L’invenzione come fuga ossia non esiste, quindi me “lo” invento
Ci sono invenzioni e invenzioni. L’invenzione dell’aratro ci ha aiutato e continua ad aiutarci a lavorare i campi; l’invenzione del peccato originale ha assassinato per millenni la vita dei credenti e continua a farlo.
Quando del reale è stato tutto detto e stradetto, ecco apparire la strega, la prostituta di ogni tempo e di ogni luogo: l’invenzione. Questa crea altri mondi, luoghi dove tutti possono costruirsi il mondo che vogliono e come lo vogliono. Tutti hanno ragione, anche se questa è una ragione che sragiona, nel modo in cui presentano i loro prodotti fantastici, nessuno può smentirli. Non sul terreno dell’immaginario e dell’irrazionale. E come si potrebbero smentire i deliri della mente? Forse c’è stato qualcuno che è tornato dal suo mondo immaginario per dirci come funziona realmente? Il grottesco e l’inverosimile si annidano in questo genere d’invenzione. Detto tutto in una volta, il cervello di quelli che fuggono dal mondo che conosciamo funziona così: non esiste, quindi me “lo” invento.
Da quando siamo apparsi su questo pianeta, l’abbiamo popolato di nomi. Alcuni di questi nomi corrispondono a realtà e altri no. Un cane è un animale a quattro zampe e corrisponde a realtà; la Medusa coi serpenti per capelli è solo un’esternazione vocale che non corrisponde a realtà. Può darsi che per alcuni l’invenzione sia più suggestiva del reale, rimane però il fatto che è un’invenzione e nulla più. Potrei, grazie alla mia immaginazione, inventarmi un milione di mondi zeppi di ogni bene e di ogni cibo; però, nel caso avessi fame, tutti i miei mondi, dal primo all’ultimo, varrebbero meno della buccia di una patata marcia, per quello che riguarda la mia fame e la mia sopravvivenza. Se la nostra ragione non ci aiuta a capire la differenza tra reale e fantastico, tra scienza e superstizione, tra filosofia e religione, ci sono dei buoni motivi per pensare che non comprenderemo mai la realtà che ci circonda e di cui siamo fatti. Di più: finiremo male!
Le interpretazioni, sempre con la benedizione di Nietzsche e degli ermeneutici, sono sacrosante, inevitabili, ma soggettive, approssimative nelle loro stime, tappabuchi temporanei. Ad esempio, per la scienza, la Bibbia non è interpretazione, è un libro zeppo di stoltezze; per la scienza, il libro tibetano dei morti non è interpretazione, è una sfilza di rituali gratuiti; per la scienza, la morte non è un’interpretazione, è un fatto, un evento terminale, decisivo, stop; la povertà non è un’interpretazione, è un fatto, un fenomeno che crea sofferenza, miseria, dolore; il cancro non è un’interpretazione, è un fatto, uccide il corpo che l’ospita; l’ingiustizia non è interpretazione, è un fatto, una barbara prepotenza applicata dai forti sui deboli. Almeno sul pianeta terra, queste vicende non sono interpretazioni, sono fatti reali. La morte esiste, così il mare, il sole, la Via Lattea e questa è scienza. Per questo io distinguo tra scienza e interpretazione. La scienza è una, le interpretazioni sono tante, tante quante gli uomini sulla terra.
Ogni cultura ha la sua visione del mondo, una visione impastata col fantastico e con ogni altro tipo di abracadabra. Aborigeni, ebrei, africani, islamici, americani, polinesiani, cinesi, europei, indiani, sudamericani e via di seguito: tutte queste civiltà hanno una loro spiegazione dei fenomeni naturali e soprannaturali, una spiegazione soggettiva, circoscritta, che non ha nulla a che vedere, eventualmente, con una conoscenza reale, obiettiva, scientifica. Questo tipo di conoscenza, come le superstizioni e le religioni, vale quel che vale e solo localmente.
L’invenzione come fuga è una via senza ritorno, è decisiva. Ma chi ha creato questo bisogno di evadere? Noi, ce lo siamo creato noi, grazie al mondo che ci siamo costruiti. Il prezzo di vivere in esso, però, per tutti quelli che non lo capiscono, ma lo subiscono, è molto alto. L’invenzione è una evasione dal sociale, dal mondo barbaro in cui viviamo. Il fantastico è nato da questo bisogno. Questa fuga in un altro mondo, in un luogo dove l’immaginario si scatena indisturbato, è dovuta a leggi antinaturali, artificiose, dogmatiche, ingiuste e, soprattutto, alla nostra ignoranza. E ancora. Non c’è solo il sociale, c’è anche il mondo dell’immanenza, fenomenico, spietato per chi non l’accetta. Il fantastico allora è la risposta: fuga dal sociale e fuga dall’immanente. L’invenzione come fuga dal reale, quindi, è dovuta al reale. La salvezza sta nella fuga, nella fuga in mondi immaginari. Gli esiliati mentali si rifugiano lì dove si annidano le idee di una vita bella, quella che desiderano ma che non possono vivere sulla terra per com’è fatta, né nella società in cui vivono. La fuga, a questo punto, è inevitabile.
Vedere Per una filosofia perenne