La vita, che cos’è in realtà?
Il mondo e l’uomo
Per quel che sono
E non pe come noi vogliamo che siano
Non ridete a questa domanda, perché lo so che è una domanda che può far ridere, dato che ormai anche i baby sanno che cos’è la vita. Ma poi, lo sanno veramente?
Sappiamo, però, che prima o poi, tutto quello che la vita ci ha dato, sempre se ci ha dato qualcosa, se lo riprenderà con gli interessi. E la cosa non finisce qui. Mentre seguiamo il destino che ci è stato assegnato senza averlo chiesto, e cioè vivere, scopriamo che la vita e la morte sono una degenerazione della materia. In altre parole, noi siamo carne malata. Questa crea un pensiero malato, uno spirito malato, una conoscenza malata, una vita malata, una morte malata o ciò che noi chiamiamo vita e morte.
Gli animali, tanto per chiarire meglio l’argomento, che vivono solo d’istinto, non sono malati (farei eccezione di quelli che vivono negli zoo o in casa), gli animali non sanno che nascono per vivere e morire, noi umani sì. Ecco la reale malattia di cui noi umani soffriamo. Questa malattia la si traduce in conoscenza: più uno conosce, più è malato. Il cervello, l’organo principale del pensiero, non è altro che un enorme groviglio di cellule malate. La cultura, la storia, la filosofia, l’arte, la tecnologia, la poesia, la scienza, la musica, tutto, tutto quello che abbiamo e abbiamo creato è sgorgato da un pensiero malato.
Quando l’umanità scoprirà questo, se mai lo scoprirà, è già nelle fauci della morte, è già un pugno di cenere. L’assurdo, in questa fatalità fenomenica, è l’unico senso che possiamo dare sia a noi stessi che a tutto quello che ci circonda, e questo da quando nasciamo fino a quando non moriamo. A questo punto, la domanda delle domande è: dobbiamo essere grati a questa degenerazione della carne che ci ha trasformato da animali sani ad animali malati oppure maledirla per tutte le sofferenze, le guerre e il nonsenso a cui siamo sottoposti lungo tutta la nostra esistenza?
Questa mia riflessione è stata ispirata dalla rilettura del libro di Emil Cioran “Al culmine della disperazione”, scritto quando lui aveva solo 22 anni e letto da me in francese quando non ne avevo ancora 30. Ci avevo capito poco allora, ma sentivo che le parole che leggevo mi scuotevano. Rileggendo di nuovo in questi giorni “Al culmine della disperazione”, mi sono convinto che Cioran aveva ragione: l’uomo è un animale malato. Tutto quello che ha fatto nella storia, conferma questa sua malattia.
Nella piramide sociale, più si va in alto, più la malattia diventa scottante ed evidente. Al culmine della “piramide” e non della “disperazione”, troviamo gli animali umani più infestati del Pianeta. Tanto per fare un esempio, (io sono qui per dire la verità e non le consuete falsità di comodo), se prendessimo il peggiore dei briganti al mondo e lo paragonassimo a quelli che oggi si trovano in cima alla piramide sociale, troveremmo che il brigante, nei loro confronti, è solo un agnellino.
Questa tesi (se leggete il libro di Cioran, forse capirete meglio questo argomento, anzi sicuramente capirete meglio), è sostenuta ampiamente dal fatto che nella storia dell’homo sapiens sapiens tutto è cambiato dal suo inizio fino ad oggi, eccetto il potere e l’avere, cioè l’stinto di dominare sugli altri e l’istinto di possessione. Questi due fenomeni, animaleschi per eccellenza, sono rimasti tali e quali da quando il mondo è mondo e ciò conferma che l’uomo, non l’homo sapiens sapiens, ma l’UOMO MALATO, è rimasto fondamentalmente lo stesso.
Devo dire anche che io non condivido la visione di Emil Cioran, anche se è d’una realtà implacabile e indiscutibile. Nonostante ciò, io credo, e questo è il mio ottimismo naif e innocente, io credo che potremmo crearci, una volta eliminato l’istinto bestiale e malato che ora governa il mondo, una vita degna di essere vissuta nonostante tutti e i pro e i contro.
L’uomo non è un animale malato, ma un ibrido estraneo alla natura terrestre, ed in quanto ibrido è una chimera.
Non è un dio, nè una bestia, e non può essere nè bestia e nè dio, ma un conflitto tra l’una e l’altra cosa, un conflitto che uccide dopo molti molti anni di degenerante sofferenza.
Anche le bestie muoiono, ma loro non perdono nulla a parte la vita, già questo però le spaventa, nessuna bestia vorrebbe mai morire, l’uomo invece perde la vita è tutto ciò in cui si fino a quel momento identificato esteriorizzandosi in cose che non fanno parte di lui, conoscienza, ideali, affetti, averi, poteri ect. Questo lo rende pazzo dalla vita fino alla morte.