Crisi crisi crisi, ma chi l’ha creata poi questa benedetta crisi?

Se i politici, i criminali legalizzati al potere, giorno dopo giorno inculcano nella testa del popolo l’idea di “crisi globale”, crisi economica, crisi di lavoro, una crisi comunque creata da loro, alla fine, a via da parte loro di dirlo e da parte del popolo di sentirlo, quest’ultimo ci crede, crede per davvero in questa crisi. È inevitabile. Solo, però, che lui, il popolo, con la crisi non c’entra affatto.

Il popolo non ha creato nessuna crisi, il popolo lavora, il popolo la crisi la subisce, cioè subisce la violenza di quelli che l’hanno creata, la crisi. Infatti, con il martellamento giornaliero al grido di crisi crisi crisi, riescono, i responsabili della crisi, a giustificare anche le tasse più indegne e i prelievi più obrobbriosi che applicano ai già miseri salari dei lavoratori!

 

 

Bossi un innocente?

Sia chiaro, è facile dire che dopo l’ictus Bossi non era più Bossi, non era più lo stesso uomo. Tutte balle! Questo è uno stereotipo usato fin troppo coi ladri, i delinquenti e gli assassini quando non li si vuol condannare. Infatti, per scolparli dai crimini, i loro avvocati si inventano tutte le malattie mentali e fisiche del mondo. Alla fine ci riescono, perché nei tribunali non si fa giustizia si fa legge; nei tribunali, quando si tratta di pezzi grossi, spesso gli assassini vengono assolti e gli innocenti condannati.

È ovvio anche che i leghisti, dal primo all’ultimo, non vogliono sputare nel piatto in cui mangiano. Allora s’inventano le schifezze più odiose al mondo pur di giustificare la ladroneria del loro capo.

Io chiedo, non voglio, ma chiedo, chiedo che la giustizia, se la giustizia esiste in questo cazzo di paese, faccia tutto quello che deve fare nei confronti del Senatur!

 

 

Fiori di sierra, romanzo, il ritorno, parte terza (2)

II

Ricevette una lettera di sette parole dalla sua amica australiana: “You’re always in my mind, Judy,” 1.

Sheryl e Gaby gli avevano spedito delle cartoline. Erano ritornate a Sydney, ripreso il lavoro, la routine, la vita là.

Queste notizie delle girls risvegliarono in lui quell’altro mondo, oltre il mare. Ricordò Sylvia, la loro casetta, le loro conversazioni in giardino, l’Opera House, le spiagge, il mare, l’università, la laurea, il party, il viaggio in Francia, in India, il desiderio di Sylvia di visitare l’Italia, Nicolino, la felicità, la corsa, lo spavento, il dramma, la fine.

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La Lega Nord e la setta di Jim Jones

A me viene da paragonare la Lega Nord alla setta suicida di Jim Jones. Tutti, nessun leghista escluso, ipnotizzati dalla figura del loro idolo, Bossi. C’è però una bella differenza fra la Lega Nord e la setta di Jim Jones. I fanatici di Bossi non si suicidano, quelli di Jim Jones lo fanno in massa; i fanatici di Bossi sono tutti interessati al profitto, al lucro, ai soldi, al materialismo becero, volgare, porcaiolo, ignobile; mentre la setta di Jim Jones credeva in ideali spirituali, in valori metafisici sostenuti dal loro capo.

Ci sono valori e valori, e quelli della Lega Nord sono valori bestiali.

Si sa che i culti sono tutti distruttivi anche quando non lo sono. Appartengono alla credenza manipolata, alla credenza cieca e non c’è nulla di più dogmatico e distruttivo della credenza cieca. Il culto per qualcuno o per qualche cosa è il risultato di un’aberrazione mentale. Una chiusura. Le sette politiche o religiose che siano, sono questo: una chiusura mentale e i fanatici della Lega Nord lo dimostrano ogni volta che il loro capo parla e spara bestialità a raffica e tutti tacciono ascoltano ubbidiscono credono: il divino Bossi né s’interrompe né si contraddice, perché tutto ciò che lui abortisce è legge!

Alla base l’uomo è un animale e resterà sempre un animale e le bestie leghiste in questi giorni lo stanno dimostrando alla grande.

 

Benedetto XVI: “cogliamo la bellezza del mondo” e via crucis

“Cogliamo la bellezza del mondo”, dice papa Joseph Ratzinger, che poi è come dire “cogliamo la bellezza di Dio creatore del mondo.” Però, chiediamo noi al papa, come può un credente “cogliere la bellezza del mondo” quando per lui il mondo è una valle di lacrime? Il peccato originale lo conferma.

E non solo. Come fa poi un credente a sposare “la bellezza del mondo” con la via crucis? La vita del cristiano, in questo mondo, è una lunga catena di esperienze dolorose se vuole salvarsi il culo nel prossimo mondo.

Ma poi, il papa (e lasciamo perdere le sue contraddizioni), come può affermare che Dio esiste? L’ha visto? L’ha toccato con mano? L’aiuta ad alzarsi dalla sua sedia quando non ce la fa ad alzarsi perché è ormai troppo vecchio? Come fa a sapere, lui, che Dio esiste? Vorrei proprio che me lo spiegasse.

 

Fiori di sierra, romanzo, il ritorno, parte terza (1)

I

Faceva freddo. Il vento fischiava tra il fogliame della quercia, la pioggia si rovesciava con violenza sul tetto della casa sotto il picco sporgente del monte Agave e gli uccellini cercavano riparo anche sulla soglia della porta e sul davanzale della finestra. Sulle montagne di Fiermonte era caduta la neve. Le cime bianche e aguzze si stagliavano nel cielo con violenza e si era solo ai primi di dicembre.

Nicolò era stato via per sbrigare alcune faccende. Da quando era ritornato a casa il camino non smetteva di fumare. Ci prendeva gusto a raccogliere la legna durante il giorno, ad accendere il fuoco, a guardare i ceppi bruciare, sentire l’ambiente riscaldarsi. Lì, davanti al focolare, con un libro in mano, passava intere serate a leggere, sonnecchiare, fantasticare, ricordare ancora qualche briciola d’infanzia, qualche momento della sua vita tumultuosa. Era cambiato molto in quegli ultimi tempi, gli faceva persino impressione pensarci. Eppure, nonostante ciò, nonostante tutti i cambiamenti, qualcosa in lui si rifiutava di cambiare.

In quel momento qualcuno bussò alla porta. Chi poteva essere con quel tempaccio? Andò ad aprire.

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Una proposta semplice: Italiani, suicidatevi!

Quando un popolo ha al potere fascisti, mafiosi, ladri, incompetenti, feccia; quando un popolo manda sul gradino più alto della gerarchia statale dei criminali; quando un popolo sguazza in un perpetuo caos; quando un popolo diventa lo zimbello della Terra eccetera, eccetera, la sua fine è vicina.

Io, Orazio Guglielmini, voglio però offrire a questo popolo una fine dignitosa. Suggerisco, dunque, quello che ha suggerito il filosofo presocratico Eraclito ai suoi concittadini, 26 secoli fa: di impiccarsi! Eraclito proponeva quest’atto agli efesini per ragioni politiche. Anch’io chiedo agli abitanti del Bel Paese d’impiccarsi, ma non solo per ragioni politiche. Propongo d’impiccarsi anche e soprattutto a causa dell’orrore culturale che hanno seminato e continuano a seminare in casa propria e nel mondo. Questo suicidio di massa sarebbe, a mio modesto parere, un ragionevole atto per mettere fine ad una cultura che, per millenni, non ha fatto altro che male a se stessa e a tutti quelli che hanno avuto la disgrazia di venirne in contatto.

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Monti-Berlusconi

Detto in nuce e senza riserve, Monti è la testa di Berlusconi. Si sapeva fin troppo bene che il Cavaliere funzionava solo con la parte inferiore del suo corpo – bunga bunga ecc. -, quindi gli mancava la parte superiore. Con il tecnico Mario Monti ha trovato la parte che gli mancava, la testa di Monti, cioè quella testa che gli permette di ottenere in politica tutto quello che non avrebbe mai e poi mai potuto ottenere con il suo corpo senza testa. Ora Berlusconi è al completo, grazie a Monti.

Ovvio, gli italiani, con questo connubio Monti-Berlusconi, sono caduti dalla padella nella brace. Infatti, cosa se ne facciano della bella facciata internazionale quando a casa è tutto fermo, è tutto corruzione, è tutto marcio; cosa se ne facciano della facciata quando vengono sbattuti fuori dai loro posti di lavoro?

Il Bel Paese, che meraviglia!

 

 

Il gioco sporco del potere

Gli ispettori alla Colombo, i Montalbano, i Coliandro, le squadre anticrimine, i film polizieschi “Polizia”, “Carabinieri”, alla don Matteo e via di seguito, sono tutti, nessuno escluso, al servizio del potere. Come si dice, fanno il gioco sporco, il gioco del crimine legalizzato, il gioco d’un potere cieco, debole, picchiatore, squallido.

La loro arte, l’arte di questi film dedicati al crimine, se arte poi la si può chiamare, è un’arte indegna, un’arte venduta, un’arte, non al servizio di quelli che sono spinti al crimine dalla miseria (e lasciamo perdere le mega spacconate alla James Bond, le sottili e noiosissime indagini alla Sherlock Holmes, i mostruosi cannibalismi dello psicopatico Hannibal Lecter), ma al servizio di quelli che tengono il coltello insanguinato dalla parte del manico.

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Ai filosofi, certi strafalcioni, sono inammissibili

Il professore Pietro Barcellona, docente di Filosofia del diritto all’Università di Catania (ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7, 29 marzo 2012), quando dice che il vecchio 94enne parlamentare deve continuare ad avere un’auto blu, quando dice questo, è proprio un ignorante e questo glielo dice un altro ignorante che, però, of course, è meno ignorante di lui nonostante non conosca tutti i trucchi e tutte le scorciatoie dei vari azzeccagarbugli!

Insomma, non è ancora chiaro per lei, professore, che l’era dei politici e dei preti è finita (preti e politici sono due parassiti sociali che il popolo non può più permettersi il lusso di mantenere, non le pare?) e che, inoltre, fino a quando ci sarà un solo prete e un solo politico sulla faccia della terra, il genere umano non troverà pace!

Allora, signor prof, perché vuole offrire un’auto blu ad un parlamentare che sicuramente ha abbastanza soldi per comprarsi dieci auto blu quando invece ci sono dei Catanesi che fanno la fame grazie ai signori con le auto blu?

 

Nino e Nina: un amore tragico

“Non aspettare neppure un istante, se puoi, per carpire ciò che desideri”, mi disse quella volta Nino con gli occhi pieni di lacrime, “perché ogni istante potrebbe essere l’ultimo”.

Eravamo seduti sulla terrazza d’un caffè. Le tazzine vuote.

“Se ne andò vergine, finì per dire, se ne andò vergine!, capisci?”

Io lo guardavo, non parlavo, non sapevo cosa dire.

“Quante volte, quante volte l’ho desiderata, sono stato sul punto di …”

Aveva un aspetto che faceva pena.

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I carnefici e le vittime lungo la storia

Che tristezza!

Che patologia!

Che abominio!

Eppure è così. Questi induividui non si stufano mai di picchiare. Lo fanno ormai da sempre, da quando è nata la storia e nonostante ciò non si sono ancora saziati di picchiare. Picchiano sempre, ormai ce l’hanno nel sangue il gusto di picchiare. Non sono per nulla democratici. E poi la fanno a botte, non con quelli che potrebbero dargliele, ma con gli storpi, i deboli, con quelli che fanno fatica a reggersi in piedi. Incredibile, loro, proprio loro che sono i più allenati e i più forti al mondo, nella lotta cercano sempre i rivali più fragili e macilenti.

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Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (13)

XIII

“È squisito questo capretto,” fa Nicolò.

“Sono contento che ti piaccia,” dice Amedeo, di nuovo di buon umore.

“Non solo a me, spero.”

“Affatto. Io me lo godo due volte: la prima perché adoro il capretto e la seconda perché mi piace mangiare con te.”

“Anche a me.”

“Sei tu però quello che condisce le vivande con tante spezie, sembra che ad ogni boccata il gusto divenga più saporito, grazie al racconto della tua vita all’estero.”

“Se continui così mi fai arrossire,” fa Nicolò accingendosi a bere un sorso di vino.

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L’Italia in miniatura

L’Italia in miniatura è grosso modo la seguente: il trippone che non ha altro interesse nella vita eccetto quello di veder crescere la sua trippa all’infinito lo si considera un datore di lavoro; il sovrano povero di mente e debole di corpo che ordina ai soldati di attaccare; il professore che non conosce la storia, l’insegna a quelli che la conoscono; il capo d’un partito che non sa da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina decide sul ponte di Messina; il furbetto di turno che diventa governatore di provincia; il vecchio presidente ottantenne che dice ai giovani: “il futuro è vostro!”, mentre lui continua ostinatamente a tenere il suo posto fino a quando non tirerà le cuoia; il papa, l’uomo più grottesco, falso e bigotto al mondo, che dice come deve vivere il mondo; il direttore retrogrado d’una cooperativa che riduce tutto il personale al suo livello; il ladro che va in prigione per aver rubato una pagnotta, mentre chi ha devastato le casse dei contribuenti la prigione non la vede neppure. Ecco alcuni esempi dell’Italia in miniatura.

Insomma, mio caro lettore, viviamo in un paese dove gli handicappati mentali e i furbi sovraintendono al fare e al pensare delle persone sensibili e intelligenti.

Vedere Il Paese delle meraviglie

 

Noi stiamo, a torto e a ragione, coi paria del mondo

Sia chiaro, noi stiamo, a torto e a ragione, con gli indiani d’America; noi stiamo, a torto e a ragione, con i negri d’Africa; noi stiamo, a torto e a ragione, con gli extracomunitari; noi stiamo, a torto e a ragione, con gli operai di tutta la terra; noi stiamo, a torto e a ragione, con i derelitti di tutto il sistema solare; noi stiamo, a torto e a ragione, con tutti gli aborigeni del pianeta; noi stiamo, a torto e a ragione, con quelli che sudano sette camicie per portare un tozzo di pane ai loro figlioli; noi stiamo, a torto e a ragione, con quelli che vivono negli slums (baraccopoli, bidonvilles, favelas, townships o come li si vuol chiamare) di Napoli, Kenia, Africa, Brasile, India, Cina, America, Russia, Buenos Aires, Calcutta, Nairobi; noi stiamo, a torto e a ragione, con tutti quelli che frugano nelle discariche dell’immondizia alla disperata ricerca d’un pò di cibo per sopravvivere; noi stiamo, a torto e a ragione, con il popolo siriano. E non solo idealmente noi stiamo con loro, stiamo anche a spada tratta!

Vedere Lo  Stato predatore

 

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (12)

XII

Il tempo si era raffreddato. Le burrasche annunciavano il cambio di stagione. Erano ormai trascorse alcune settimane da quando le ragazze erano partite. Nicolò se ne stava in solitudine. Non aveva voglia di socializzare. Preferiva mettere a punto i suoi piani, sbrigare le sue faccende. Sentiva che il tempo l’incalzava, che gli era ormai alle calcagna, che presto avrebbe dovuto confrontarsi col drago. Era già entrato nella sua zona magnetica, sull’orizzonte degli eventi. Qui tutte le strade conducevano a lui. Non c’era più via d’uscita. Il fato l’avvicinava rapidamente ai fatti, al terrore, a una nuova esperienza.

Quel pomeriggio, dopo la scazzottata col cugino, prese la macchina, andò da un fiorista, comprò un mazzo di rose rosse e mezz’ora dopo le pose sulla tomba della madre.

Al cimitero non c’era nessuno. Piovigginava. Faceva freddo. Solo il vento che mugghiava tra i cipressi rompeva la pace tra quei tumuli di terra, e solo il ricordo poteva evocare immagini da quei luoghi, dove tutto rimaneva seppellito nell’oscurità anche in pieno giorno.

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Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (11)

XI

Non vedeva suo cugino da tempo. Un rumore sollecita la sua attenzione. Telepatia, coincidenza, cosa? È Amedeo.

“Si può entrare?” fa di fuori.

“Hai ancora bisogno di chiederlo?” risponde lui aprendo la porta.

“Non si sa mai. Con uomini come te c’è da aspettarsi di tutto,” fa Amedeo entrando, stringendogli la mano e posando sulla tavola della cucina una cesta piena di roba.

“Non mi risulta,” dice Nicolò. “Però ognuno è libero di pensare quello che vuole.” E, annusando scherzosamente l’aria: “Sento odore di cibo”.

“È soltanto una parte,” dice Amedeo. “Il resto Lucia lo sta preparando. Ho comprato da un vicino mezzo capretto. Una metà della metà, fatto alla cacciatora, sarà la nostra cena per stasera e tu, se ne hai voglia, potresti continuare il tuo racconto. Che te ne pare?”

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Anche Ratzinger, papa Ratzinger è ateo

Si nasce atei, credenti si diventa. La materia è atea, gli atomi sono atei, l’aria che si respira è atea, il mondo è ateo, il big bang è ateo, il big crunch è ateo, i finiti e gli infiniti universi sono atei, le particelle elementari sono atee, è tutto ateo. Solo l’ignoranza, la prepotenza, il volere approfittare degli altri, il volere sentirsi onnipotenti, il non volere lavorare, il voler vivere sulle spalle altrui, il volere autoingannarsi, la paura, la vigliaccheria, insomma, detto in nuce, in parole semplici, parole che capiscono tutti, anche quelli che non sono andati a scuola perché il sistema non gliel’ha permesso, perché li si preferisce analfabeti, perché così li si può schiavizzare meglio, insomma in parole semplicissimissime, solo e solo una stoltezza incallita e un’anima inumana e criminale possono spingere alla credenza, al credere che esiste un qualcosa oltre questa terra, perché noi siamo i figli di questo pianeta e qui nasciamo e qui moriamo.

Ratzinger, papa Ratzinger, in realtà, non crede, neppure minimamente, lui crede solo per convenienza.

Vedere L’Indifferenza divina

 

 

Benedetto XVI in Messico

L’Italia non esporta all’estero scienza, emancipazione, una cultura evoluta, esporta superstizione, dogmi, la morte. Il papa Ratzinger, in questi giorni, sta distribuendo generosamente il suo oppio alla gente del Messico. E questa, delirante e smarrita, acchiappa al volo le pillole avvelenate che lo stregone italiano gli lancia.

Se il papa re andasse in Svezia, ad esempio, non troverebbe nessuno ad osannarlo, invece, quando va nei paesi del Terzo Mondo, che scorpacciata di applausi e di presenze.

Viva l’Italia!

Vedere L’Indifferenza divina

 

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (10)

X

Per la gente di Calvario, come si è già detto, con qualche eccezione, da quando le ragazze erano arrivate, casa D’Alessio era diventata un bordello. Era un disonore, si andava dicendo in giro, quello che stava accadendo in quella casa. Non c’era alcun dubbio: quella dimora, costruita sotto quel terribile picco sporgente, che ospitava gente bizzarra e di cattivi costumi, non poteva essere altro che l’opera del demonio che voleva vendicarsi di Calvario e del suo gregge, il quale da sempre rispettava i comandamenti che gli venivano imposti dall’alto e pregava il Signore e la Madonna tutto il tempo:

“Oh Dio onnipotente e sapiente, proteggici e salvaci dal peccato e dalla corruzione e fai che i nostri figli stiano alla larga da persone infedeli e perverse. Amen!”

La vicenda, in ogni modo, non era finita con la partenza delle girls. Al Dritto, che aveva già messo sull’avviso Nicolò allo sposalizio di Michele, non era bastato quell’ammonimento. Inoltre, c’è da dire che Nicolò non aveva ancora fatto quella “cosa” e questo rendeva la situazione più difficile. Così, il giorno dopo la partenza delle australiane, il signor Dritto sentì che doveva dare un’altra lezioncina a quel depravato, che doveva ricordargli, con le buone o con le cattive, se fosse stato necessario, i vecchi sani costumi di Calvario.

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Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (9)

IX

Era domenica, l’ora del consueto struscio festivo. Un odore salmastro aleggiava tra la gente che passeggiava in corso Cavour. Gli uomini si prendevano a braccetto come fanno le coppie, parlavano, gesticolavano, sostenendo le loro idee in animate discussioni. Alcuni simulavano un atteggiamento di indifferenza, ma in verità con rapide occhiate coglievano tutti i particolari intorno a loro. Le zitelle gironzolavano per ore, cercando di non sfuggire agli occhi di nessuno. I ‘dottori’, i ‘cavalieri’, i ‘commendatori’, i ‘don’, erano quelli che si distinguevano lontano un miglio per quel loro saluto reciproco e contemporaneo, quel piccolo inchino con la testa, quella scappellata e:

“Buona passeggiata, dottore!”

“Altrettanto a lei, cavaliere!”

I giovanotti, briosi e spacconi, esibivano al meglio la loro mascolinità quando incontravano le ragazze. Queste, nell’istante dell’incrocio, tacevano e, un attimo dopo, scoppiavano in risate isteriche. C’erano anche, tra coloro che passeggiavano, dei campagnoli. Non era difficile riconoscerli, stonavano tra gli stideresi che li evitavano con disprezzo. Raramente si vedeva qualcheduno in giro da solo. Quando ciò avveniva, era quasi sempre un povero diavolo o una personalità che, non trovando un suo pari, camminava a capo chino per non farsi salutare e non salutare nessuno.

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Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (8)

VIII

La Lancia filava. Erano in ritardo. Gaby, seduta dietro, urlò a Nicolò di chiudere il finestrino perché il vento le aveva messo in disordine i capelli. Chiuse. Era accaldato, sudava. Indossava un completo estivo grigiochiaro, fiore all’occhiello. Judy sedeva al suo fianco in un’elegante princesse blu, Gaby e Sheryl portavano un abito fantasia con un largo cappello che avevano comprato il giorno prima a Stìdero.

Quando arrivarono al ricevimento, furono accolti da un forte rumore di voci posate piatti bicchieri. La giornata era fantastica e la gente sotto la pergola non voleva essere da meno. I convitati erano tanti. Nicolò ne conosceva solo alcuni. C’era il Dritto. Amedeo non era venuto. Gli sposi sedevano raggianti a capotavola. Tutt’e quattro andarono da loro per felicitarsi. Molti occhi, per qualche istante, non guardarono che loro, e loro salutavano chi li salutava e sorridevano a chi gli sorrideva.

Tra gli sguardi e i sorrisi, c’erano anche quelli di disprezzo, di disapprovazione per quelle femmine che Michele, insieme a quel magnaccia di Nicolò, aveva invitato al suo matrimonio. Quelle donne, per la mentalità di parecchi calvaresi, non erano altro che tre prostitute. Solo a Calvario si trovavano donne onorate; solo lì si era preservati dall’inquinamento morale e mentale che provenivano da fuori.

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Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (7)

VII

Nicolò fu il primo ad alzarsi. Una volta lavato e sbarbato, fece il caffè. L’aroma si diffuse presto e le girls, anche se ancora un po’ intontite per il lungo viaggio del giorno prima, vennero destate piacevolmente da quel profumo.

Poco dopo si ritrovarono tutti in cucina per la colazione. Mangiarono biscotti e bevvero caffè. Poi Nicolò suggerì di prendere l’auto e di andare a farsi una passeggiata sul Lungomare di Stìdero, un giro dai suoi amici, visitare qualche paesetto nei dintorni e, la sera, andare a mangiare in qualche ristorante.

Come uscirono, Gaby alzò gli occhi e vide levarsi nel cielo quel picco sporgente dell’Agave sulla casa. Non ci aveva fatto caso quand’era arrivata perché era buio, ma ora quella mole immensa sopra la sua testa le pareva inverosimile. Rimase esterrefatta. Per qualche istante ebbe anche paura.

“Che idea folle,” disse, “costruire una casa proprio qui sotto!”

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L’Italia che non c’è

Non esiste l’opinione pubblica in Italia, perché non esiste una stampa libera, perché non esiste la libertà di parola, perché non esiste un’educazione emancipatrice, perché i governanti vogliono il popolo asinino, perché lasciandolo nell’ignoranza e nutrendolo con shit food lo si gestisce meglio, perché non c’è un orgoglio nazionale,  perché il paese è nelle mani di una politica corrotta, perché Mafia Stato e Chiesa decidono su tutti e tutto.

Viva l’Italia!

 

Cantautori si nasce capitalisti si diventa

Pensa, Rossi, pensa a quei cantautori, con qualche eccezione, che hanno polmoni da dinosauro e una voce incanta polli, però cervelli da lucertola, pensa che a questi signori basta che tu scriva una canzone per loro che poi canteranno al Bestiaval di Sanremo e, subito dopo, quasi per magia, diventano miliardari. Facile, non ti pare?

A proposito, tu, tu che hai lavorato per tutta la vita e durissimamente, sei un miliardario?

La sua domanda non merita risposta.

È quello che pensavo. Però devi ammetterlo, Rossi, devi ammettere che il nostro mondo è un mondo favoloso, vero?

Molto!

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (6)

VI

Qualche sera prima del matrimonio di Michele e Maddalena, Nicolò vide arrivare the australian girls abbordo di due automobili. In una c’era un uomo, un garagista di Stìdero che aveva dovuto accompagnarle per mostrar loro la strada. Al volante dell’altra vettura c’era Gaby.

Come le ragazze videro Nicolò, scesero in fretta dalle vetture e tutt’e tre gli volarono letteralmente al collo, iniziando a strillare dalla gioia. Erano felicissime di essere giunte alla sospirata destinazione, liete di rivedere un amico del paese dei canguri.

Nicolò, dopo aver contraccambiato il loro entusiasmo, pagò l’uomo che le aveva accompagnate e aiutò le donne a portare dentro il bagaglio.

In casa, the girls 1, incominciarono a guardarsi intorno.

“È carino qui!”

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La nostra prospettiva è terrestre

Questa vita non è un esame propedeutico, un esame che, una volta superato, ci farà andare in paradiso, raggiungere il nirvana, avere una vita eterna o quel che sia. Nulla ti tutto questo. La nostra condizione è terrestre, la nostra vita è terrestre, il nostro fare si conclude sulla terra. Siamo stati gettati su questo sasso e su questo sasso finiremo. Noi non dobbiamo prepararci per un’altra vita dopo di questa, dopo questa vita ci sono solo le tenebre. Sarà come se non fossimo mai esistiti. Con noi tutto inizia su questo pianeta e tutto finisce su questo pianeta. Non esiste un altrove e se esistesse, allora si troverebbe solo nella nostra testa.

La saggezza sta nell’accettare la nostra vita, la nostra unica vita, e accettarla per come la natura ce l’ha imposta.

Né più né meno?

Non direi. Trarne il massimo da ogni cosa e da ogni istante non è solo un’arte d’acquisire e un dovere: è anche un obbligo del vivente!

Ubriacati, amico lettore, ubriacati tutto il tempo, ubriacati di ogni piacere pur di non sentire i tamburi dell’avvenire.

 

 

L’anima della politica è il capitalismo

Lo Stato è politica capitalistica, le istituzioni sono politica capitalistica, le banche sono politica capitalistica, le assicurazioni sono politica capitalistica, le cooperative sono politica capitalistica, i sindacati sono politica capitalistica, i partiti sono politica capitalistica, i mass media sono politica capitalistica.

La differenza tra il capitalismo imprenditoriale e il capitalismo statale è che il primo può fallire e il capitalista può finire sul lastrico; invece, il secondo, il capitalismo statale, questo non può mai fallire, solo una rivoluzione potrebbe annientarlo.

Il politico capitalista non può mai finire sul lastrico. E come potrebbe se fa e gestisce tutto lui? Il politico è un ladro legalizzato, è uno sfruttatore legalizzato, un mafioso legalizzato. Ha la licenza di uccidere. È un James Bond a tutti gli effetti, non però al servizio della regina, non al servizio della mafia, ma al servizio dello Stato. È un essere immunizzato dai problemi sociali: buono o cattivo tempo lui mangia sempre. Non solo mangia: s’ingozza!

La nostra società, per com’è fatta, per com’è strutturata, trasuda politica da tutte le parti, una politica capitalistica. Il capitalismo è l’anima e il midollo del politico e con questo padrone e sanguisuga, il destino dell’uomo è scritto.

Viva la politica!

 

Dio non esiste

Dio non esiste, parola di Orazio Guglielmini, cioè parola d’un uomo e nessun uomo è più che un uomo.

Dio è primitivo perché è stato inventato da un uomo primitivo; Dio è barbaro perché è stato inventato da un uomo barbaro; Dio è un uccisore perché è stato inventato da un uomo che uccide i suoi simili; Dio è vendicativo perché è stato inventato da un uomo vendicativo; Dio è un bugiardo perché è stato inventato da un uomo bugiardo; Dio è un guerra fondaio perché è stato inventato da un uomo guerra fondaio; Dio è uno sfruttatore perché è stato inventato da un uomo che sfrutta gli altri uomini; Dio è onnipotente perché è stato inventato da un uomo che si crede onnipotente; Dio è un assassino perché è stato inventato da un uomo che ammazza i suoi simili;

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Siria: un bagno di sangue di innocenti

L’uccisione di civili, di bambini, di vecchi, di donne, di innocenti, di adulti, di esseri umani in Siria, non sono da incolpare unicamente al re siriano, un criminale psicopatico non meno crudele dei peggiori boia della storia, ma sono anche da incolpare a tutti i paesi occidentali e mondiali che assistono impassibili giorno dopo giorno alle mostruosità del monarca siriano. I nostri figli, i posteri, si scandalizzeranno dell’ignominia e vigliaccheria dei loro padri. Vergogna!

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (5)

V

“Non si può ragionare con te!” grida Amedeo. “Non puoi aspettarti che uno che abbia studiato fino all’età di venticinque, trent’anni, guadagni quanto un operaio.”

“Non quanto un operaio, meno, ho detto,” dice Nicolò.

“E per quale ragione?”

“Per la buona ragione che l’operaio, per il lavoro duro ripetitivo umiliante pericoloso bestiale e cretino che fa, viene emarginato da ogni piacere professionale intellettuale artistico culturale. La sua occupazione lo rende più vicino agli animali che agli esseri umani. Di più. L’operaio, anche se svolge un lavoro duro e ripetitivo, è comunque, il suo, un lavoro sano e utilissimo alla società. Ancora. Quello che lui fa, lo fa per permettere a coloro che inseguono piaceri e ideali di realizzarli. Questi signori, dato che lui si sacrifica per loro, dovrebbero riconoscergli il più alto salario per ricompensarlo del lavoro di merda che fa durante tutta la vita. In una società giusta, che si rispetti, coloro che fanno il lavoro più duro, dovrebbero essere i più pagati. Io la penso così!”

“Tu sei pazzo, ecco tutto.”

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Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (4)

IV

Quella mattina Nicolò si alzò presto. Si lavò e si rase con acqua fredda. Il dopobarba sapeva di pino, ne aspirò l’odore, se ne buttò sul viso in abbondanza. S’accorse che aveva le occhiaie. Scorse una sottile grinza vicino alla palpebra inferiore. La sfiorò col dito, fece un ghigno: era la materia marcia di Gina che affiorava!

Si preparò il caffè. Lo bevve. E, tra un pensiero e l’altro, gli venne in mente che le ragazze australiane sarebbero arrivate a Calvario fra qualche giorno. Doveva andare a Stìdero a comprare della roba.

Stava per salire in macchina quando scorse un uomo venire verso di lui. All’inizio non capì chi fosse, poi, mentre si avvicinava, lo riconobbe. Era il Dritto. Amedeo e Lucia gli avevano accennato qualcosa riguardo a questo individuo, ma lui lo ricordava bene. Ora, come lo rivide, dimenticò quello che gli frullava in testa e fu subito percorso da un brivido. Rivide una sfilza di immagini. Non riusciva ancora a crederci. Lei era una bambina, lui, lo sposo, quasi un vecchio! Come aveva potuto, lui, il Dritto, dare sua figlia in sposa a quell’essere?

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L’Italia che non c’è

L’Italia degli italiani, l’Italia di quelli che lavorano, l’Italia di quelli che pagano le tasse, l’Italia di quelli che fanno sacrifici, l’Italia di quelli che la costruiscono, l’Italia del pescatore, l’Italia del contadino, l’Italia del minatore, l’Italia del bracciante, l’Italia del soldato, l’Italia dell’operaio, l’Italia di quelli che l’amano, l’Italia di quelli che sono pronti a morire per lei, questa Italia non c’è, non esiste, non è mai esistita, non nella realtà, nella realtà l’Italia è nelle mani di parassiti, di politicanti, di volgaroni, di sfruttatori, di vendifrottole, di cinici, di machiavellici individui, di buoni a nulla, di spreconi, di incompetenti, di acchiappa tutto, di lupi iene serpenti e squali che si spartiscono con avidità la preda: il sudore del popolo, il sudore di coloro dell’Italia che non c’è.

What a beautiful world!

 

I promessi sposi

Ricordo che quand’ero in Australia avevo regalato “I Promessi sposi” ad una gentil signora che aveva espresso la curiosità di leggere un romanzo del Pdm (Paese delle meraviglie). Perché “I Promessi sposi?” Perché la libreria in cui ero andato, in quel momento, non aveva altro. Era una vecchissima edizione. Lo comprai. Glielo diedi. A lettura finita, la gentil signora mi ha detto:

“Ma non esistono veri uomini nel romanzo che lei mi ha dato, o, se esistono, sono uomini-burattino, perché nei loro cervelli domina un burattinaio che l’autore chiama Provvidenza”.

Me l’ero presa, ma a torto: non avevo ancora letto questo capolavoro della letteratura meravigliosa.

 

Vedere Il Paese delle meraviglie

Uno scrittore in cerca d’un editore

L’Italia, grazie alla sua editoria sponsorizzata dallo Stato e dalla Chiesa, si trova al sessantanovesimo posto tra i paesi del mondo riguardo al libero pensiero.

Gli scrittori di questo paese mentalmente castrato, che avrebbero dovuto essere la sua fiaccola e la sua locomotiva, essendo, con qualche eccezione, raccomandati e le case editrici sovvenzionate, non riescono a produrre nulla di innovativo e originale.

Proprio in questi tempi, l’editore Bompiani ha proposto al regista e attore, Carlo Verdone, di scrivere la sua biografia. Nella proposta aveva aggiunto anche che gli avrebbe fornito un ghost writer, uno scrittore fantasma di modo che potesse aiutarlo. In altre parole, la biografia non l’ha scritta il regista (è già stata pubblicata dal suddetto editore), ma gliel’ha scritta principalmente il ghost writer. Verdone è stato onesto nel raccontare ciò alla trasmissione di Fabio Fazio, Che tempo che fa, su Rai 3 domenica 26 febbraio 2012.

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Un meraviglioso

C’è un individuo in questo paese di cui ora non ricordo esattamente il nome, ma dovrebbe avvicinarsi a mister Boss, un insopportabile scatola sputa sentenze. Ebbene, questo individuo, e lo sanno ormai cani e porci, è la vergogna del luogo, la vergogna del Nord e la vergogna del Sud, è la vergogna di tutto il paese, è la vergogna di tutta l’Europa, è la vergogna di tutto l’Occidente, è la vergogna di tutto l’Oriente, è la vergogna di tutto il Mondo, è la vergogna del Sistema Solare, è la vergogna della Via Lattea, è la vergogna del nostro Universo, è la vergogna di tutti gli immaginabili e inimmaginabili Universi, è la vergogna della materia che l’ha abortito, è la vergogna di tutto il genere umano e, nonostante ciò, nonostante questa sua cosmica reputazione, questo individuo, invece di buttarlo in una fogna, degno luogo per un tipo del genere, ebbene, invece di questa sacrosanta e meritatissima fine, lo si lascia lì, a fumare i suoi sigari stupidamente e sgangheratamente e a sbraitare il suo nonsenso e continuare così a spargere la sua ormai profumatissima e cosmica nomea. What a fantastic world!

Vedere Il Paese delle meraviglie

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (3)

III

“T’aspettavo,” dice Nicolò.

“Lo spero bene,” fa Amedeo mettendo sulla tavola di fronte a lui un cesto coperto da un tovagliolo bianco.

Nicolò immagina cosa contiene. Annusa. È già raggiunto da un’ondata di aromi. Poi, con un gesto teatrale, tira via il tovagliolo e vede che c’è pasta al sugo, melanzane ripiene, coniglio in umido, polpette, tutto ancora fumante.

“Perbacco!” esclama. “Mi rifiuto di andare a letto stasera fin quando ci sarà cibo sulla tavola,” e si mette a tirarlo fuori dalla cesta.

“Questa è l’idea,” concorda Amedeo.

“Vorrei dirti,” dice Nicolò mentre prepara la tavola, “prima di riprendere il racconto, che trovo difficile esporti schiettamente e realisticamente la storia della mia vita all’estero. Pensavo di essere capace di farlo in modo sereno e naturale, ma mi ero sbagliato. Sento, via via che racconto, il bisogno di ritoccare, di eliminare le cose brutte, correggere gli sbagli che ho fatto, perfezionare, addirittura idealizzare. E non solo. Mi sembra anche di rivivere quei momenti.”

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La Chiesa e l’omosessualità

Come mai, ci chiediamo, come mai la Chiesa che ha sempre combattuto, osteggiato, condannato e criminalizzato l’omosessualità, come mai s’inchina innanzi agli omosessuali famosi, ricchi e credenti?

 

L’amore è più forte della morte

Chi ama ed è amato non ha paura delle tenebre, perché l’amore illumina le notti buie. L’amore è forza, vita, splendore. Non ci può essere gioia di vivere senza l’amore. La sua mancanza crea insoddisfazione, ribellione, guerra. Solo la sua cristallizzazione ci esalta. Realizzare l’istinto amoroso è il successo della vita. Proprio così: l’amore è più forte della morte. Di più. È luminosità a 360 gradi.

Vedere Per una filosofia perenne

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (2)

II

Quella notte Nicolò dormì male, si alzò di cattivo umore. Gli frullavano delle cose in testa. Non riusciva a individuare la loro voce, venivano da terre lontane. Si sentiva diviso, a pezzi, frantumato. Miriadi di “io”, di tutte le dimensioni, scaturivano dalla sua mente e volavano via più veloci della luce in luoghi remoti. Vedeva il suo corpo andare a spasso per il mondo ma lui non c’era. Tutti quei Nicolò sparpagliati in quei posti, in quelle occupazioni, vicende: le sue battaglie, le sue avventure, la sua vita. Continuava a sorbire il caffè tutto assorto in quella pellicola silenziosa, in quelle immagini di vita trascorsa. Non si era neppure accorto che fuori c’era tanto sole, perché nessun raggio giungeva al suo cuore. Il fuoco si era trasformato in ghiaccio, il selvaggio in umano, il passato in presente.

Mentre era lì avvolto nei suoi ricordi, udì qualcuno bussare alla porta.

“Chi è?”

“Il postino.”

Era una lettera di Judy. Lei, Gaby e Sheryl sarebbero arrivate a Calvario prima della fine di settembre. Speravano di trovare tempo bello. Non doveva disturbarsi per loro perché avrebbero trovato la strada da sole. Si sarebbero accontentate di un cantuccio nella casa, se fosse stato disposto a sacrificarlo.

“Kisses and hugs from all!1

Judy veniva a trovarlo e da tanto lontano! Eppure, nonostante avesse lasciato di recente “quell’altro mondo”, gli era venuta in    mente solo poche volte da quando era arrivato a Calvario. Adesso, leggendo la lettera, qualcosa che stava dormendo in lui si svegliò, si schiarì e Nicolò iniziò a vedere immagini, udire parole.

“Abbiamo bisogno di un nuovo uomo,” diceva lui in inglese.

“Che tipo di uomo?” faceva Judy.

“Uno che non sia un parassita; uno che ami gli uomini e non li fotta.”

“Bene, ma che tipo di uomo è?” insisteva lei.

“Nuovo nel pensare, nuovo nel comportamento, nuovo in tutto.”

“Tu soffri di visioni, my dear friend,” 2 l’assaliva Judy con un inglese misto d’italiano.

“Ti sbagli. Le mie visioni sono realistiche,” ribadiva lui.

“E va bene, faceva lei. Vediamo allora:  il tuo nuovo uomo assomiglia a un ariano, al Grande Fratello, ad uno creato dall’ingegneria genetica, oppure ad un uomo con un lungo lungo naso come quello di Pinocchio? Insomma, che tipo di uomo è?”

“Nessuno di quelli che hai menzionato tu. Io ti sto parlando di un nuovo uomo e l’intendo nuovo nel tessuto sociale di oggi, altrimenti è vecchissimo.”

“Aaah yes,” ridacchiava lei. E poi decisa: “Non mi far ridere! Te l’ho detto, tu soffri di visioni utopistiche, ecco tutto!”

“Io non soffro di visioni utopistiche,” alzava la voce Nicolò. “Sei tu che non capisci mai nulla di quello che dico.”

“Ma tu sì!”

“Sei una bella troia, solo una bella troia e niente altro.”

“And you a son of a bitch,” 3

“Sai, francamente, non ho la più pallida idea di cosa avrei fatto senza di te! Sei la mia fortuna, Judy,” aveva finito per dirle lui buttandosi su di lei.

“Questo sì che è parlare!” mugolava lei mentre si abbandonava alla sua passione.

Le loro conversazioni erudite terminavano spesso in questo modo.

Che venga pure, disse Nicolò tra sé e sé. Per  ospitarle avrebbe dovuto comprare un letto per Sheryl e uno per Gaby, per il resto, nel caso avessero avuto bisogno d’altro, avrebbero potuto procurarselo loro una volta lì.

Qualcuno, in quel mentre, venne a distoglierlo dai suoi pensieri.

“Con questo tempo bisognerebbe essere sui monti, nei campi, ovunque, ma non in casa.”

Era Michele vestito da cacciatore e col fucile in spalla.

Nicolò, come lo vide, capì che l’amico era di ottimo umore. Chiese: “Qual buon vento ti porta da queste parti?”

“Quello dell’amore e dell’amicizia,” rispose lui tutto sorridente.

“Sento odore di felicità, sapore di confetti.”

“Puoi dirlo. Ci sposeremo il primo sabato di ottobre in municipio e festeggeremo a casa mia. Maddalena e io ti vogliamo lì.”

“Sarà un onore e un piacere.”

“Anche per noi.”

“Vieni, entra. Hai bevuto il caffè?”

“Sì, però ne berrei volentieri un altro,” rispose Michele posando il fucile in un angolo.

Mentre Nicolò preparava il caffè, lui diede un’occhiata in giro per la casa. Notò la moquette nella camera da letto, ma non fece commenti. Quando ritornò in cucina si limitò a dire: “Pare che mastro Nicodemo abbia fatto un buon lavoro.”

“Non c’è male,” fece Nicolò versando il liquido nelle tazze.

Bevuto il caffè, i due amici decisero di andare sull’Agave e, per arrivare in cima al più presto, presero una loro vecchia scorciatoia. Mentre salivano, Michele chiedeva:

“Ti ricordi di questo passaggio?”

“Nei minimi dettagli.”

“E di quest’altro?”

“Come se fosse ieri.”

”E ti ricordi anche di quel giorno che abbiamo incontrato il prete, don Barto, con la carabina in mano?”

“Ogni gesto e parola.”

“Ci aveva fatto paura. Non l’avevamo riconosciuto tutto vestito di nero com’era. Sembrava un diavolo!”

“Proprio così.”

“Che roba! Ci era piombato davanti come un fulmine, sudato, col viso livido dalla rabbia, chiedendoci se avessimo visto Cicciu u Grandi, quello che corteggiava sua nipote. Che poi, se ricordi, lei non era sua nipote, ma una serva-concubina che lui manteneva per i suoi comodi. Era gelosissimo. Il povero Cicciu dovette squagliarsela per qualche tempo per paura che quel pretone, se l’avesse trovato, gli avrebbe sparato. Te lo ricordi?”

“E ti direi di più,” fece Nicolò. “Non era stato lo stesso prete che i fratelli Columbo avevano invitato a farsi una passeggiata e, non appena si erano allontanati dal paese, l’avevano picchiato e gli avevano sfregiato il pene?”

“Lui, eccome!”

“Tutto perché, si diceva, la sorella dei Columbo aveva raccontato ai fratelli che don Barto le chiedeva, quando andava a confessarsi, dove metteva le mani durante la notte, se dormiva con una camicia oppure nuda, se qualche volta le capitava di pensare ad altro oltre che al Signore, chi era quest’altro, come vestiva, se era bello, brutto, se l’aveva già incontrato, se aveva peccato con lui e se intendeva peccare di nuovo, e altre cose di questo genere.”

“Che batosta!”

“Non aveva voluto neppure denunciare i suoi castigatori per paura di uno scandalo e come risultato di quell’affronto, era sparito. In cambio ci avevano mandato quell’ubriacone di don Scarafago,” fece Nicolò.

“L’abbiamo ancora e non ha perso il vizio di bere,” disse Michele.

“Cos’altro, in fondo in fondo, possono fare questi infelici?” osservò Nicolò. “Il loro credo li spinge a costanti repressioni della carne e dello spirito e, di conseguenza, sono portati a negare la propria natura, il che li conduce ad atti estremi, fanatici e auto-punitivi.  Sono schiavi del loro delirio, vittime del loro abracadabra. In loro la nevrosi infuria. Ma il peggior male non è questo, il peggior male è che cercano d’insegnare agli altri come vivere, proprio loro che della vita ne sanno così poco. La nostra, caro Michele, è una cultura tutta da rifare.”

“Partendo da zero,” aggiunse lui.

Quando arrivarono sulla cima dell’Agave, erano ansanti.

“Che bella salita!” fece Michele.

“Fantastica!” disse Nicolò.

Rimasero in silenzio fianco a fianco. Più s’immergevano in quello che li circondava, più tacevano. La giornata era limpida e tutto era pieno di vita e di sole. Continuavano a restare in silenzio. Quante volte da ragazzi avevano visto quel panorama senza avvertire l’ineffabile sensazione che sentivano adesso. Allora trovavano sempre delle parole da dire, poco importava quanto fossero banali. Ora invece intuivano che questo non bastava più. Meglio tacere che parlare a casaccio e tacquero ancora, tenendo ognuno per sé le sensazioni provate di fronte alla vista che si dischiudeva intorno a loro.

Si sedettero, ritrovarono la parola. Michele puntando la mano verso Stìdero, disse: “Vedi quei fumaioli laggiù in fondo, sulla sinistra? Sicuramente non c’erano quando tu eri qui. Se guardi un pochino più in giù puoi vedere che c’è anche un porto. Tutto appartiene al signor Lazzaro.”

“Lo so,” rispose Nicolò.

Lazzaro, il signor Lazzaro, aveva un passato losco. A sedici anni accoltellò un suo compagno di classe perché aveva parlato con la “sua” ragazza. Più tardi divenne un esaltato del regime fascista. Quando cadde il fascismo cambiò bandiera: monarchico. Un giorno rischiò di farsi fucilare dai partigiani. Si salvò unendosi a loro, tradendo i compagni e facendo lo spione. Poi, alla prima occasione, disertò. Durante questo periodo regolò i conti con alcuni “elementi fastidiosi”. Alla figlia di uno di questi, dopo averla violata, fece fare la stessa fine del padre: la buttò in un pozzo. In seguito si ripulì dalla lordura morale e dalle mani sporche di sangue facendosi repubblicano. Poco dopo lo nominarono presidente d’una organizzazione edilizia. Qui, al momento opportuno, rubò tutto quello che c’era da rubare e scappò. Mentre era via si trovò un avvocato e poi si presentò al processo. Fu condannato lo stesso per frode, ma la prigione non l’assaggiò neanche per un’ora: aveva conoscenze, lui!

Non era del posto, ma aveva degli amici. Si fidanzò con la figlia del suo difensore e se la sposò. Dopo la guerra, con i soldi che aveva rubato e con l’aiuto economico del suocero, costruì una fornace, l’unica del suo genere nella regione di Schidiscita e comprò un camion. Iniziò con un pugno di lavoratori, quasi tutti ragazzi, pagandoli quattro soldi e sfruttandoli tanto quanto poteva.

Gradualmente si ingrandì, divenne ricco, miliardario. Ora aveva più di cento operai ed era diventato molto potente. Tutto ciò non gli bastava, era molto ambizioso. Voleva vedere, prima di morire, uno dei figli sindaco di Stìdero prima, e poi a Roma al parlamento. Difatti, Girolamo, il figlio maggiore, si era presentato come candidato democristiano alle ultime elezioni. Ci mancò poco che non le vincesse.

Michele, dopo una piccola riflessione, mise una mano sulla spalla dell’amico, dicendo:

“Scusa se ho menzionato quest’uomo. Mi è venuto in mente che da ragazzo hai lavorato per lui. Forse non vuoi ricordare quel periodo della tua vita.”

“Non devi scusarti affatto,” disse pronto Nicolò. “Io sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto nella mia vita e particolarmente di quand’ero un ragazzo. Non ho mai dimenticato questa mia età. E non soltanto questa. Tutta la mia esistenza balla innanzi a me in ogni momento.”

“A me invece deprime solo a pensarla, la mia infanzia,” fece Michele.

Nicolò lo guardò e cambiando tono e diapason, fece:

“È veramente maestoso il panorama davanti a noi. Qualcuno ha detto che questo paese ha ricevuto dalla natura la bellezza del paesaggio e dagli uomini quella dell’arte e pare che sia proprio così.”

“Costui ha dimenticato di aggiungere la schifezza del mal governo,” disse Michele. “E poi è tutto sentimentalismo. Al contadino di Calvario raramente salta il ticchio di arrampicarsi quassù. Per lui sarebbe stato meglio se l’Agave non fosse esistito e neppure gli altri monti e colline. Tutto piatto avrebbe dovuto essere, così avrebbe potuto trarre profitto seminando e piantando alberi da frutto. Quelli che apprezzano il panorama di questo paese non sono certo quelli che lo coltivano,” e dando un’occhiata all’orologio: “È ora che scendiamo. Ho promesso a mia madre che sarei ritornato a casa prima dell’una e se non mi vede arrivare per quest’ora si fa mille pensieri e tutti di malaugurio.”

“Sai una cosa?” disse Nicolò mentre scendevano, “stamattina ho ricevuto una lettera da Judy, la mia amica australiana che, con altre due ragazze, verrà a trovarmi verso la fine del mese.”

“Dovrai insegnarmi qualche parola d’inglese se vuoi che parli con loro,” fece Michele.

“Non è necessario, masticano abbastanza l’italiano,” disse Nicolò.

“Tanto meglio. Se saranno qui quando mi sposo, portale al matrimonio.”

“Se arrivano in tempo, lo farò.”

“Devo dire a mia madre che cucini per tre stasera?”

“No, grazie, stasera no. Ho già promesso ad Amedeo.”

 

1      Baci e abbracci da tutte.

2 Mio caro amico.

3 E tu un figlio di puttana.