I TAV, Val di Susa e Luca Abbà

Sia chiaro, la causa dell’incidente di Luca Abbà è dovuta solo all’incauto inseguimento del poliziotto sul traliccio, il quale poliziotto, a sua volta, l’infelice, è vittima d’un apparato sociale pazzo, irresponsabile e malato.

La Val di Susa appartiene ai suoi abitanti e non ai predatori statali e ai capitalisti; la Val di Susa non si tocca! Lunga vita a Luca Abbà!

 

 

 

Giustizia o/e bunga bunga?

La legge, Rossi? Non è mai esistita. Non qui da noi, comunque. Qui da noi esiste solo la legge fatta per proteggere i crimini dei ricchi e dei potenti, altra legge non esiste. Stai ridendo? Non devi amico mio. La cosa è tanto assurda quanto drammatica. È così. No, non esiste in questo paese la legge. Non parliamo poi della giustizia, per favore. Solo menzionarla è bestemmia! No! Non voglio sentire, Rossi. Grazie. Sono perentorio, oggi. A volte non posso farne a meno. Qui, amico mio, in questo cazzo di coso, di schifo istituzionale, di paese o come cazzo vuoi chiamarlo, la legge e la giustizia sono proprietà dei parassiti, di quelli che non fanno niente e posseggono tutto, di quelli che con mille inganni, artifici e arzigogoli possono pilotare l’esito delle sentenze. Altra divisa la legge non ne ha e il resto è retorica.

Che bel paese in cui vivere!

 

L’incesto è tollerabile?

E se due fratelli volessero assaggiarsi, toccarsi, baciarsi, fare all’amore? Glielo impediremmo noi? Affatto! Anzi, gli diremmo: fatelo pure con la benedizione di Bogududù! E se padre e figlia, madre e figlio, di comune accordo e con tutta la consapevolezza di ciò che stanno per fare, in una bella notte d’estate e sotto un cielo stellato o in un pomeriggio d’inverno in uno chalet di montagna confortevole e caldo, volessero fare all’amore, glielo impediremmo noi? Su, dai! L’amore ha mille e un milione di aspetti e tutti sacrosanti. Ci sono stati tempi nella storia quando l’incesto era la regola. In natura non ci sono tabù, questi sono invenzioni umane. Quando un’idea, un sentimento, un desiderio sono condivisi, che gioia, che felicità, che totalità!

Di più. L’amore non è amare solo i pregi della persona amata. Così non la si ama affatto. L’amore, il vero amore, quello totale, esige che si amino anche i difetti dell’innamorato. L’amore lo si conquista non in una sola volta, ma tutti i giorni e per tutta la vita. L’amore è intesa, complicità, cultura, poesia, filosofia, la crema della cultura. L’amore non è sesso; il sesso non è amore. L’amore narcisistico è infantile; l’amore altruistico è umano; l’amore disinteressato e sentito è sublime.

Vedere Per una filosofia perenne

 

Fiori di sierra, romanzo, la vita all’estero, parte seconda (1)

I

Amedeo sedeva di fianco alla tavola, le gambe accavallate, il gomito sinistro appoggiato a sostenere il capo con la mano. Un ciuffo di capelli inanellati neri gli cascava sulla fronte. I suoi occhi piccoli e penetranti scintillavano. Nicolò sedeva di fronte a lui. Avevano mangiato, ma continuavano a piluccare pezzettini di soppressata e a sorseggiare vino rosso. Amedeo, quando non beveva o mangiava, fumava, aveva un’aria allegra, continuava a sbirciare Nicolò. Più volte gli aveva chiesto d’iniziare a raccontare, ma lui non l’aveva ancora fatto. Esitava, pareva avesse cambiato idea oppure rifletteva su come cominciare a farlo.

“Racconta dunque!” gli dice impaziente. “Eri d’accordo che mi avresti raccontato della tua vita all’estero, cosa aspetti a incominciare?”

Nicolò lo guarda: “Lo farò.”

“Fallo allora!”

“Dammi ancora un minuto.”

“Anche due, anche cinque, ma poi inizia.”

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Prima lezione sulle immortalità plurime

Vai via Impostore!

Lascia la mia terra!

Molla la presa!

Vai via e non ti voltare!

Tu sei un mentitore, un alieno, una creatura del male. Tutti i crimini che hai commesso in nome della tua istituzione, dal suo inizio fino ad oggi, pesano sulla tua coscienza come macigni. Tu però la coscienza non ce l’hai. Non l’hai mai avuta, mai l’avrai, se l’avessi avuta da tempo ti saresti arreso alla tua missione di stregone diabolico e criminale.

Vai via!

Go away!

Sgombra la mia terra!

L’hai insanguinata, l’hai ridotta ad una volgarità, ad una espressione geografica. Tu sei il protagonista principale di tutto quello che succede. Tutto quello che guardi, tocchi e pensi muore. Hai la morte negli occhi.

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Un allineamento altolocato o cosa?

Hai notato, Rossi, hai notato che a partire dal presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, all’ultimo dei conduttori televisivi, gli anchormen, indossano tutti la stessa divisa? Divisa per modo di dire, perché in realtà è un costosissimo vestito grigio scuro, probabilmente cucito e confezionato a Londra. Un caso oppure un adeguarsi altolocato? Non so cosa ne pensi tu, amico mio, ma a me la cosa reca molta tristezza.

 

“E pur si muove”, eppure si crede ancora!

La Chiesa Cristocatto è nata corrotta, criminale, bugiarda, venditrice di fumo e, nonostante ciò, nonostante siano trascorsi duemila anni da quando la sua base socialmente e culturalmente marcia e micidiale si è affermata, consolidata, nonostante ciò è ancora lì, lì a continuare e a trafficare con il suo oscurantismo e a vivere sulle spalle di quelli che non sanno da che parte sta il culo e da che parte sta la vagina. In altre parole, di quelli che sfrutta e imbroglia e lo fa, non ci crederesti, Rossi, lo fa, lo fa, lo fa, amico mio, con la piena complicità degli Stati predatori. Grande, veramente grande per com’è combinata e si è organizzata la nostra cara società, vero?

Vedere L’Indifferenza divina

 

 

Pagare il canone RAI sì, ma ad una condizione

Io voglio, io cittadino italiano, io che ho fatto il servizio militare, io che ho sempre lavorato e pagato le tasse, io cittadino e basta, io voglio vedere alla RAI meno sport, meno politica, meno pubblicità, meno intrattenimenti cretini, meno buffonerie, meno ignominie, meno meno meno; voglio vedere invece tutto il mio popolo, dal primo all’ultimo, lì nei programmi RAI che parla della sua vita e della sua esperienza e che sicuramente la sua esperienza non è meno degna e rispettosa di quella di coloro che la RAI ospita sempre. Tanto per capirci, voglio vedere colui/colei che lavora in fonderia, colui/colei che lavora in miniera, colui/colei che pulisce le strade, colui/colei che accudisce gli animali, colui/colei che è andato in prigione e che ci dice il come e il perché ci è andato, colui/colei che vuole lavorare e non trova lavoro; voglio vedere tutte le classi, dalla prima all’ultima, che si esibiscono con uguale tempo alla RAI, perché io voglio crescere insieme a tutto il mio Paese e non solo con quelli che gridano più forte e forse sono anche i più vuoti, i più disonesti e i più grandi truffatori del paese.

Fino a quando le cose non saranno così, nessuno, dico nessuno, in nome, dell’umanità, della giustizia, della democrazia, della dignità, dico nessuno dovrebbe pagare un solo soldo alla RAI. Tanto per intenderci: non dovrebbe pagare il canone RAI, punto!

 

 

 

Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima(11)

XI

Prima di partire, il suo rapporto col cugino era sporadico e frettoloso. Amedeo studiava, era sempre occupato, aveva genitori superbi, severi, ma affettuosi, che gli erano sempre alle calcagna con coccole, premure e minacce, sempre a decidere tutto per lui, anche quante boccate d’aria doveva prendere in un minuto, lasciandogli raramente qualche briciola di libertà.

Il padre beveva come la maggior parte degli uomini di quel luogo, soffriva di forti attacchi convulsivi. Se, però, nei momenti in cui era alla mercé dei suoi attacchi avesse fatto un torto alla moglie, al figlio o a qualcun altro, poi avrebbe chiesto loro perdono in ginocchio. Era buffo vedere quell’uomo inginocchiato a chiedere perdono alla persona che aveva offeso.

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Un invito al primo ministro italiano

Mister Mario Monti, per favore, non lasci il paese nelle mani di quelli che l’hanno distrutto, che l’hanno disonoarato in tutto il mondo, che l’hanno trascinato nella polvere.

Sappia che moralmente umanamente eticamente onestamente culturalmente parlando, il popolo italiano può dare lezione a tutti i politici. E in ogni caso, qualsiasi politico, degno di questo nome, non potrebbe mai e poi mai condividere un parlamento infestato da indagati, da corrotti e da mafiosi.

Non dimentichi poi che nel campo del lavoro, sia all’estero che in casa propria, il popolo italiano ha dato ampiamente prova di essere un grande lavoratore e di sapersi far rispettare e stimare ovunque, tutto il contrario dei suoi leaders!

Non trascuri neppure il fatto, mister Mario Monti, che se il bunga bunga fosse rimasto al potere, della sua e della mia Italia a quest’ora non sarebbe rimasto quasi più niente, per non dire che non esisterebbe più.

E da ultimo, se lei ama la zolla di terra in cui il caso l’ha fatta nascere come la amo io, allora è chiaro, allora ci siamo capiti: non può lasciare il nostro Paese, il nostro Popolo alla mercé di malfattori e di incopetenti. Grazie!

 

Il mondo creato dai piccoli uomini

Si sta sbriciolando, sfilacciando, cadendo a pezzi da tutte le parti. È in crisi, una crisi cronica, devastante, senza fine. Non si sa più come curarlo. Si è incancrenito così tanto che il bisturi non basta più. Ci vuole altro e altro sta arrivando. Non c’è più il minimo dubbio. È arrivato ormai l’inevitabile. È il boomerang che colpisce la testa dei piccoli uomini che l’hanno lanciato, che hanno creato questo piccolo mondo, specchio della loro meschineria e ignominia.

Siamo stati educati e guidati lungo i secoli della nostra evoluzione storica da piccoli uomini, uomini che hanno creato la storia secondo il loro egoismo. La nostra, infatti, è la storia dell’egoismo. I piccoli uomini non sono mai riusciti a liberarsene e hanno scolpito il mondo a loro immagine e somiglianza. Il genere umano è nelle mani di questi esseri, creature sempre alla ricerca di potere e di averi. Non ne hanno mai abbastanza e l’unico senso che riescono a dare alle loro vite è quello di succhiare il sangue ai loro simili.

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Pubblicizzare Dio al Festival di Sanremo

E se Adriano Celentano, Famiglia Cristiana e il giornale L’Avvenire si fossero, ancora prima che iniziasse il Festival di Sanremo, messi d’accordo per fare un po’ di pubblicità al loro Dio? Non è una cattiva idea. Per conto mio, più ci penso, più mi convinco che le cose sarebbero potute andare anche così.

 

Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (10)

X

Seduto sulla vetta più alta dell’Agave, Nicolò contempla il paesaggio circostante. Lontano, davanti a lui, il mare. Solo di lassù si vede quella grande massa d’acqua solcata da lunghe falde chiare e sinuose; dietro di lui le alte cime di Fiermonte che, spoglie di neve, si confondono in una foschia caliginosa; da entrambi i versanti, distese che corrono, il torrentello, qualche tugurio, baracche a forma di case; sopra la sua testa il cielo alto, azzurro, imprendibile. Sotto di lui, tra due rocce, le foglioline d’un cespuglio di avena selvatica vibrano inumidite dalla brina. Erba secca copre, qui e lì, il terreno. Tra gli arbusti solo la ginestra verdeggia, lei sola riesce a trarre cibo in abbondanza da quel suolo arido. Dai suoi steli pendono grappoli di fiori gialli e profumati.

Il cielo inizia ad arrossarsi a levante. Da lì a poco l’Astro della vita, col suo cerchio rosso e sprazzi di luce fiammeggiante, si sarebbe alzato per farsi durante il giorno caldo e insidioso, tanto caldo e insidioso che sarebbe persino capace di prenderti la vita che ti ha dato, se non ti proteggessi dalle sue vampate di calore. Non un rumore, unicamente il canto lontano d’un gallo giunge alle sue orecchie. Poi vede i primi uccelli volare: è l’alba e l’aurora è prossima.

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È possibile un ménage à trois?

Non solo à trois, ma a quattro, a cinque, a dieci. Una donna che vuol vivere e ci riesce a vivere con dieci, venti uomini, perché non dovrebbe farlo? Un uomo che vuole fare altrettanto, vivere con dieci, venti donne, perché non dovrebbe permetterselo? Davide, il beniamino di Javhé, aveva un harem di 700 mogli e 300 concubine. Perché a lui tutto questo bene di Bogududù e a noi no? E poi chi dovrebbe dire a “noi”, figli della libertà, come vivere? Chi? Chi? Chi? La vecchia putrescente società, il vecchio schifo, la vecchia impostura del mettere persone insieme? Si tengano alla larga dalla nostra vita, costoro!

Sì, il ménage à trois è possibile. Ménage à trois vuol dire, se i personaggi sono saggi e maturi, trasformare in energia il terzo arrivato. Quando in una coppia entra una terza persona, ci dev’essere una ragione, anche più di una: impotenza, noia, mancanza di vitalità, di idee nuove, blocco psicologico, infermità, ecc. Questo è ovvio. Non c’è posto per un terzo in una coppia contenta, salda, felice. Se la coppia traballante è ragionevole, può fare della nuova persona una fonte di energia. Se invece non lo è, allora è la fine della coppia.

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Successo straordinario per la prima serata del Festival di Sanremo

All the world is a stage. Si sa. Si conosce. È così. Ma c’è palcoscenico e palcoscenico. Quello dell’Ariston di Sanremo, dopo lo spettacolo di ieri sera, non so se si può continuare a definirlo palcoscenico. Sì, certo, palcoscenico è, ma di che sorta? Descritto in nuce, c’erano le montange rocciose di Las Vegas o che altro era. Mamma mia che immaginazione! Eppure, questa città, Sanremo, è conosciuta nel mondo per i suoi stupendi fiori e, guarda caso, non ce n’era neppure uno sul palcoscenico dell’Ariston. Che stranezza! Poi c’erano due becchini. Questi, ogni volta che un rumoroso si accingeva a fare rumore, apparivano, lo presentavano coi loro rumori e, poi, mentre il rumoroso faceva rumore, loro sparivavano per riapparire subito dopo che il rumoroso aveva finito di fare il suo rumore. Grande! Poi c’era l’audience. Il ruolo di questa lo si conosce: è lì solo per applaudire. E lo fa debitamente e generosamente. Altro scopo per essere lì non ne ha. Grande!

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Evolutionist versus philosopher

There is no real challenge between the philosopher, Alain De Botton, and the biologist and evolutionist, Richard Dawkins. Il primo vuole ritornare ai templi, al medioevale, vuole costruire addirittura un tempio all’ateismo nel cuore di Londra. Che follia! Il secondo si oppone a questa follia, giustamente, perché, infatti, follia è. L’ateismo non è un’invenzione come lo sono le religioni, gli dèi, dio; l’ateismo è nell’essenza dei fenomeni, è un fatto di natura. Questa, gli atomi, il caso, sono atei. La religione è un prodotto culturale come lo sono il nirvana, il paradiso, la mecca, pegaso; l’ateismo invece è un legittimo figlio della natura. Detto in nuce, si nasce atei, religiosi si diventa.

Allora perché, filosofo, se filosofo sei, perché si dovrebbe costruire un tempio all’ateismo? Ovunque guardi in natura, lì c’è l’ateismo. Anche i tuoi occhi sono pieni di ateismo. La terra, tutta la terra, è un tempio, un tempio di ateismo. Ebbene? L’ateismo è nella testa di tutti, che piaccia o no, anche nella testa dei credenti, anche in quella dell’arcivescovo di Canterbury e del suo consigliere, il reverendo George Pitcher, ed è la loro ragione e questa non ha bisogno di templi e tanto meno la si deve paragonare coi deliri mentali né sottometterla a fronzoli cerebrali.

Insomma, filosofo De Botton, se hai bisogno, se proprio hai bisogno d’un tempio, costruiscilo a casa tua, magari sotto il letto, e lascia in pace il centro di Londra e il resto del mondo. Grazie.

 

 

“La Santa Sede”, ma cosa vuol dire?

Questo io non l’ho mai capito, perché, nella realtà, non mi pare affatto così “Santa”. Ma non entriamo subito in polemica. È domenica mattina. Prendiamoci invece un bel respiro e cerchiamo di vedere, in nuce, dico solo in nuce, qualche piccolo richiamo storico, cioè unicamente la puntina dell’iceberg della così chiamata “La Santa Sede”.

“La Santa Sede” è stata il luogo del Nazismo, è stata il luogo del Fascismo, è stata il luogo del Franchismo; ha visto mandare nei lager Nazisti centinaia di migliaia di innocenti e non ha alzato un dito; “La Santa Sede” è il luogo di pedofili, è il luogo della mafia, è il luogo degli scandali finanziari, è un luogo di crimini: recentissimamente il colonnello delle Guardie Svizzere, Estermann e sua moglie Gladys sono stati massacrati in Vaticano; “La Santa Sede” è un nido di vipere, è il luogo dove la corruzione è elevata a sistema, è il luogo più vecchio al mondo di bugie e di falsità le più aberranti dell’universo; “La Santa Sede” ha bruciato il filosofo Giordano Bruno, ha condannato lo scienziato Galileo Galilei, ha mandato al rogo Giovanna d’Arco; “La Santa Sede” ha eletto papi e ha santificato i boia più mostruosi del sistema solare: santo Cirillo d’Alessandria, Baldassarre Cossa, papa Giovanni XXIII, san Pio XII, papa Alessandro Borgia; “La Santa Sede” è la “Sede” del Santo Uffizio, cioè “La Santa Sede” dell’Inquisizione, il tribunale più omicida e obbrobrioso della Via Lattea, con Tomas de Torquemada, il grande Inquisitore spagnolo, in testa a questa organizzazione di furiosi deliranti inarrestabili psicopatici dalle mani sempre unte e bisunte di sangue.

Ecco qualche cenno storico de “La Santa Sede”, il posto dove, sempre attenendoci strettamente ai fatti, gli assassini più assassini della terra diventano “Santi”. Ora, ci chiediamo noi, noi semplici mortali,  cosa dobbiamo pensare quando i giornalisti e i signori prelati ci parlano con tanto fervore de “La Santa Sede”? Di più. Ci chiediamo anche con quale conoscenza, con quale conoscenza e coscienza storica, con quale spirito umano, se l’umano esiste, si può chiamare questo luogo “La Santa Sede”?

Giudicata tu, lettore.

Vedere L’Indifferenza divina

 

 

Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (9)

Aspettava da mezz’ora e non c’era nessun altro cliente nella sala. Stupefatto, guardava quegli impiegati che, con camicie bianche e cravatte nere, si agitavano, si muovevano da un posto all’altro con in mano carte che prendevano dalle loro scrivanie per riportarle di nuovo dove le avevano prese poco prima, senza neppure guardarle; si giravano intorno l’un l’altro, si esaminavano, si scambiavano occhiate e sorrisetti maliziosi mugolando qualche parola tra i denti, mentre qualcuno, di quando in quando, si degnava di dare un’occhiata a quello sperduto tipo che continuava ad osservarli con tanta meraviglia, aspettando che qualcuno si decidesse ad occuparsi di lui.

Finalmente, vide due di quei tipi parlare insieme e, poi, uno di loro, quello tozzo che assomigliava più a un gorilla che a un essere umano, si era avvicinato allo sportello e aveva chiamato con voce stridula:

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Il Dalai Lama, il grande santone orientale

Questo mega vendifrottole orientale, il Dalai Lama, (e prescindiamo dalla lotta per l’indipendenza dei Tibetani) ha scritto 715 Tweeter, non segue nessuno (è un santo lui e i santi sanno, vedono e capiscono tutto, quindi loro non seguono, ma sono seguiti!) e ha 3.614.927 sostenitori. Tremilioniseicentoquattordicinovecentoventisette geni che seguono il suo Nirvana, un concetto alto e mastodontico quanto tutto l’Everest, zeppo, ovvio, di aria fritta! Congratulazioni a tutti i suoi seguaci, sicuramente gente intelligentissima, teste fantastiche, cervelli pieni di roba paradisiaca! Mi viene già l’acquolina in bocca solo a pensarla!

 

L’amore che cambia

Bisogna abbandonare il vecchio modello: matrimonio-figli e poi routine sbadigli e frustrazioni a non finire. Bisogna che la coppia si adatti ad una nuova visione della vita e dell’amore. Non è più il tempo del nonno e della nonna e forse neanche quello di mamma e papà. La vita oggi la viviamo al galoppo, diversamente da come la vivevano i nostri avi, vecchi, cari. La viviamo più intensamente, più pienamente, più libertariamente, cinicamente, spericolatamente.

Bisogna adattarsi ai tempi e i tempi, oggi, richiedono una nuova visione, perché la vita richiede sempre più vita dalla vita. Vogliamo più svaghi, più verità, meno ipocrisia, più amore sentito, vero, più viaggi, più esperienze, più conoscenza, più sincerità, più tutto. Vogliamo vivere una vita intensa, fare d’un secondo un’eternità e vivere l’eternità in un secondo.

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Roberto Saviano ospite di Fabio Fazio in Che tempo che fa

Hai letto lettore quest’ultimo verso della poesia di Wislawa Szymborska, “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”, citato e decantato da Roberto Saviano domenica sera in Che Tempo che fa, Rai 3, 5 febbraio 2012? Per lo scrittore di letteratura gomorristica questo verso rappresenta le più belle parole mai espresse sull’amore. Io invece dico, io che, ovvio, non sono nessuno, se queste sono le più belle parole mai espresse sull’amore, allora povero amore.

Ma fai ancora un piccolo sforzo, lettore, leggiti tutta la poesia. Eccola.

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Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (8) VIII

Passarono diverse settimane prima che gli operai finissero i lavori alla casa di Nicolò. Durante questo periodo, andò ad abitare dal suo amico Michele. I due uomini trascorrevano la maggior parte del tempo insieme. Riuscivano spesso a rivivere l’atmosfera di una volta ritornando nei vecchi posti, sdraiandosi al fresco sotto un albero, zappando nel giardino, camminando per i campi. Spesso li seguiva l’ombra di Vincenzo.

Un pomeriggio di domenica, mentre Michele era ad uno sposalizio, lui era andato a vedere a che punto erano i lavori che venivano fatti a casa sua. Mentre era lì, si era fatto un caffè, poi aveva preso una sedia ed era andato a mettersi fuori. Il sole batteva. Si era seduto all’ombra.

Innanzi a lui, oltre la strada, c’era la quercia, la grande maestosa quercia, colei che l’aveva visto nascere e crescere. Era ancora lì, imponente, sicura di sé, senza bisogno di muoversi per andare in cerca di cibo in giro per il mondo; le sue radici lo estraevano dal cuore della terra. Solo l’Agave, coi suoi alti picchi, la superava. Il resto, case e alberi, tutti nani al confronto. Quante volte sua madre l’aveva sgridato quando lo vedeva su quell’albero saltare come una scimmia e lui, sordo e indifferente ai suoi strilli, continuava a volare da un ramo all’altro.

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Adriano Celentano e Vincenzo Mostarda al Festival di Sanremo

Il primo è un cantautore, il secondo un contadino: del primo nessuno avrebbe bisogno per vivere; del secondo tutti. Il primo produce rumore, il secondo cibo; il primo grida, il secondo coltiva; il primo ci assorda col suo chiasso, il secondo ci addobba la tavola con ogni leccornia gastronomica; il primo svolge un’occupazione piacevole, il secondo fa un lavoro duro; il primo è un clown dello spettocolo, il secondo un giardiniere, uno che sa fare della terra una bellezza unica dove fiori alberi e piante si armonizzano; il primo coi suoi strumenti urla e fa un baccano insopportabile, il secondo un mestiere sano e riposante; il primo è un prodotto della cultura dell’artificio, il secondo un prodotto della cultura della natura; il primo incrementa l’edificio degli ammalati mentali, il secondo rinforza la natura creando ortaggi, frutti, semenze, pane, olio, carni, migliorandoli sempre più e rendendoli più saporiti.

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Un lavoro fisso: un sogno che rende poco

Nasciamo, cresciamo, moriamo; ci innamoriamo, disinnamoriamo e riinnamoriamo di nuovo; iniziamo a lavorare come contadini, poi in fabbrica e poi a fare i fruttivendoli: la vita, un cambiamento continuo, nulla è fermo, da quando ho iniziato a scrivere questo paragrafo le mie cellule sono cambiate milioni di volte.

Non c’è nulla di fisso, di stabile in tutto l’universo. L’immobile, l’indeterminato, il fisso è l’eccezione non la regola. Solo una cultura morta, e la cultura italiana è una cultura morta (va avanti con la testa volta all’indietro, più morta di così!), può motivare i suoi seguaci a desiderare un posto di lavoro fisso, cioè ad una noia fissa, ad una morte anticipata, ma mai una cultura viva, dinamica e bene organizzata.

La vita è cambiamento, è dinamismo e non è una cosa fissa. Un lavoro fisso, è una sbobba fissa e questa è morte (sempre con qualche eccezione), è stagnazione esistenziale, vita povera e mediocre. Noi siamo figli dell’universo e l’universo è super dinamico. Non c’è nulla di fisso in esso, è tutto fluido, tutto scorre, panta rei, direbbe Eraclito.

Il problema dei giovani e di tutti i lavoratori non è il fatto che non trovino un lavoro fisso, il problema è che vivono in una società che li sfrutta, che non li ama, che cerca ogni possibile marchingegno per fregarli, che non sa come gestirli, che non vuole organizzarsi in modo che se uno desidera cambiare lavoro possa farlo senza problemi.

Manca l’amore tra gli esseri umani, il resto è tutto detto.

 

 

Filosofi si nasce

Filosofi non si diventa, si nasce. La filosofia è innata. I bambini sono filosofi per natura. Fanno domande su tutto e vogliono spiegazioni di tutto, vogliono capire e questa voglia di capire ce l’hanno dentro di loro. Per istinto chiedono:

Perché?

Come?

In che modo?

Spiegami.

E quella cosa che luccica nel cielo, che cos’è?

La luna.

Che cos’è la luna?

Un astro.

E che cos’è un astro?

Un corpo celeste.

E un corpo celeste che cos’è?

Vogliamo cambiare discorso, bambino mio?

Perché?

Il primo vagito è un vagito filosofico, ma non bisogna fermarsi ad una filosofia infantile. Bisogna trasformarla in una filosofia adulta, accorta, pronta a confrontarsi col mondo.

Diventare filosofi, possibilmente non accademici, è una nobile ambizione. I filosofi filosofi rinunciano all’avere, all’apparire, alle trombe dei falsi valori e si concentrano unicamente sull’essere. Eliminano dalla loro vita tutto ciò che è inutile e si concentrano sull’utile, l’utile esistenziale e umano. Diventano scuola a se stessi. Vivono la propria filosofia. Ogni pensiero, parola, atto sono il risultato del loro volere. La loro filosofia e il loro stile di vita sono la stessa e medesima cosa. I filosofi filosofi non hanno né dèi né capi né pregiudizi. Conoscono, si conoscono, amano la vita e se stessi. Sono questi i valori di cui si nutrono e trasmettono agli altri.

Vedere Per una filosofia perenne

 

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Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (7)

VII

Sono le tre del pomeriggio. Nicolò ferma la macchina sulla piccola piazza spoglia, prende un mazzo di rose dal sedile, esce, chiude la porta. Dà un’occhiata in giro, nessuno; fa una decina di metri, entra nel luogo del silenzio, si avvia per un vialetto.

I cipressi sono alti ai lati delle logore mura di cinta e hanno un insolito aspetto. Il vento li agita, solleva uno strano mormorìo. Un tempo gli avevano ispirato tanta paura. Ancora oggi sente che risvegliano in lui un certo disagio. Strano, pensa, perché ne aveva visti tanti all’estero senza mai avvertire la stessa sensazione.

Continua ad avanzare guardando a dritta e a manca. Scorge la scritta “D’Alessio Concetta”. Si avvicina, si ferma davanti a quel tenue rilievo di sabbia sormontato da una piccola croce. Né erba né fiori freschi o appassiti la coprono. Sola nell’oblìo e nel silenzio della dimenticata fossa “ella” giace. Le sue mani non brandiscono più lo scudiscio, né la sua bocca grida: “Io ti ho dato la vita e io te la toglierò!” Di quel corpo tanto forte e indiavolato, è rimasto ora unicamente lo scheletro, il misero relitto d’un essere scomparso.

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Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (6)

VI

“Why, why, why, tell me why!” shouts Judy. “You’ve done your bit, you’ve done more than your bit, you’ve done a big bit. Why should you now, just now at this stage of your life, go crazy? I beg you, I beg you on my knees, forget all about it, forget this evil, black dream of yours and come to your senses, to reason, to reality, to reality as it is now and here and not as it is over there, beyond the sea. You’ve changed since then and enormously. I love you, I can’t let you go just like that. Yours is foolishness, nothing else, only sheer folishness,” 1 e inizia a scuoterlo.

Nicolò siede lì sul sofà con la mente altrove. La donna si sforza di fargli cambiare quella sua idea, quella maledizione che non ha smesso di perseguitarlo. Nonostante gli spintoni che gli dà, lui sembra non sentirli tanto è assorto nei suoi pensieri. Judy grida più forte: “Do you hear me?” 2

Si sveglia madido di sudore, sbraita: “Shit! 3 Questa arpìa viene a rompermi le scatole anche nel sonno.”

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Uno scarafaggio disse

Senti, piccolo mio, le cose si stanno mettendo male. Propongo, dunque, io capo degli scarafaggi, che qualcuno del partito faccia il colpo.

Che colpo? Chiede l’unico scarafaggio presente in quel momento.

Svaligiare le casse del partito. Sono belle piene adesso e portare via dodici pallottoline non darà all’occhio a nessuno.

Come?

Sei tu l’esperto. Ovvio, nessun’altro deve saperlo.

Nessuno?

Nessuno.

Verrò scoperto?

Ovvio che verrai scoperto. Infatti, una volta fatto il colpo, il colpo verrà scoperto e, ovvio, verrai condannato, ti farai, male che vada, un annetto di gattabuia e poi, ovvio, uscirai e, ovvio, io e te spartiremo il malloppo: sei pallottolini di merda a ciascuno. Non c’è male come idea, non ti pare?

Se lo dice lei, capo.

Allora così sia.

 

 

Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (5)

V

È giorno. Rumori di motociclette, vespe, biciclette, muli, carrette, somari, qualche macchina: gente di Calvario e dei paesi circostanti che si reca al lavoro, ai suoi impegni quotidiani.

Nicolò giace sul letto tutto vestito. Ha dormito poco e male. Si scuote, si alza. Si sente intontito. Si guarda intorno sorpreso. Trova cose che non aveva visto il giorno prima. In fondo a un baule c’è uno scialle della madre, due fotografie, una del padre di quand’era in guerra, l’altra del fratello, anch’egli in divisa. Della sorella niente. S’accorge di avere una gran voglia di caffè, di qualcosa di caldo da mandar giù. In casa non c’è niente, solo ricordi. Quel posto sveglia in lui un mondo che aveva pensato di aver seppellito. Invece non è così. Non vuole comunque ricordare, non in quel momento. Si sciacqua in fretta la faccia con dell’acqua che aveva preso il giorno prima alla fontana, si avvia i capelli, esce.

Raggiunge Stìdero in corriera due ore dopo. Sbriga alcune faccende. Noleggia un’automobile in attesa che gli arrivi la nuova che ha comprato. Va dalla polizia e s’informa se gli è permesso guidare con la patente straniera. Sì, può, ma poi dovrà cambiarla. Lo seppelliscono sotto una montagna di pratiche che dovrebbe fare. Mentre gli danno queste informazioni, pensa che sarebbe meglio una multa al giorno piuttosto che sottoporsi a tutta quella sfilza di scartoffie e visite mediche.

Passa dal municipio. L’impiegato dell’ufficio di stato civile non c’è. Gli dicono che arriverà da un momento all’altro. Non arriva. Aspetta. Non arriva. Aspetta. Continua ad aspettare. Niente. Aspetta ancora e ancora niente. È stanco, è irritato, frustrato. Se ne va.

Cammina senza una direzione per le strade di Stìdero. Incontra gente. Non conosce nessuno. Entra in un bar. Non appena attraversa la soglia, un uomo seduto a un tavolino si alza, gli si muove incontro. A ogni passo che fa mostra un sorriso e una gioia crescenti. Quando gli è vicino fa:

“È un fantasma, un’allucinazione o un compagno d’infanzia che mi sta davanti?”

È Michele, il suo vecchio caro amico. Michele Michele Michele… Rivede le sue giovani braccia che si alzano alla stazione, rivede, in un flash, la loro fanciullezza. E ora, Michele trasformatosi in un uomo e lì di fronte a lui!

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Il Festival di Sanremo

Un posto meravigliosissimo, amico Rossi. Si gioca, si grida, si canta, si fa rumore, s’incanta e ci s’incanta. Vince chi grida più forte ammore ammore. Se hai una voce dinosauresca, vacci, ti porterai a casa un fracco di soldi. Quello, però, che ha fatto più quattrini quest’anno, al Festival di Sanremo, è stato il conduttore, the anchorman, come dicono gli inglesi. Pare si sia portato a casa, solo per alcune serate, quattro miliardi di vecchie lire! Costui, una schiappetta, per condurre il Festival di Sanremo si è fatto sborsare tutti quei soldi da quelli che amministrano meravigliosamente il sudore dei contribuenti! Ti rendi conto, Rossi, in che meraviglioso paese vivi? Quanto ci vuole, a te, per guadagnare tutto questo denaro? Ti ci vogliono duemila vite. Forse cinquemila. Impossibile dirsi. Però, lui, come lo si chiama questo individuo, Sborloni? Pare che si chiami così: Sborloni. Questo Sborloni, dunque, con poche qualità e in poche serate, si è portato a casa una barca di soldi! Per conto mio, e ormai lo sai come la penso, era lui che avrebbe dovuto pagare il Paese delle meraviglie per condurre il Festival di Sanremo e non viceversa!

Vedere Il Paese delle meraviglie

 

 

Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (4)

IV

Dopo che Amedeo lo lasciò, Nicolò entrò in casa, andò deciso al camino, prese dal muro lo scudiscio e si stese sul letto vestito. Il chiaroscuro lunare filtrava attraverso le fessure della finestra, ed egli si mise a esaminare e a toccare quell’arnese. Forse, se avesse guardato attentamente, malgrado la scarsa luce, vi avrebbe trovato ancora qualche brandello della sua pelle. Quel pomeriggio, quando l’aveva sbirciato, aveva avuto un brivido, ma non aveva voluto toccarlo. Ora, però, ora come poteva non farlo? Sentimenti e ricordi contrastanti si scatenavano in lui, scoppiavano nella sua testa e, come una folgore in piena notte, irradiavano di luce e di immagini il cielo buio. Erano i fantasmi della fanciullezza.

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Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (3)

III

“Allora,” dice Amedeo, “lasci a me la scelta?”

“Puoi dargli fiducia, cugino,” fa la moglie Lucia. “È un esperto in questo genere di cose. Ha passato più tempo a combinare matrimoni che a fare il suo lavoro.”

“Proprio così,” conferma lui. “Non so come, ma mi viene facile maritare la gente.”

“Perché non metti su un’agenzia matrimoniale?” suggerisce Nicolò.

“Qui non è il posto,” fa Lucia.

“Io, in tutti i casi, non sono venuto qui per sposarmi. Le donne di questo posto non le conosco, non saprei come vivere con una di loro, se non come maschio e femmina.”

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Fiori di sierra, romanzo, i fantasmi della fanciullezza, parte prima (2)

II

La stazione di Stìdero era animata da un gruppo di amici e conoscenti che erano andati a salutare Nicolello in partenza. Mentre il treno stava per partire, giovani braccia si alzavano, si stendevano, si mischiavano, si agitavano. Lui ne afferrava due alla volta e le stringeva forte. Tra quelle c’erano anche le braccia di Amedeo che, quando il treno era già avviato, urlò:

“Scrivimi!”

E lui:

“Ho dimenticato tutto quello che ho imparato a scuola. Non so più scrivere.”

Poi, dal finestrino, aveva fatto un ultimo saluto con la mano a quel gruppetto che continuava a gesticolare sulla banchina, aveva sbirciato verso le montagne di Fiermonte, dato un’altra occhiata al monte Agave, e poi si era seduto nello scompartimento con il cuore pesante e il viso rigato di lacrime, nonostante si fosse ripromesso di non piangere.

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La verità, se non è una cura, almeno è un sollievo

Caro Moni Ovadia, lei che è sempre così attento, sensibile e intelligente, le chiedo, le chiedo gentilmente di dirmi chi ha creato, cioè chi ha costruito pezzo a pezzo Adolf Hitler e, quindi, l’orrore che ne è conseguito. Grazie. Un suo ammiratore. Rai News 24, ore 20 e 35 più o meno, 27 gennaio 2012.

 

Tecnici e politici

Alberto Asor Rosa dice (Rai News 24, 27 gennaio 2012) che i tecnici devono smammare. E perché? ci chiediamo noi. E ci chiediamo ancora, mister Rosa: senza i tecnici, oggi, dove si sarebbe trovata l’Italia? E non è finita qui. E perché poi i tecnici dovrebbero fare il lavoro di quelli che il proprio lavoro non lo sanno fare e poi smammare? Lei ha la risposta? Prego!

A proposito, mister Rosa, lei sa che Newton, non sapendo spiegarsi l’apparente stabilità del sistema planetario, suggerì che fosse la mano di Dio a rimettere ogni tanto i pianeti nelle loro orbite. È stato poi Laplace, astronomo e matematico francese, che dimostrò che in realtà queste perturbazioni dei pianeti newtoniani si correggono in gran parte da sé, ma se fosse stato per il grande cervello inglese, sarebbe ancora la mano di Dio a sistemare le cose. Grande, vero?

Mi sembra chiaro allora il discorso, almeno a me e anche per lei suppongo. I tecnici, Mario Monti e la sua équipe, in questo momento, devono aiutare il suo Newton, cioè i suoi politici, i suoi distruttori del paese italico, che non sapevano e non sanno come risolvere i problemi che loro stessi hanno creato. Grande, vero mister Asor Rosa?

Insomma, Monti, il dio Monti, deve arginare l’ignoranza e l’incapacità dei suoi demagoghi, mister Rosa e, una volta fatto il lavoro, sgombrare e lasciare che i soliti parassiti e buoni a nulla prendano di nuovo il loro posto e questo fino a quando non manderanno di nuovo a rotoli l’Italia. È cosi?

 

 

“Fiori di sierra”, romanzo, parte prima (1)

I

“Mamma, mamma!” grida la bambina correndo in casa, “su per la strada sta venendo un signore con una valigia in mano.”

La madre apre la finestra, sporge la testa e vede l’uomo avanzare. Non le sembra di conoscerlo e si domanda chi mai sia.

Il forestiero, alto, brizzolato, cucito in un vestito scuro, non ha l’aria di appartenere a quel luogo. Cammina con passo deciso e di tanto in tanto si passa la valigia da una mano all’altra. Ha caldo, suda. Anch’egli, mentre si avvicina, cerca nella memoria un ricordo per identificare quella signora. Chi può mai essere? E la casa? È stata costruita senz’altro di recente. Si ferma un attimo, mette giù la valigia, guarda la donna. Gli è del tutto estranea. Si limita ad un saluto di cortesia.

Lei risponde e chiude la finestra.

Lui riprende la valigia e continua per la sua strada.

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Vaticano: svastica o croce?

Infatti, nello stato del Vaticano si nasconde una “svastica” oppure una “croce?” Chi ha visto il film “Amen” di Costa Gavras ieri sera su Rai movie, sicuramente conosce la risposta.

 

Fiori di sierra – Indice e Nota Introduttiva

Fiori di Sierra
romanzo

Francis Sgambelluri
via Addis Abeba, 12
13900 Biella (BI)
Italy
Tel.: 015 – 8495439
email@francis-sgambelluri.com
www.francis-sgambelluri.com

 

CASA EDITRICE: CONTRO CORRENTE

 

Indice:

Nota introduttiva ………………. 4

I fantasmi della fanciullezza ………………. 6

La vita all’estero ………………. 60

Il ritorno ………………. 198

 

Alla mia dolce Musa
e a tutti i lavoratori della terra
senza i quali
nulla cresce o fiorisce

 

Non è la ribellione in sé stessa ch’è
nobile, ma ciò ch’essa esige, anche se
ciò ch’essa ottiene è ancora ignobile.

A. Camus

 

Nota introduttiva

 

Il destino del romanzo, il cui titolo originariamente era “Il ritorno dell’emigrante” e poi cambiato in “Fiori di sierra”, non si è ancora concluso. “Fiori di sierra” è il mio secondo romanzo. Il primo, “Against the grain – Contro corrente”, l’avevo scritto mentre ero in Australia. Non è stato pubblicato e per diverse ragioni: andava rivisto, avevo ripreso a viaggiare, la mia vita in quei tempi era un caos e la scrittura uno sfogo esistenziale.

Ho iniziato a scrivere “Fiori di sierra” subito dopo il mio ritorno in Italia dalla Danimarca. Una parte l’ho scritta mentre studiavo all’Università per Stranieri di Perugia. Scrivevo prima in inglese e poi traducevo in italiano. Questo modo di scrivere mi è costato molto, perché, all’epoca, il mio italiano era pessimo. Non la trama del racconto, questa l’avevo tutta in testa.

Poi, mentre continuavo a girare per l’Europa senza una dimora fissa, sono venuto a trovare un amico italo-australiano, a Biella. Mi sono fermato. La scrittura mi stava a cuore e qui, in questa piccola città, ho scoperto che potevo dedicare il mattino alla scrittura e il pomeriggio all’insegnamento. Quello che volevo. Così, in breve tempo, ho potuto finire “Fiori di sierra”.

Avevo fatto amicizia col filosofo e pittore, il professor Rodolfo Boccalatte. Gliel’avevo fatto leggere. Gli era piaciuto. Verso la metà degli anni Ottanta, l’ho inviato a diverse case editrici italiane. L’hanno tutte rifiutato senza un “perché”.

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Fiori di sierra, romanzo

Sono un autore ignorato dalle case editrici italiane. Sicuramente scrivo pessimi libri. Uno di questi, “Fiori di sierra”,un romanzo, lo metterò, a partire da domani, a puntate su Internet. Ringrazio in anticipo tutti quei coraggiosi lettori che, nonostante l’avviso, intraprenderanno comunque la lettura di “Fiori di sierra”.