L’Indifferenza divina (17)
Il paradiso (VII)
Ma supponiamo per un momento che il paradiso, come sostiene il papa, esista, ergo anche Dio, Lucifero, i santi, i demoni. Perciò, quando tiri le cuoia, Rossi, vai in paradiso. Bello, bello, bello! E non solo tu. Ah, ah, ah! Ci andranno anche, of course, tutte le altre creature della terra, perché tutte sono figliole di Dio. Prima del Diluvio, Dio ha preso una coppia di ogni specie e l’ha messa in salvo nell’Arca. Tutti gli animali sono creature di Dio, quindi, quando crepano, vanno anche loro in paradiso. Inoltre, gli animali non peccano, non sono peccatori come noi. E quale peccato hanno commesso? Pecca il leone quando ammazza e mangia uno gnu? E come potrebbe? Dio in persona ha creato lo gnu per nutrire il leone. Pecca lo gnu quando strappa l’erba dal prato e se la mangia? E come potrebbe? Dio in persona ha creato l’erba per nutrire lo gnu. Tutte le creature del Signore, e tutte senza eccezione, quando tirano le cuoia, vanno dritte in paradiso, perché muoiono innocenti.
Il coccodrillo era, una volta, prima che gli ebrei s’inventassero Jahvè, un nostro dio, perciò, in quei tempi, era addirittura il dio di Dio! Così tante altre bestie. Allora tu capisci, Rossi, che dovrai dividere il paradiso, una volta lì, con il coccodrillo, con le pecore, con lo scarabeo stercorario, con le iene, coi pescecani, con le colombe, coi pidocchi, le zecche, le zanzare. Anche loro, una volta in paradiso, berranno il caffé sbavazza e si crogioleranno sulla neve scaldati da un cielo grigio. Sullo sfondo ci sarà sempre, per l’eternità, un albero tropicale con dei frutti arancioni.
In paradiso, però, e prescindiamo dal determinismo divino, ossia della predestinazione di cui abbiamo parlato all’inizio di questa Lettera, ci vanno solo quelli che non hanno peccato, che non hanno mai sporcato le mutande, che hanno le ginocchia consumate a forza d’inginocchiarsi davanti agli altari, solo loro andranno in paradiso, il resto no, il resto andrà all’inferno. Unicamente i perfetti saranno ricevuti dal Perfetto, nel suo luogo di sogni. In questo luogo si festeggia giorno e notte: si fa breakfast sulla neve, si beve caffé sbavazza sulla neve, si fa bla bla sulla neve. Eccitante: tutti lì a fare bla bla sulla neve e sotto un cielo grigio. Insomma, ci si diverte.
Ammettendo che ci andrai dopo morto, Rossi, e, una volta lì, diventassi duro e congelato come uno stoccafisso mentre fai bla bla sulla neve, non preoccuparti, in men che non si dica, ti riprenderai, parola dell’Onnipotente. In paradiso le cose si fanno in fretta: detto, fatto. Siamo in compagnia del Signore, noi, lì, non dimenticarlo. Lo prenderemo a braccetto e, passeggiando insieme a Lui, faremo delle fantastiche camminate e blablaeremo di cose filosofiche, come i peripatetici. Che bello!
Immaginati, ora, mentre sei lì, di trovarti faccia a faccia con un ippopotamo, cosa gli diresti? Guarda che parla, Rossi. Certo che parla. Lì dentro si ritorna alla vecchia lingua, quella prima della torre di Babele. Bestie e umani, tutti parlano la stessa lingua. Parlerai anche coi serpenti, come ha fatto Eva nell’eden. Quante risate. Una blablaata sull’arte culinaria insieme ad uno squalo? Sicuramente il paradiso è una gran bella cosa. Altro che bella, è super bella. Potremmo addirittura diventare amici di Jahvè il Muto, quello che siede sulla sua nuvoletta e ispeziona gli accampamenti pieni di merda dei soldati come un sergente di servizio. Fantastico, non ti pare?
Aspetta, aspetta, Rossi! Adesso, però, non ti fare venire delle idee. Non cercare di tirare le cuoia subito. Aspetta, prima di farlo. E poi chi te lo garantisce che andrai in paradiso? Comunque, non tirare le cuoia ora. Se tu tirassi le cuoia adesso, a chi potrei inviare questa Lettera, io, una volta finita? Non mi fare questo scherzo, Rossi, delinquente di un Rossi, aspetta almeno di leggerla, sei il mio unico lettore!
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