Lo Stato predatore (6)
Il connubio dei lupi a due zampe
Penso che ormai tu abbia già capito, Rossi, che parlare dello Stato predatore senza parlare dell’Indifferenza divina, e viceversa, sarebbe quasi impossibile. Scriverti questa Lettera parlandoti unicamente della Chiesa Cristocatto, lasciando fuori tutti i suoi annessi e connessi, sarebbe, in ultima istanza, una fatica inutile. Il connubio dello Stato predatore e dell’Indifferenza divina è millenario. Sempre lì a sostenersi, ad aiutarsi, a puntellarsi vicendevolmente, a torto o a ragione, come dice giustamente Jean Meslier. Tutto è cambiato nella storia, eccetto loro, eccetto l’Indifferenza divina e lo Stato predatore.
L’astronomia, dal suo inizio ad oggi, non la si riconosce più, così la medicina, la matematica, la biologia, la geografia, la chimica, la meccanica, la filosofia, la psicologia. Anche nelle arti è cambiato tutto: la letteratura, la pittura, la scultura, il cinema. Tutto, tutto è cambiato, eccetto l’Indifferenza divina e lo Stato predatore.
Sono cambiati, forse, i metodi, ma il contenuto è sempre lo stesso: vino vecchio in bottiglie nuove. Cambia la forma, rimane la sostanza. La religione è un parassita che si nutre del corpo della gente da sempre; lo Stato predatore, con l’aiuto dell’Indifferenza divina, abusa del popolo che non si può difendere da sempre.
In tutto, Rossi, in tutto quello che riguarda la storia umana, c’è stato progresso ma, nell’arte! di governare il mondo, la musica pancia-grassa/pancia-vuota non è cambiata affatto. Anzi, il rapporto tra queste due creature è diventato ancora più bestiale. Lo Stato predatore ladro e criminale era all’inizio dei tempi e ladro e criminale è rimasto; l’Indifferenza divina falsa e criminale era all’inizio dei tempi e falsa e criminale è rimasta.
Dal giorno in cui “Lo Stato predatore” e “L’Indifferenza divina” si sono incontrati, le “forze del male” si sono raddoppiate. Con il loro incontro si è venuta a creare, definitivamente, la mostruosa macchina sociale in cui ancora oggi viviamo.
Il patto millenario
Scrive Georges Minois nella “Storia dell’ateismo”: “I rapporti che legano la religione alla vita della polis si rafforzano al tempo della guerra del Peloponneso, che costituisce un enorme trauma culturale. La città, in stato di guerra perenne per trent’anni, in seguito sconfitta, umiliata e minacciata, si abbarbica a tutto quanto può incarnare la sua identità e unità. Gli dèi e i culti autoctoni non sono più semplici credenze, ma segni di appartenenza alla propria città. Il pensiero dei filosofi, troppo spirituale, troppo intellettuale, troppo individualista e universale, con l’unicità del suo principio divino, è inadeguato a svolgere la funzione di cemento sociale e patriottico. Mettere in dubbio l’esistenza degli dèi della città significa essere insieme empi e traditori, come anche mettere a repentaglio l’osservanza dei doveri civili da parte della gioventù. La religione è parte integrante del patrimonio culturale della città, nell’ambito di un’implicita alleanza fra gli dèi e lo Stato, i cui magistrati sono al contempo sacerdoti. È in questo legame tra religione e politica che risiede in parte la causa della repressione dell’ateismo”, p. 44.
Difendere il proprio paese è un dovere, un obbligo, ma solo quando un cittadino si sente uguale a qualunque altro cittadino. Non è mai stato questo il caso nella storia dei paesi occidentali. I predatori a due zampe di questi paesi hanno sempre sfruttato il popolo e annientato chiunque li criticasse, chiunque li ostacolasse nei loro ignobili affari. L’Indifferenza divina e lo Stato predatore, nel loro eterno sostenersi a vicenda, sono entrambi oppressori, non soltanto degli atei e dei liberi pensatori, ma soprattutto oppressori del popolo.
Scrive Michel Onfray nel suo “Trattato di ateologia”: “Ciò che definisce oggi i regimi totalitari corrisponde punto per punto allo Stato cristiano così come viene costruito dai successori di Costantino: l’uso della costrizione, le persecuzioni, le torture, gli atti di vandalismo, la distruzione di biblioteche e di luoghi simbolici, l’impunità degli assassini, l’onnipresenza della propaganda, il potere assoluto del capo, il rimodellamento di tutta la società secondo i principi dell’ideologia del governo, lo sterminio degli oppositori, il monopolio della violenza legale e dei mezzi di comunicazione, l’abolizione della frontiera tra vita privata e spazio pubblico, la politicizzazione generale della società, la distruzione del pluralismo, l’organizzazione burocratica, l’espansionismo, sono tutti segni che qualificano il totalitarismo di sempre e quello dell’Impero cristiano”, pp. 138-9.
Il loro, quello dell’Indifferenza divina e dello Stato predatore, è un abbraccio di morte e distruzione, un abbraccio che dura ormai da millenni e sempre e comunque ai danni dei Rossi.
Le prime quattro famose monarchie
Scrive Armand Farrachi nell’introduzione al libro “Curé Meslier, Mémoire”: “La religion sert de rempart à l’ordre monarchique; le Parlement et la Justice sont des organes mercenaires au service des rois, ces chefs de bande sacralisés par la mythologie du droit divin et du sang pur.” – “La religione serve da baluardo all’ordine monarchico (oggi diremmo all’ordine statale); il Parlamento e la Giustizia sono degli organi mercenari al servizio dei re (oggi diremmo al servizio degli Stati), questi capi banda sacralizzati dalla mitologia per diritto divino e sangue nobile (oggi diremmo sacralizzati dalla plebe becera e ottusa).” p. 17.
E queste sono le parole di Meslier: “Qu’étaient les quatre fameuses premières monarchies qu’autant d’empires de bandits, autant d’États composés d’aventuriers, de pirates et de voleurs dont la seule force faisait l’apologie de leurs brigandages?” – “Che cos’erano le prime quattro famose monarchie se non imperi di banditi, se non Stati composti da avventurieri, da pirati e da ladri dove solo la forza bruta faceva l’apologia del loro brigantaggio.” p. 17.
Le prime quattro famose monarchie, dunque, erano composte da banditi, pirati, avventurieri e ladri. Erano delle cleptocrazie, governi di ladri, conferma Jared Diamond in “Armi, acciaio e malattie”:“Con le chefferies siamo già di fronte al grande dilemma delle società non egualitarie. Nei casi migliori queste costituiscono un buon modo per realizzare servizi costosi che i singoli individui non potrebbero permettersi; nei casi peggiori sono scandalose cleptocrazie in cui c’è un semplice trasferimento di ricchezza da una classe all’altra. Un esempio vicino a noi può essere l’ex presidente congolese Mobutu che teneva per sé gran parte delle tasse pagate dai cittadini fino ad arrivare a un patrimonio di miliardi di dollari mentre il suo popolo moriva di fame”, p. 218.
È questa, Rossi, la logica degli Stati predatori. Gli Stati africani applicano una “logica rozza”, quelli europei una “logica raffinata”, ma il gioco è lo stesso: arricchirsi sulla pelle del popolo.
Il fare dei tiranni
Voglio tradurti ancora due passi di Jean Meslier, Rossi, sempre riportati nel libro di Farrachi. Descrivono con strabiliante chiarezza come i sovrani e l’esercito di esecutori del loro volere razzino, abbrutiscano e umiliino con ogni pretesto e arroganza il popolo lavoratore.
“I re vogliono ad ogni costo arricchirsi e rendersi i padroni in assoluto di tutte le cose, bisogna che la povera gente faccia tutto ciò che essi vogliono e che dia loro tutto ciò che essi chiedono, altrimenti saranno costretti a farlo con ogni sorta di legge ingiusta e severa: con il pignoramento dei loro averi, con il loro imprigionamento, con ogni altro tipo di violenza. Sotto una così dura e penosa schiavitù, la gente trema dalla paura. Quello che poi diviene ancora più insopportabile, più odioso e detestabile, è la brutalità con cui il popolo si vede giorno dopo giorno maltrattato da migliaia di rudi e severi esattori inviati dai loro re, i quali sono tutti superbi e arroganti. La gente si deve sottomettere a tutte le loro sgarberie, ladronerie, furberie e a tanta altra sorta di ingiustizia e di cattivi sentimenti. Non c’è un solo piccolo ufficiale, esattore, commesso, arciere, guardia che, con il pretesto di essere l’inviato del re, si crede chissà che cosa e, inoltre, pensa di dover fare il fiero e di avere il diritto di schernire, di maltrattare e di tiranneggiare la povera gente …, p. 64.
“È chiaro, continua Meslier, che il mondo è quasi tutto pieno di mali e di miseria. Gli uomini sono tutti zeppi di vizi, tutti impregnati di pregiudizi e di cattiverie. I loro governi sono pieni di ingiustizie e di tirannie. Ovunque c’è uno straripamento di corruzione e di immoralità. Il disordine e la divisione regnano dappertutto. I poveri di ogni luogo soffrono la fame e la sofferenza; sono senza appoggio, senza aiuto e senza consolazione. Dall’altro lato, si vedono gli empi, i truci e i più indegni al mondo che vivono nella ricchezza, nella gioia, negli onori e nell’abbondanza di ogni tipo di beni …”, p. 66.
Dimmi tu ora Rossi se è cambiato qualcosa dal tempo di Jean Meslier?
L’universo dei ricchi
Fino alla Rivoluzione francese, filosoficamente parlando, la Natura era al servizio della metafisica. Questa, la metafisica, era, per così dire, sostenuta dalla Chiesa e permetteva alle classi dominanti di trastullarsi coi loro giochi mentali. Le classi dominanti erano composte, secondo Meslier, di banditi, avventurieri, pirati e ladri, cioè di “predatori a due zampe”, come li chiamiamo noi, Rossi. Questi signori disquisivano, dopo aver ben mangiato e ben bevuto, disquisivano seriamente di quanti elefanti ci stessero sulla capocchia d’uno spillo; disquisivano seriamente sullo sperma degli angeli; disquisivano seriamente quanti giorni prima di morire si dovesse smettere di gozzovigliare per non peccare contro lo spirito santo e assicurarsi un posto di primo rango in paradiso; disquisivano seriamente se con la carne di vitello si dovesse bere vino bianco o rosso; disquisivano seriamente se per un signore di una certa età fosse meglio portarsi a letto una vergine o una già sverginata.
E non solo. Fino alla Rivoluzione francese e oltre, i signori non sapevano neppure cosa volesse dire lavorare, guadagnarsi il pane che mangiavano col sudore della propria fronte. No, affatto. I signori non lavoravano. Figurati, Rossi, loro lavorare, ma scherziamo! Lavorare per loro era una vergogna, un’umiliazione, un disonore. In millenni di storia avevano imparato solo come nutrirsi con il sudore altrui e come trastullarsi. Come, allora, come avrebbero potuto saper lavorare? Su, dài, non diciamo delle fesserie! Loro sapevano unicamente divertirsi, baloccarsi, distrarsi. Altro non sapevano fare. Però, distrarsi, ah quant’erano bravi a distrarsi sul dolore altrui! Riuscivano a farlo con tutto: con le armi, con le belle signore, coi balli, col dare la caccia alle povere bestie, con la guerra, con l’ammazzare gente povera e innocente, col tirare con l’arco. In due parole: si erano auto-formattati al godimento.
I signori, in quei tempi, avevano cose serie da discutere e da fare. Il resto dei mortali, però, mentre loro disquisivano e si godevano la vita, sgobbava e, nonostante ciò, faceva la fame. Ecco come la filosofia mistico-religiosa aveva sistemato le cose. E doveva essere una sistemazione eterna!
La Chiesa e la Monarchia erano state scelte da Dio il Muto in persona per governare sul resto del genere umano. Questo esisteva solo per il loro conforto e la loro sicurezza. Era questo il modo in cui Dio, il divino giusto onniscente onnipresente onnipotente onniveggente e misericordioso, aveva sistemato le cose tra i mortali.
E così, i signori di queste due istituzioni divine potevano starsene a disquisire in eterno al caldo o al fresco, a seconda della stagione, sempre con la pancia piena, illudendosi anche, of course, che, dopo questa vita vissuta spaccando pietre con la fronte, ce ne sarebbe stata almeno, almeno almeno almeno un’altra dove poter continuare ad infinitum la loro vita da beati parassiti!
Il senso che davano a questa loro metafisica esistenziale era ancora più recondito. Lo estraevano dalla loro unica esperienza, cioè quella del blabla. Blablaare di cose eccelse, metafisiche, celesti era il loro vero senso del vivere e il loro passatempo preferito. Non si stancavano mai di blablaare. Felicemente avrebbero trascorso l’eternità blablaando. Sempre, da mattina a sera e da sera a mattina: blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà blablablà, blablablà, blablablà, blablablà, blablablà.
Ecco l’universo dei ricchi, Rossi.
L’universo dei poveri
Tra l’universo dei poveri e quello dei predatori a due zampe c’è un abisso. Se questi ultimi vivevano per saziare la loro pancia e il loro egoismo e per realizzare, sublimare, glorificare la giustizia di Dio, i primi, i poveri, erano lì per subire le furie dell’inferno.
Scrive su Internet, riguardo alla Rivoluzione francese, Michele Ducas Puglia:
“Il contadino conduceva una vita grama, la sua dieta era fatta di pane nero fatto con segale e orzo, o addirittura con avena integrale (nel senso che non veniva tolta la crusca), nero e pesante come il piombo e da bere aveva acqua colorata, cioè acqua versata sulle vinacce; quando c’era zuppa, era condita con olio da lumi, (i contadini) vestivano con lana delle loro pecore e canapa che essi stessi coltivavano e niente calze, scarpe o zoccoli.
“Con questo tipo di alimentazione i contadini erano deboli e piccoli di statura con una bassa natalità e alta mortalità tra i bambini che non avevano nulla da poppare dal seno materno, e se arrivavano a un anno facevano loro mangiare crusca bagnata e pane nero sì che tutti avevano il ventre gonfio come quello di una donna incinta. Una donna di ventotto anni ne mostrava sessanta o settanta, tanto il suo corpo era irrigidito e indurito dal lavoro… Soltanto la cortesia suggeriva di chiamare questi esseri donna, più che altro erano mucchi di letame ambulante.
“Era questo il popolo delle campagne fatto di poveri schiavi, bestie da tiro attaccate a un giogo, che camminavano a colpi di frusta, non s’interessavano né si preoccupavano di niente, purché potessero mangiare e dormire alle loro ore, che non si lamentavano e non pensavano nemmeno di lamentarsi, accettavano i loro mali come una cosa naturale, come l’inverno o la grandine”.
Ecco l’universo dei poveri, Rossi.
La storia
La storia, amico Rossi, è un mondo alla rovescia. Proprio così: un mondo alla rovescia, un mondo dove le azioni malvagie vengono osannate come azioni rispettabili, sacre, giuste, divine e le azioni buone e umane vengono interpretate come azioni barbare, spregevoli, ingiuste, perverse.
La storia è, a dir poco, un mucchio di bugie, di falsificazioni, di inganni, di ignominie, di atrocità, di crimini. In questo paesaggio infernale, gli assassini, gli psicopatici, i più corrotti e crudeli, i più barbari e astuti, i più dotati di un cervello machiavellico, manipolatorio, si sono cinicamente autodefiniti “buoni”, “giusti”, “umani” e quelli che loro uccidono, sfruttano, schiavizzano, denigrano, derubano, cioè i lavoratori, cioè coloro senza i quali nulla cresce o fiorisce, ebbene questi, invece, sono, secondo loro, i “cattivi”, gli “ingiusti”, gli “inumani”. Ecco, Rossi, come si è costruita ed è scritta la storia.
È finita, comunque. Non possiamo più, mai più, never again, leggere la storia come abbiamo fatto fino adesso.