimento è compiuto, dunque. Secondo l’équipe riunita dalla rivista francese “Science & Vie” il più grande, affascinante mistero della storia cristiana, la sindone, l’impronta di Gesù, non è altro che un fortunato colpo messo a segno da avidi falsari medioevali, istigati forse da vescovi avidi di elemosine e di potere…”
Anche lo scienziato americano, Carl Sagan, nel suo libro “Il mondo infestato dai demoni” ne parla: “La datazione al carbonio-14 suggerisce che essa (la Sindone) non sia il lenzuolo funebre che avvolse Gesù, bensì una pia frode del Trecento: un tempo in cui la produzione di false reliquie religiose era una forma di artigianato domestico prospero e redditizio”.
Anche Piero e Alberto Angela ne “La straordinaria storia della vita” ne parlano: “La tecnica del C14 funziona anche per il legno, per la torba, per i gusci dei molluschi. Insomma, ovunque ci sia carbonio: anche per un tessuto fabbricato con vegetali un tempo viventi. È grazie a questa tecnica che si è potuta datare la Sindone di Torino, e accorgersi che era stata fabbricata nel Medioevo.
Come vedi, Rossi, amico mio, nonostante questa reliquia sia stata dichiarata falsa, nonostante la sua falsità sia stata provata ripetutamente da storici, artisti, scienziati e anche da alcuni personaggi del clero, nonostante ciò, ancora oggi, la Chiesa insiste a farla passare per la Sindone di Gesù!
E non ci crederesti, Rossi, migliaia di credenti, dal nord al sud, dall’est all’ovest della Penisola, lasciano le loro dimore per andare a vedere questa fregatura. La Chiesa, amico mio, conosce i suoi polli. Questi non sono chimici, matematici, filosofi, storici, scienziati; sono solo creduloni di ogni genere, zucconi con tanto di laurea, ottusi patentati, in breve, signore e signori che credono ma purtroppo non capiscono.
E l’impostura continua.
Tratto da L’Indifferenza divina