La vita: una lunga morte e una corta esistenza
Dovrebbe essere tale, ma lo è? Prescinderei subito da tutti quelli che vivono più coi loro istinti che con la consapevolezza che si deve morire. Questi in realtà non muoiono mai perché non vivono mai. Nel campo della vita la quantità è nulla e la qualità è tutto. Occupiamoci allora solo di quelle persone per cui l’ombra della morte non smette mai di perseguitarle.
Una di queste è il poeta Paul Valery. La sua poesia, les pas, dimostra che la morte è più lunga dell’esistenza. Come? “Les Pas”, i passi, non sono i nostri passi, sono i passi della morte che lui, il poeta, avverte, respira, vede e sente avvicinarsi a lui, a volte gli sembrano lontani, a volte gli appaiono vicini, a volte gli pare che corrano, altre che vadano pian pian e altre ancora che procedano dolcemente: Douceur d’être et de n’être pas / Dolcezza d’essere e di non essere.
Ecco l’ultimo quartetto di questa sua celebre poesia, Les Pas: Ne hâte pas cet acte tendre, / Douceur d’être et de n’être pas, / Car j’ai vécu de vous attendre, / Et mon coeur n’était que vos pas. I passi: Non affrettare quest’atto tenero, / Dolcezza d’essere e di non essere, / Poiché io vissi aspettandovi, / E il mio cuore non era che i vostri passi.
I palpiti del cuore, per il poeta, non erano che i passi della Signora in nero. Morbosità per la morte? Affatto. Stufo di vivere? Neppure per sogno. Pazzo? Lui? Non diciamo assurdità. Direi che la sua non era né morbosità per la morte, né che lui era stufo di vivere, né che era un pazzo, la sua era solo sensibilità poetica, filosofica, scientifica, culturale. Noi siamo conoscenza o non siamo niente, solo materia per il nulla.
“He who the most knows, the most lives,” Colui che più sa, più vive, dice quell’altro poeta e mistico inglese, William Blake, e dice giusto. Non è, come tanti credono, “chi più vive, più sa”. Per nulla. Uno può vivere anche un milione di anni e restare un idiota. Non è neanche “conoscenza per conoscenza”. La conoscenza e la consapevolezza della morte vanno conquistate col sudore della mente, con lo spirito e soprattutto con la volontà di voler comprendere come stanno le cose. Sapere che domani non ci sarai più, ti aiuta a non sprecare il resto di quest’oggi.
E Valery lo sapeva, lo sapeva eccome. Sentiva, letteralmente sentiva i passi della Signora delle tenebre avvicinarsi a lui, e li sentiva procedere a volte rapidamente, altre pian piano e altre ancora dolcemente, secondo il suo stato d’animo. E con questo? Stava forse sprecando la sua vita perché pensava e rifletteva sulla morte, la sua e quella degli altri? No, no e no. Non sprecava niente di niente, lui. Tutt’altro! Un minuto della sua consapevolezza poetica e filosofica valeva, e vale tutt’ora, molto di più d’un milione di esseri umani che vivono solo per soddisfare i loro istinti e il loro egoismo.
Non sto offendendo nessuno, è la realtà. La realtà offende? Ah, beh, allora io non posso farci nulla. Comunque, per lui, per il poeta Paul Valery, la morte era sicuramente più lunga dell’esistenza, ma la sua “morte” era poi veramente la morte o era un’illuminazione della vita?
Sapendo benissimo come funzionavano le cose in questo fragilissimo campo della vita, questa lo sollecitava spesso a riempire il calice e a brindare, brindare, brindare a lei, alla vita, alle stelle, all’aria che si respira, perché, come diceva quell’altro poeta rinascimentale, del domani non v’è certezza.
Santé!
UN INVITO: passate parola, condividete, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comunicare, confrontarci, dire la nostra brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più! Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani! È questo ciò che raccomanda agli amici del Web, Orazio Guglielmini. E io aggiungerei un “Grazie!” per chi volesse tradurre questi post nella sua o in un’altra lingua.