Il manifesto di Orazio Guglielmini
Il manifesto di Orazio Guglielmini si deduce facilmente dal suo “Testamento” ed è molto sintetico: fino a quando ci sarà un solo politico o un solo prete sulla faccia della terra, il genere umano non troverà pace.
Il “Testamento” politico-esistenziale, Guglielmini, l’ha sigillato in quattro libri:
“L’Indifferenza divina”
“Lo Stato predatore”
“Ha un senso la vita?”
“Il Paese delle meraviglie”
Il primo libro espone l’operato della religione, il secondo esamina l’impianto statale, il terzo si propone di capire se la vita abbia o meno un senso e nel quarto ed ultimo libro, “Il Paese delle meraviglie”, Guglielmini analizza, dalla nascita ad oggi, il Paese in cui è nato, proprio come uno psicoterapeuta fa col suo paziente.
Il “Testamento” non vuole essere un insegnamento nè una scienza: non ha queste pretese. Piuttosto, vorrebbe essere un’esortazione alla lettura, a come evitare tante trappole mentali che una società, evolutasi nell’egoismo e nell’oscurantismo, ha creato in millenni di storia.
Proverò a sintetizzare, con brani presi da il “Testamento” e altri che si deducono dal pensiero dell’autore, i quattro libri su menzionati, partendo dal primo.
“L’Indifferenza divina” in sintesi
Cosa intende Guglielmini con “Indifferenza divina?” Il seguente passaggio lo spiega.
“Intendo,” fa Guglielmini a Rossi, ne “I’Indifferenza divina”, pag. 35, “quando parlo d’indifferenza divina, intendo indifferenza sistematica e in tutti i sensi. Non sto parlando però dell’indifferenza che gli uomini hanno verso i loro simili o le loro opere. Ad esempio, restare indifferenti dopo aver visto un film, uno spettacolo, letto un libro, essere stato ad una conferenza. No, non sto parlando di questo tipo d’indifferenza, parlo dell’Indifferenza divina e intendo indifferenza netta, fredda, assoluta. L’indifferenza di Dio è totale per ogni cosa che succede a noi e nel mondo. Dio è indifferente di fronte alla morte di bambini, di fronte alle più aberranti crudeltà, di fronte ai crimini più efferati, di fronte ad ogni tipo di assurdità, di fronte all’ingiustizia, di fronte alla barbarie. Di fronte a tutte queste drammatiche vicende e a un milione di altre ancora, Dio tace sempre, è sempre sordo, cieco, INDIFFERENTE. I santi fanno altrettanto. Sono sordi, muti, ciechi, senza cuore, senza anima, privi di sensi, di ragione, indifferenti. Dio non muove mai un dito in nessun affare o vicenda umana e terrestre. Sempre assente, buca sempre, Lui non si fa mai vedere. Non fa nulla di nulla. Uno tsunami ha distrutto un paese, un tornado sta distruggendo una città, un meteorite sta per annientare il pianeta: di fronte a queste calamità Dio, le divinità, i santi tacciono, tacciono sempre. La regola è: nessun aiuto, nessun conforto, nessun gesto, niente di niente. L’Indifferenza divina è totale, globale; è anche violenta, spietata. Ecco come rispondono Dio e i santi quando noi, nei nostri momenti più neri e disperati, li invochiamo, ci indirizziamo a loro: con l’INDIFFERENZA ASSOLUTA.
Come vede Guglielmini la religione “Cristocatto”? (Cristo sta per cristianesimo e catto sta per cattolicesimo e, da qui, Guglielmini coniò la parola “Cristocatto”) Più o meno così. Con il “Dio è morto” di Friedrich Nietzsche, pensa Guglielmini, è crollato un intero apparato storico e culturale durato due millenni; due millenni non solo di “dii”, dèi, santi, miracoli; ma anche e soprattutto due millenni di bugie, di intrighi, di volgarità, di falso indottrinamento, di ignoranza elevata a legge, di inquinamento, di estraneamento; due millenni di ignominie e di crimini di ogni sorta; due millenni di guerre, di sangue, di strage di innocenti, di incomprensioni, di terrore, di medievalismo nero, di morte, di squallore sociale; due millenni di spietata inquisizione sull’anima, sul pensiero, sul volto (uno sguardo non gradito era sufficiente perché uno fosse arrestato e portato lì per lì davanti al grande Inquisitore), sullo spirito, sui sentimenti intimi e personali; due millenni di supplizio psicologico del tribunale più ingiusto e mostruoso mai prima creato dall’uomo; due millenni di involuzione culturale, di stagnazione scientifica, di regresso economico, di indebolimento vitale. Insomma, due millenni di becerismo, di bestialità sociale e di deterioramento storico. È così, grosso modo, che lui vede la religione “Cristocatto”.
Ma poi, nonostante tutto, Guglielmini è sempre in disaccordo con tutto ciò che dice il papa? Per nulla. Ad esempio, in questo brano, che avrebbe potuto essere tratto facilmente dal suo pensiero, è d’accordissimo con lui.
L’attuale papa, Joseph Alois Ratzinger, dice “Abbiate il coraggio di fare delle scelte”. Benissimo, direbbe Guglielmini, facciamo delle scelte, proprio come dice il pontefice. La vita, dopo tutto, è una scelta. Anch’io dico, per ragioni igieniche e mentali, che bisogna fare delle scelte, bisogna trovare il coraggio di essere ciò che realmente si è. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che, se siamo credenti, veramente credenti, allora dovremmo fare onore al nostro credo pregando, andando in chiesa, digiunando quando si deve digiunare, confessandoci: in nuce, rispettando i Comandamenti. Se invece non crediamo, allora dovremmo sbattezzarci. Dobbiamo scegliere, dunque, proprio come dice il papa, e dobbiamo farlo, non domani, non il mese prossimo, ma ora, e questo per amore e rispetto di ciò in cui crediamo e per amore verso tutte le persone che amiamo e rispettiamo. Non abbiamo scelta, dobbiamo deciderci, essere veri a noi stessi. L’abbiamo detto, è questione d’igiene mentale. Siamo sinceri, dunque, sinceri con noi stessi e con gli altri. Vivere con sincerità fa bene al cuore e alla mente. Troviamo allora il coraggio che ci compete. Non viviamo per sempre, tanto meno viviamo nel Medioevo. Oggi i roghi si sono trasformati in frottole. Frottole bell’e buone. Facciamo le nostre scelte allora, scelte ragionate, oculate, filosofiche, ma facciamole. Vivremo meglio, ci sentiremo meglio, daremo un senso alla vita e a noi stessi. Siamo dunque più veri, reali; siamo uomini e umani. Non è mai troppo tardi quando noi stessi iniziamo a costruire la nostra vita. È quella che si stima, che ha un significato, un valore. Crearsi un “io”, un io proprio, è l’essenza di ogni filosofia. Anche se a volte le scelte non sono facili, bisogna comunque farle, trovare la forza di farle. La ragione, la logica, il vivere bene e onestamente con noi stessi e con gli altri, lo richiedono. Allora, “Abbiate il coraggio di fare delle scelte”, cioè: siate cristiani fino in fondo, proprio come consiglia papa Ratzinger; però, se non lo siete, se non credete, allora, perdio, siate uomini, abbiate il coraggio di sbattezzarvi!
“Lo Stato predatore” in sintesi
In passato, la Chiesa e lo Stato si contendevano il potere a colpi di spada: a volte governava lei, a volte governava lui, o insieme. Oggi, invece, si sono ridotti, sia la Chiesa che lo Stato, a fare i cani da guardia del capitalismo: la Chiesa abbindolando il “gregge” con ogni inganno e falsa promessa sull’aldilà; e lo Stato abusando del “popolo” con ogni mezzo coercitivo e psicologico. Proteggono l’impostazione gerarchica e criminale in cui viviamo.
Le cose, politicamente parlando, stanno così: fino a quando il popolo ha bisogno di leaders, allora il popolo resterà il popolo e i leaders resteranno i leaders. Solo quando il popolo diventerà il leader di se stesso, solo allora le cose cambieranno.
E che sia, non chiaro, ma chiarissimo questo ragionamento: il “popolo”, il “popolo lavoratore”, non ha mai avuto bisogno di leaders; sono i leaders, e questo da quando il mondo è mondo, che hanno sempre avuto bisogno del popolo. Come potrebbe il “popolo lavoratore” avere bisogno di leaders, cioè di “parassiti sociali”, bisogno proprio di coloro che più l’umiliano, lo sfruttano e gli rubano la vita?
Allora è tutto chiaro: fino a quando queste istituzioni, la Chiesa e lo Stato più il Capitalismo, esisteranno, il genere umano non troverà pace. E non solo. C’è il pericolo che il Capitalismo, la Chiesa e lo Stato, distruggano ogni cosa che vegeta e respira su questa terra, incluso se stessi.
In quello che segue, Guglielmini abbozza a Rossi cinque nuovi “Contratti Sociali”, cioè cinque soluzioni per risolvere il problema politico e sociale nel mondo.
Il “Nuovo Contratto Sociale”
“Gli Stati laici contemporanei non si propongono di garantire il trionfo definitivo dei valori che difendono, né di guarire l’umanità dalle proprie tare una volta per tutte”, Tzvetan Todorov “Il nuovo disordine mondiale”, p. 69.
Molto bene. Io, Orazio Guglielmini, invece, proporrò, in quello che segue, la soluzione per guarire l’umanità una volta per tutte dalle sue “tare” millenarie.
Perciò, in quest’ultima parte de “Lo Stato predatore”, Rossi, non ti proporrò un’utopia poetica, romantica, irrealizzabile, ingenua, piramidale alla Platone, utopica e dispotica alla Hobbes, neppure una alla Marx, e tanto meno una anarchica, alla Proudhon, ti proporrò invece un dignitoso, ragionevole, umano modo di vivere insieme.
Per me c’è una sola via di salvezza oggi nel mondo: occorre cambiare politica, abitudini, rotta. Le istituzioni che ci governano non si possono più guarire, sono corrotte dalle fondamenta alla sommità. Tutto l’apparato istituzionale è marcio. Non regge più, fa acqua da tutte le parti, è giunta la sua fine. Dobbiamo crearne uno nuovo. Non abbiamo scelta. 2 + 2 questa volta fa 4. Ora, per evitare questo disastro imminente, proporrei, dunque, alcune soluzioni.
Prima soluzione. Dato che io non credo nell’animale homo, non lo ritengo all’altezza di certi compiti, proporrei, per quello che riguarda l’ordine pubblico e giuridico delle nazioni, di rimpiazzare i mezzi-uomini (i politici) e gli uomini di legge con dei computer. Preferisco essere governato e giudicato da loro. Gli animali homo, nella loro essenza, sono, appunto, degli animali. Ci vogliono anni e anni di educazione per trasformare un homo in un essere civile; d’altra parte, ci vuole solo qualche secondo per trasformare un homo in una bestia, e io non ho fiducia in creature che si possono trasformare in animali da un momento all’altro.
Mettiamola così. Si prenderanno un lavoratore, uno scienziato, un artigiano, un uomo di legge, uno psicologo e un filosofo, tre donne e tre uomini, di ogni paese della Terra e li si metterà insieme. Nel giro di un anno e non più, dovranno escogitare un piano politico e giuridico globale. In questo piano si dovrà pensare a tutto, dalle cose più insignificanti, come cuocere la pasta al dente, a quelle più complesse, come, ad esempio, ci si dovrebbe comportare se un meteorite stesse per colpire la Terra.
Questo “Contratto Sociale”, che è il Contratto di tutti i cittadini del mondo, dovrà essere umano, saggio, giusto e per tutti, inclusi gli animali, il mondo vegetale e il mondo fisico. Anche la materia dovrà essere trattata con rispetto e perizia. Questo piano, una volta definito, avrà una durata di cinque anni e verrà programmato nei “Computer” che, per il tempo stabilito, saranno loro a governare gli animali homo. Questi si limiteranno ad applicare le leggi che sono state sancite nei computer.
Solo allo scadere dei cinque anni si potranno ritoccare, se fosse necessario, tutte le leggi che non hanno funzionato bene durante il periodo della loro applicazione. Il “Contratto Sociale” a livello globale, così chiamato, va perfezionato di volta in volta, non rifatto. Le corti giudiziarie attuali e i mezzi-uomini degli Stati predatori, verranno sostituiti con dei computer.
L’uomo è una creatura di parte, debole, soggettiva. In ogni situazione e in ogni luogo della Terra favorirà sempre i suoi familiari, parenti prossimi, amici, compagni di partito. Il suo Dna parla chiaro, così anche la kin selection (la selezione dei parenti) di W. D. Hamilton. In altre parole, i consanguinei vengono prima di tutti gli altri. Queste debolezze l’uomo se le porta dietro in ogni cosa che fa e che dice. Solo una perizia meccanico-logica può mettere fine ai suoi pregiudizi e favoritismi.
Ci sarà una postilla nel “Nuovo Contratto Globale”: coloro che l’avranno ideato non potranno usufruire delle leggi che essi stessi hanno forgiato, saranno messi in pensione, con il loro consenso, of course. In questo modo si eliminerà la tentazione di fare leggi in loro favore.
Seconda soluzione. Nel caso questo modo di governare gli animali homo fosse troppo drastico, proporrei la seguente option: sostituire “i 4 io del disastro” ora dominanti sul pianeta Terra con“4 Io della salvezza”.
I 4 “io” del disastro sono: il primo: la religione. La religione, nel suo insieme, rappresenta un “io”. Che cos’è l’ “io” religioso? Menzogna, impostura, volgarità. Il secondo: i mezzi-uomini (i politici). I mezzi-uomini, nel loro insieme, rappresentano un “io”. Cosa rappresenta questo io? Il crimine istituzionalizzato, l’ingiustizia legalizzata, il dispotismo gerarchico come visione del mondo. Il terzo: il capitalismo. Il capitalismo, nel suo insieme, rappresenta un “io”. Che cos’è l’ “io” capitalista? È sfruttamento, è depauperamento, è inumanità. Il quarto: i monarchi. I monarchi, nel loro insieme, rappresentano un “io”. Che cos’è l’ “io” dei monarchi? È il protocrimine su cui si sono fondate le tre istituzioni summenzionate.
A questi 4 “io”, Rossi, bisogna aggiungerne altri 3: i mass media, gli intellettuali bigotti e gli artisti eunuchi. Che cos’è l’ “io” dei mass media? È un “io” venduto ai 4 “io” dei predatori al potere. Che cos’è l’ “io” degli intellettuali bigotti? È l’ “io” degli scribi, dei bacchettoni, dei maggiordomi al servizio del potere. Che cos’è l’ “io” degli artisti eunuchi? È l’ “io” che esalta le stoltezze di quelli che governano, non con saggezza e umanità, ma con il loro tornaconto.
Questi 3 ultimi “io” strisciano come vermi di fronte ai loro padroni. Non vogliono dispiacere a nessuno, tanto meno fare brutta figura. Usano sempre parole untuose e apologetiche, ma, sotto sotto, sono cinici e sdegnosi, fregano e disprezzano tutti, credendosi chissà chi. Invero, non sono niente. Sono solo 3 obbrobriosi “io” che foraggiano con le loro idee ipocrite e stolte gli altri “io” del male.
Ecco, invece, i “4 io della salvezza”. Questi sostituiscono i “4 io del disastro”. Iniziamo col primo: il lavoratore. Chi è il lavoratore? È il sale della terra, è il protagonista numero uno della razzahomo in positivo, è colui che, col suo sudore, sostiene la società. Secondo: l’amministratore. Chi è l’amministratore? L’amministratore, per come io l’intendo, Rossi, è un tecnico che prende il posto dei politici e amministra il sudore del Popolo nel migliore dei modi possibili. Questo “signore amministratore”, se non svolge correttamente il suo compito, può essere licenziato tanto facilmente quanto un qualsiasi altro lavoratore. Terzo: lo scienziato. Chi è lo scienziato? Lo scienziato è colui che spiega il mondo per com’è e non per come si vuole che sia. Studia i fenomeni naturali e sociali per il bene del Popolo (il Popolo, quando svolge la sua legittima funzione di Popolo, va scritto con la P maiuscola). Quarto: l’artista. Chi è l’artista nella nuova società? È colui che crea e rinnova di continuo lo spirito umano. La sua è un’arte fenomenica, esistenziale, immanente.
A questi “4 io della salvezza” bisogna aggiungerne altri 2: l’ “io” filosofico e l’ “io” dei portavoce del Popolo. Qual è il compito del filosofo? È quello di cercare di dare un senso al mondo anche se un senso il mondo non ce l’ha. E non solo al mondo. Deve cercare di dare anche un significato alla vita. La sua metafisica nasce dalla fisica. Il sesto “io”: i nuovi portavoce del Popolo. Questi non assomigliano neppure lontanamente ai mass media attuali, gente venduta ai predatori al potere; i nuovi portavoce del Popolo sono al servizio del Popolo e lo rappresentano in tutto e per tutto.
Terza soluzione. Nel caso le due suddette sistemazioni, quella dei “Computer” e quella dei “4 Nuovi Io della salvezza”, non fossero accettabili, abbozzo una terza proposta. Proporrei, allora, questo mio tipo di “Contratto Sociale”.
Si prendano in ogni paese del mondo, dal più grande al più piccolo, due persone, un filosofo e uno scienziato, che non abbiano subito un’influenza ideologica, (devono essere un uomo e una donna, poco importa se lo scienziato sia la donna e il filosofo l’uomo o viceversa, quello che importa è che siano, appunto, di ambedue i sessi), li si riunisce, come per i computer, e li si fa lavorare su un nuovo “Contratto Sociale”. Il contratto sociale in vigore oggi è un contratto fatto dai lupi a due zampe per servire altri lupi a due zampe. In altre parole, è un contratto sociale per agnelli e lupi: nulla di più barbaro e indegno. Noi vogliamo, Rossi, eliminare questo abominio e creare un nuovo “Contratto Sociale” e vogliamo che sia creato, come abbiamo appena detto, da un filosofo e da uno scienziato, presi da ogni paese della Terra.
Perché, potresti chiedermi, perché prendere uno scienziato e un filosofo? La risposta è semplice. Per spiegare il mondo ci vuole la scienza; per interpretare il mondo ci vuole la filosofia. La filosofia e la scienza, come le intendiamo noi, sono il connubio perfetto per far sì che questi signori, esperti di queste due discipline di pensiero, possano elaborare, nel migliore dei modi possibili, un“Contratto Sociale Planetario”. Quando avranno finito di escogitare il nuovo “Contratto Sociale Planetario”, ritorneranno nei loro paesi e non potranno mai più fare, vita natural durante, né i filosofi né gli scienziati. Questo è il prezzo da pagare e loro ne saranno al corrente.
Perché, potresti chiedere ancora, non potranno esercitare le loro professioni una volta finito il “Nuovo Contratto Sociale?” Per evitare che includano leggi e postille che vadano a favore degli scienziati e dei filosofi.
Ovviamente, il nuovo “Contratto Sociale” non sarà uguale per tutti. È sciocco pensare una cosa del genere; è anche sciocco pensare che nel “Nuovo Contratto Sociale” ci sia spazio per i predatori a due zampe. Diciamo che gli stipendi, tanto per prendere una delle cose meno importanti del “Nuovo Contratto Sociale”, potrebbero variare un po’ ma non troppo. Chi sarà colui che riscuoterà la paga più alta? Sarà colui che farà il lavoro, manualmente parlando, più duro, naturalmente! Perché uno che non si sporca neppure le mani dovrebbe guadagnare più di colui che fa un lavoro duro e poco piacevole? Un’altra cosa di poca importanza sarà la pensione. Ebbene, su quest’argomento è presto detto: tutti avranno, una volta raggiunta l’età di…, la stessa pensione né un centesimo in più né un centesimo in meno.
Nel “Nuovo Contratto Sociale” ci sarà un totale ribaltamento dei valori: si passerà dai “valori falsi” (quelli dei predatori attuali) ai “valori umani, giusti e veri”, quelli del “Nuovo Contratto Sociale”. Ecco, dunque, su che tipo di società dovranno lavorare i nostri scienziati e filosofi.
Una volta che il “Nuovo Contratto” sarà escogitato e applicato, una volta che tutti ne conosceranno le leggi, chiunque le violi dovrà essere processato e giudicato a seconda del crimine commesso. Sconterà la pena lavorando per la comunità.
Quarta soluzione. Nel caso le tre proposte, quella dei “Computer”, quella dei “4 Vuovi Io della salvezza” e quella del “Nuovo Contratto Sociale”, non soddisfacessero ancora, eccone una quarta: dalla “democrazia lupesca” alla “Democrazia Umana”.
Ti sei mai chiesto, Rossi, come si è arrivati alla così chiamata “democrazia”?
“No!”
È quello che pensavo. La cosa è andata più o meno così. Un giorno, i lupi a due zampe (gli animali homo al potere), stanchi di squartare agnelli (il popolo lavoratore), in un momento di particolare sentimentalità, credendo di fare opera buona, hanno deciso di creare un “contratto democratico” tra loro e gli agnelli. Ecco, grosso modo, com’è stato stipulato questo contratto. I lupi dissero agli agnelli:
“Orbene, noi lupi a due zampe, essendo creature giuste e generose, vi daremo l’opportunità, a voi agnelli, di riscattarvi dalla vostra condizione sociale. Vi proponiamo, dunque, un “contratto democratico”. Cosa vuol dire ciò? Vuol dire che noi continueremo a possedere tutto, tutto quello che abbiamo conquistato lungo la storia (noi diremmo, Rossi, arraffato con la spada e con l’imbroglio) e che ora ci appartiene: ad esempio, i campi, i pascoli, gli ovili, i pastori, i cani da guardia, quindi le leggi e le istituzioni. Tutto questo e molto altro rimarrà comunque di nostra proprietà. Voi, in questo contratto sociale, partirete da zero, partirete dalla vostra attuale posizione: non possederete nulla, solo i vostri arti, il vostro corpo. Non avrete neppure un diritto reale, unicamente sulla parola, dipenderete totalmente dai nostri campi, pascoli, ovili e sarete controllati, come in passato, dai nostri pastori e dai nostri cani da guardia. Ci saranno, naturalmente, delle elezioni. La“democrazia” le esige. Potrete, di volta in volta, decidere chi di noi, ma solo di NOI, lupi a due zampe, andrà al potere. Detto diversamente, potete scegliervi il lupo che desiderate vi mangi. Ecco la vostra scelta democratica. È pur sempre una scelta, che noi chiamiamo, appunto, “scelta democratica”. Chi di voi vorrà emanciparsi dalla sua condizione “agnellesca”, potrà farlo rispettando le nuove leggi democratiche che noi, i lupi a due zampe, abbiamo ideato per voi, agnelli. Prendere o lasciare”.
Gli agnelli, per quanto questo “tipo di democrazia” non apparisse loro molto democratico, l’accettarono. Dovettero accettarlo. Pensarono che, qualcuno, ogni tanto, ce l’avrebbe fatta, non a riscattare gli altri agnelli, ma a trasformarsi da agnello in lupo a due zampe.
Ecco, Rossi, com’è nata la democrazia in cui viviamo oggi. È questo il “contratto sociale” che i lupi a due zampe chiamano democrazia. Ne sono addirittura orgogliosi!
Noi invece proponiamo un altro tipo di democrazia e la chiameremo “L’ “Unica Democrazia”. Questa, che noi consideriamo veramente tale, cioè una vera democrazia, è la seguente: partiamo, globalmente, azzerando tutte le proprietà private, tutti i titoli, tutte le posizioni sociali, tutti i privilegi. Insomma, partiamo tutti da zero. Come gli atleti in un’arena si scontrano con armi pari, così noi.
Perciò, per prima cosa si divideranno in parti uguali tutte le ricchezze del mondo tra tutti i “Popoli della Terra”. Poi, almeno per tre generazioni, i poveri, quelli che non hanno mai avuto un’educazione, dovranno educarsi, portarsi allo stesso livello di tutti gli altri. Solo quando tutti avranno un ottimo livello di istruzione tecnica, professionale, lavorativa, culturale, solo allora si partirà con la “Democrazia Planetaria”, cioè si eleggerà un presidente che dovrà governare il mondo DEMOCRATICAMENTE. Ecco la nostra quarta option.
Quinta soluzione. Nel caso queste quattro proposte di rinnovo sociale, quella dei “Computer”, quella dei “4 Nuovi Io della salvezza”, quella del “Nuovo Contratto Sociale” e quella della“Unica Democrazia”, non soddisfacessero, eccone un’altra.
Se non si può proprio fare a meno dei politici, allora il mezzo-uomo attuale (il politico) dovrà essere sostituito da un “Uomo-Intero”. Cosa s’intende con questo? S’intende che chiunque voglia fare politica, dovrà assumersi la responsabilità del suo compito. Questo significa che se il politico sbaglia, paga.
Anche la sua famiglia sarà chiamata in causa. Alla sua famiglia, prima che lui si arruoli nell’arena politica, verrà chiesto se ritiene il proprio familiare all’altezza di un tale compito e se è disposta a sostenerlo e ad assumersi la responsabilità del suo “fare politica”. Se non crede che sia idoneo ad una tale impresa, dovrà firmare un documento in cui sottoscrive di non volere avere nulla a che fare con lui. Se non lo fa, sarà tanto responsabile quanto il would be politico lo sarà nel suo “fare politica”. Perché, a nostro modo di vedere, lui, il nuovo would be politico, sarà lì non per arraffare e imbrogliare il Popolo, ma per servirlo in tutto e per tutto, sacrificando, se necessario, la sua vita. Non assomiglierà neppure lontanamente al politico attuale.
Il nuovo would be politico dovrà dimostrare di essere un virtuoso della politica. Come all’artista, per comporre versi, musica, scrivere libri, scolpire statue, dipingere serve un dono, e gli artisti che ce l’hanno sono pronti a tutto pur di fare ciò che desiderano fare, così il nuovo would be politico. La sua dev’essere una predisposizione innata, appunto, un “dono”, non esattamente come quello dell’artista, ma da saggio e virtuoso leader. Il suo motto dovrà essere: “Chiunque vuol servire il Popolo dev’essere pronto anche a sacrificarsi per il Popolo”.
Il nuovo would be politico non possiederà nulla, tranne ciò che il Popolo riterrà necessario per lui. La politica dovrà diventare un virtuosismo e dovrà essere fatta da uomini che vogliono dedicarvisi totalmente. Come le madri degne di questo nome si dedicano ai loro figli, così i nuovi would be politici si dovranno dedicare al benessere degli Uomini. Ecco, Rossi, il nostro nuovo politico: un “Uomo-Intero!”
Potrei continuare a proporti altri modelli sociali, sempre e comunque un milione di volte migliori di quello attuale, ma ritengo sufficiente quanto ho proposto, sufficiente a dare una “Sana Svolta Sociale” al mondo barbaro in cui viviamo.
Vedi, Rossi… Insomma, come posso spiegartelo? Te lo spiegherò così: in un sistema sociale sano, ci vogliono, minuto più minuto meno, due ore al giorno per governare bene il mondo intero e un quarto d’ora per governare bene un paese come l’Italia. Non scherzo, Rossi. A un “Uomo-Intero”, non a un mezzo-uomo, ma ad un “Uomo-Intero”, il cui cervello è al suo posto, non tra le gambe, ma nella scatola cranica, cioè al posto giusto, ci vuole poco tempo per governare bene, non un paese, ma l’intero Pianeta. La ragione per cui ai mezzi-uomini attuali ci vuole così tanto tempo sta nel fatto che le istituzioni che essi hanno creato sono fondate sull’imbroglio, sulle bugie, sui soprusi, sui crimini. Se il mondo fosse governato con “onestà” e “giudizio”, allora basterebbe pochissimo tempo per governarlo.
Infatti, sarebbe un giochetto da bambini se lo si governasse equamente. Tanto per cominciare, una volta studiati tutti i continenti, i paesi e le regioni del “villaggio globale”, come lo chiama Herbert Marshall Mcluhan, insieme alle loro popolazioni, basterebbero dei buoni computer a risolvere la maggior parte dei problemi. I computer sono capaci di calcolare in un batter d’occhio i bisogni principali della popolazione di un paese. E non solo. Possono calcolare anche i bisogni imprevisti, derivanti da catastrofi naturali o causati dagli Uomini, e disporre immediatamente aiuti economici e competenze umane oltre che avvertire in tempo reale le popolazioni a rischio in caso di disastri naturali. Il resto sarebbe molto facile, appunto, un giochetto da bambini. Detto diversamente, quando l’interesse di ognuno è l’interesse di tutti e l’interesse di tutti è l’interesse di ognuno, le cose diventano di una facilità strabiliante.
Nuova società, nuovi insegnamenti
Un abbozzo educativo. Questo deve fornire un’istruzione sistematica a tutti, sia della storia degli “Umani” che dell’evoluzione. Invece, per quello che riguarda il progetto formativo, questo verrà applicato secondo i mestieri e le professioni scelte e si potrà seguire solo dopo aver superato il primo.
Il nuovo insegnamento non avrà nulla a che fare con il vecchio, escogitato per far sì che i lupi-predatori rimangano lupi-predatori e il popolo-coglione rimanga popolo-coglione. Il nostro progetto istruttivo deve essere un progetto “Umano, Tutto Umano”.
Si partirà, sin dalle elementari, con i numeri e con la nascita del nostro Universo, con il Big Bang. Poi si studierà la sua espansione e l’evoluzione degli elementi, l’evoluzione della chimica, quindi la formazione delle stelle e delle galassie. Particolare attenzione sarà data alla formazione della nostra galassia, la Via Lattea, e della nostra stella, il Sole, e dei suoi pianeti. Si studieranno i buchi neri ecc. Si studierà in particolare modo la formazione della Terra; si studieranno i primi batteri, i primi microorganismi unicellulari e pluricellulari, l’evoluzione biologica, l’evoluzione delle specie e, in particolare modo, il processo di ominizzazione. L’antropologia e lo studio del cervello saranno molto importanti. Si studierà il decadimento della materia, l’apparire e lo scomparire delle specie e delle cose, la morte. Si studieranno le leggi fondamentali della fisica, della chimica, della biologia, le diverse ere evolutive, le estinzioni di massa e anche le leggi inconoscibili (di queste si parlerà più adeguatamente nel prossimo libro: Ha un senso la vita?). Si studieranno la psicologia, la matematica, la storia, l’arte, la filosofia.
A questo punto, mio caro Rossi, a tutti coloro che hanno terminato il corso educativo, quindici miliardi di anni indietro nel tempo saranno diventati luce, perché l’Universo intero sarà diventato luminoso e trasparente per loro.
Per quello che riguarda il destino finale dell’Universo, anche questo, una volta studiato, si potrà immaginare, supporre: basta conoscere la nascita e la morte di un microrganismo come l’Uomo, una pianta, un insetto, per poi conoscere anche quella di un macrorganismo come l’Universo. La forza sta nella conoscenza. Conoscere, quindi, la nascita e la morte dell’Universo, è conoscere tutto. Con una tale formazione, chiunque potrà sentirsi immortale, virtualmente immortale.
“Ha un senso la vita?” in sintesi
Quanti dei nostri antenati, lungo i secoli, si sono posti questa domanda? Sicuramente non molti. Fino a poco tempo fa la vita la si viveva, bene o male, la si viveva e basta. Oggi le cose e le vedute sono cambiate. I valori di un tempo – la credenza in qualche bogududù, negli dèi, nel destino, nella patria, nei re, nei governanti, nella famiglia, nelle ideologie – non sono più pilastri di certezze, basi su cui piazzare le nostre vite. Non hanno più quel senso dogmatico e persuasivo di una volta, quel senso a cui molti credevano.
Come possiamo, comunque, oggi, rispondere a questa domanda infernale: ha un senso la vita? Infernale perché, per dare un senso, un qualche attributo che giustifichi la nostra presenza su questa terra, ci siamo già inventati un’infinità di mondi e di dèi, però nessuna di queste invenzioni è mai riuscita a soddisfare pienamente i nostri dubbi e le nostre esigenze di conoscenza e certezza. E non solo. Ci siamo anche scannati a vicenda, e continuiamo a farlo, per rispondere a questa domanda infernale.
Il senso e il nonsenso hanno una storia lunga, una storia che viene da lontano, da molto lontano, ed è di questa storia e di questa lontananza di cui ora vorrei parlare.
Per cominciare partiamo, non tanto da lontano, ma piuttosto da vicino, partiamo col mio gatto, Minù, poi con un amico australiano, poi vorrei dire qualcosa di me. In seguito faremo una breve escursione sull’evoluzione del pensiero e, infine, vedremo se la vita ha o non ha un senso.
Vogliamo iniziare, Rossi, con Minù, il mio gatto?
Minù
Un giorno gli ho chiesto, mentre ci guardavamo: per te, Minù, la vita ha un senso?
Miao, mi ha risposto.
Cosa vuol dire Miao?, gli ho chiesto.
Mi ha guardato di nuovo e di nuovo ha fatto, Miao.
Sai solo fare Miao?, ho chiesto ancora. E lui prontamente ha confermato, facendomi di nuovo un altro Miao.
A questo punto non mi è parso più il caso di disturbare ulteriormente Minù con altre domande.
Cosa vuol dire questa storiella? Vuol dire che per gli animali animali, e Minù più o meno li rappresenta tutti, il senso della vita rimane fuori dalla loro portata. In altre parole, le bestie, anche se fra noi e loro non c’è differenza di natura, la domanda se la vita ha o non ha un senso, non se la pongono.
L’amico australiano
Se chiedessi ora, non ad un altro animale animale, ma ad un animale umano, e più precisamente ad un amico australiano, se la vita abbia o non abbia un senso, 90 su cento mi risponderebbe che per alcuni ha un senso e per altri no, e da questa posizione, da questo modo d’intendere le cose, difficilmente si sposterebbe. Allora non mi resterebbe, a questo punto, che chiedermi chi sono coloro per cui la vita ha un senso e chi sono coloro per cui la vita non ha un senso. Nei primi troverei gli ottimisti, nei secondi i pessimisti. A questo punto dovrei farmi un’altra domanda: questi signori, gli ottimisti e i pessimisti, a quale categoria di pensatori appartengono? La risposta questa volta è facile: a quelli che interpretano le cose e il mondo partendo dalla loro soggettività, dal loro modo personale, psicologico di capire le cose. A me, però, questo non basta, perché, oltre ai pessimisti e agli ottimisti, ci sono anche i realisti e noi, mio caro Rossi, ci affianchiamo a questi ultimi. In altre parole, diremmo con Spinoza: non ridere, non piangere, ma comprendi.
Un aneddoto
Era una sera d’inverno. Avevo sì e no sei anni. Fuori faceva freddo, si sentivano raffiche di vento e pioggia mista a grandine sul tetto. Io e lo zio Carlo eravamo seduti al caldo e in silenzio vicino al focolare. Poi, ad un certo punto, a bruciapelo, lo zio mi assalì dicendo:
“Lo sai, eh, lo sai che tu sei più ricco di me?”
“Non è vero, zio,” ho risposto io pronto, come se me la fossi aspettata da sempre questa domanda. “Non è per nulla così, sei tu il più ricco,” ed era vero.
“Non intendo ricchezza materiale, soldi case terreni animali”, ha risposto lui tetro, energico e quasi con disgusto, “intendo ricchezza in età, in giovinezza, vita. Tu sei un ragazzino, io quasi un vecchio; tu hai molti anni davanti a te, io pochi, capisci?”
“No,” ho risposto.
“Peggio per te!” ha fatto lui.
“La zia” (sua moglie), ho detto io, allora, “dice che dopo la morte andremo tutti in paradiso e lì vivremo per sempre.”
“Quindi capisci!,” ha quasi urlato lui con stizza. “E comunque non parlarmi delle sciocchezze che dice tua zia!”
“Sciocchezze?”, ho fatto io incredulo. Non l’avevo mai prima sentito parlare in quel modo della zia.
“Sì, sciocchezze!”, confermò.
“Spiegami!”, gli ho chiesto.
“Non so spiegartelo.”
“Continuo a non capire.”
“Un giorno capirai. E ora stai zitto,” ha troncato, mettendosi, nervoso e nauseato, ad attizzare il fuoco.
L’ho guardato, ho chinato la testa, e non ho detto più nulla.
Lui neppure.
Nonostante la mia giovane età, il dialogo con lo zio Carlo mi scosse molto, suscitando in me domande che fino ad allora ignoravo: domande sulla vita, sulla morte, sull’esistenza di Dio. Volevo risposte a questa mia improvvisa inquietudine interiore, ma non ne trovavo. Neppure lui, lo zio Carlo, quand’era più avvicinabile e meno scontroso, era in grado di rispondere alle mie insistenti e sentite domande, e intuivo, fortemente intuivo, che avrebbe tanto voluto sapermi rispondere.
Questo episodio con lo zio, ed è il caso di dirlo, è stato per me un genere di hapax: un qualcosa che ci rivoluziona la vita e, da quel momento in avanti, cambiamo, non siamo più noi stessi, non più quelli che eravamo fino a qualche momento prima.
La mia credenza
E adesso, dopo Minù, il gatto, l’amico australiano, l’ aneddoto, vorrei dire qualcosa della mia credenza.
Dopo quella serata tempestosa trascorsa con lo zio Carlo vicino al camino, sono trascorsi molti anni e io, durante questo tempo, ho avuto modo di riflettere sulla vita aiutato da tanti strumenti di pensiero, come lo studio della storia, della letteratura, della filosofia, delle lingue, la lettura di libri, tanti libri e delle mie stesse esperienze che di giorno in giorno andavo facendo. Non sono state comunque queste discipline della mente a consolidare le mie idee. La scienza molle, umanistica, soggettiva dello spirito non mi aiutava molto nella mia ricerca. Era questa la mia impressione. È stato quando sono approdato alla letteratura scientifica – la fisica, la cosmologia, la biologia – che ho scoperto, e non senza stupore, come stavano più o meno le cose. Le leggi della fisica escludono categoricamente un qual si voglia creatore. La materia e le sue proprietà, che sono alla base dell’edificio cosmico e umano, respingono sistematicamente qualsiasi forma di creazionismo. I collages fisici, i collages chimici, le mutazioni, i cambiamenti, l’adattamento, la plasticità del cervello e il caso, non ammettono creatori.
È vero anche che l’origine del materiale con cui è stato costruito l’edificio umano non lo conosciamo e, fino a quando non lo conosceremo, dobbiamo accontentarci di ciò che ha detto a riguardo lo scienziato francese, Antoine Lavoisier, nel Settecento: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Questo pensiero, per quanto zoppicante, mi aveva ugualmente messo sotto i piedi qualche pietruzza su cui camminare. Era già qualcosa.
Riguardo al pensiero mitologico, creazionistico, Bertrand Russell, un filosofo inglese del secolo scorso, si esprime così nel libro “Perché non sono cristiano”: “Mio padre m’insegnò che la domanda: ‘Chi mi creò’? non può avere risposta, perché suggerisce immediatamente un nuovo interrogativo: ‘Chi creò Dio?’ Compresi allora quanto fosse errato l’argomento della Causa Prima. Se tutto deve avere una causa, anche Dio deve averla. Se niente può esistere senza una causa, allora perché il mondo sì e Dio no? Questo principio della Causa Prima non è migliore dell’analoga teoria indù, che afferma come il mondo poggi sopra un elefante, e l’elefante sopra una tartaruga. Alla domanda: ‘E la tartaruga dove poggia?’ l’indù rispose: ‘Vogliamo cambiare discorso?’ ”
E così, ho iniziato a capire, pian piano, su quali basi giaceva la mia credenza, la mia fede, il mio modo di vedere e di intendere le cose e la vita; ho iniziato a capire anche la differenza che c’era fra la mitologia e la scienza. Anche questo è stato un passettino in avanti verso la formazione della mia credenza.
Intuivo che non era facile la risposta alla spinosa domanda se la vita ha o non ha un senso. Dovevo prima sgombrare tanto terreno e non era sempre così facile. Il mio prossimo passo, nella ricerca del senso della vita, è stato il “conosci te stesso” di Socrate.
Perché si crede?
Ho incominciato a chiedermi, perché credevo in questo e in quello, perché si credeva in un creatore, in un dio, nel nirvana, in Brama, insomma perché si credeva in qualche accidente salvifico? E, dopo aver passato al setaccio su quali basi si basava la mia credenza, quella della mia famiglia e della gente che conoscevo, ho capito che la credenza era una cosa umana, umana e basta, e io ero un essere umano e nessuno è più che un essere umano: perciò anche la risposta alla domanda se la vita ha o non ha un senso non poteva essere che una risposta umana e non divina.
Questa nuova riflessione sulla vita mi ha fatto capire che la credenza riposa, principalmente, su tre ragioni. La prima e la più importante è che si crede a causa dell’ignoranza, la seconda per paura della morte, e la terza per motivi di opportunismo, cioè si pretende di credere per interesse, per poter manipolare altri esseri umani, approfittare di loro. Tre fenomeni, questi, poco consolatori, ma che sono fondamentalmente umani e confermano che tutte le nostre invenzioni sugli “aldilà”, sugli “dèi” e su un ipotetico “dio”, sono nate nel nostro cervello e moriranno con la morte del nostro cervello.
Qui e ora
Il senso, prima dell’addomesticamento degli animali, circa dieci mila anni avanti la nostra era, non esisteva, sicuramente non come lo conosciamo noi oggi. Dall’addomesticamento degli animali in poi e fino a Copernico, il senso che gli uomini si erano fatti della storia, era un senso primitivo, un senso gravido di prepotenza, ignoranza, bacchettoneria, interessi, metafisicherie, superstizioni, superficialità, falso patriottismo, oscurantismo e via di seguito. Questo è stato un tempo dominato dalla mitologia, da un pensiero dominato da deliri divini e da imperativi dispotici: fai quello che ti dico o ti ammazzo!
Da Copernico in poi, e fino ai nostri giorni, si è venuto a creare un senso più reale delle cose e dell’esistenza, un senso laico, ateo, agnostico, fisico. L’Illuminismo, la Rivoluzione francese, Napoleone, l’evoluzione darwiniana, il marxismo, la Rivoluzione russa, cinese, cubana, la prima e la seconda guerra mondiale, il Sessantotto, la quantistica, la teoria del big bang, Chernobyl, l’11 settembre, Fukushima; insomma, tutti questi eventi e tanti altri ancora, non ci lasciano più dubbi: viviamo, non nel più bello dei mondi possibili, come vuole farci intendere Leibniz, ma in un mondo folle, caotico, e siamo governati, non da esseri sapiens sapiens sapiens, ma da mammiferi che non fanno altro che esaltare, con qualche eccezione, il loro egoismo, la parte più brutta, negativa e bestiale della loro natura.
Oggi, quindi, diversamente dal passato, abbiamo capito molto bene come stanno le cose, abbiamo capito che il destino del nostro pianeta e dell’umanità si potrebbe risolvere nel giro di qualche istante, basterebbe un meteorite che ci arriva in testa dal cielo, o il rovesciamento dei poli, o ancora l’eruzione d’una caldera, d’un enorme vulcano come il Toba in Indonesia, settantacinque mila anni fa, che ha lasciato solo alcune migliaia di persone sull’intero pianeta o una guerra nucleare a livello planetario, eccetera, eccetera. Basterebbe uno solo di questi fenomeni per cancellare una volta per sempre tutto ciò che vegeta e respira sulla terra. Questo è lo scenario, la realtà del mondo in cui viviamo. Il fisico e Nobel americano, Steven Weinberg, scrive: “Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza senso.
Ci piaccia o no, realisticamente parlando, siamo come uno zolfanello acceso nel mezzo di una tempesta. Non c’è scienza, filosofia, sistema di pensiero che sia all’altezza di dare un senso a questo “zolfanello” così esposto. Nessuno, fino ad oggi, è riuscito a costruire qualcosa di coerente nel mondo fenomenico in cui viviamo. E perché? Perché il mondo è un caos, un caos di forze brutali, grottesche, senza capo e senza fondo. Siamo, in ogni istante della nostra vita, alla mercè di leggi imprevedibili e pazze. In questo pandemonio, la vita è, appunto, come uno zolfanello acceso nel mezzo di una tempesta. Nessuno può dire se domani luccicherà ancora. La realtà non l’assicura, il mondo in cui viviamo non lo garantisce. Infatti non è all’altezza di garantire nulla. Siamo esposti dentro fuori e dappertutto. Noi stessi siamo un pericolo a noi stessi. L’uomo è il nemico dell’uomo. In questo mondo di lucciole e fantasmi, la vita, la morte e il nonsenso sono ovunque e sono la stessa e medesima cosa.
A questo punto, visto che siamo rimasti orfani di padri divini, visto che l’homo sapiens sapiens sapiens non è poi così sapiens, visto che siamo solo degli zolfanelli accesi nel mezzo di una tempesta, e visto che il mondo è senza senso, a questo punto, allora, vale ancora la pena chiederci se la vita ha o non ha un senso? Altrochè, vale la pena, eccome! E la nostra risposta è: Sì, la vita ha un senso, un grande senso, un immenso senso, non solo per tutte le battaglie che dobbiamo combattere e per tutti i pericoli che dobbiamo evitare per tenerla in piedi. Ma anche perché la vita è qualcosa di stupendo, di meraviglioso, di sublime, un vero e proprio capolavoro della natura. La vita ha un grande senso, il senso più rilevante e più bello che si possa immaginare; però, e questo è capitale, Rossi, solo il senso che gli diamo noi: “qui e ora.”
“Il Paese delle meraviglie” in sintesi
Leonardo da Vinci ha insegnato che non si può amare una cosa fin quando non la si conosce. “Nessuna cosa, dice lui, si può amare né odiare, se prima non si ha cognizione di essa … Il grande amore nasce da una grande conoscenza dell’oggetto amato, e se uno lo conosce poco, solo poco lo potrà amare, o per niente.”
E questo vale anche per il proprio “Paese”, sostiene Guglielmini. Un francese non può amare e rispettare il suo Paese se non conosce la sua storia; un inglese non può amare e rispettare il suo Paese se non conosce la sua storia; un italiano non può amare e rispettare il suo Paese se non conosce la sua storia. Sarebbe troppo facile. Gli animali non umani, prima di adottare un luogo, un habitat,l’esplorano, lo conoscono, scoprono se ci sono altri concorrenti in giro, creature da temere ecc., e solo poi decidono se fermarsi o no. Se si fermano, sono pronti, se necessario, a combattere per difenderlo a oltranza. E noi, noi animali umani, come possiamo, se non conosciamo la storia del nostro “Paese”, come possiamo sentirci i suoi degni e stimati cittadini?
Ne “Il Paese delle meraviglie”, Orazio Guglielmini si propone proprio questo obiettivo: conoscere la storia, l’anima e il cuore del suo Paese.
Guglielmini, dall’omologo libro, s’indirizza a Rossi in questo modo:
“Te lo sei mai chiesto”, Rossi, “chi siamo? No? Peggio per te, avresti dovuto. Comunque, te lo dico io. Iniziamo così: sappi che tutto ciò che è storico, ti appartiene. Tu sei ciò che sei grazie agli eventi storici nazionali e individuali che ti hanno reso ciò che sei. I fatti storici del tuo paese, brutti o belli, sono il tuo Dna culturale. Il Dna culturale non si cambia e neanche i fatti storici. Certo, se li conosciamo e li riconosciamo per come sono e non per come si vuole che siano, allora, forse, possiamo fare qualcosa: difenderci, migliorarci.
“Non serve a nulla negare la propria identità storica. È un segno di debolezza, un complesso di inferiorità, di nevrosi. Negare il passato storico del proprio paese è come negare il passato della propria vita. Questo, per il bene e per il male, è il nostro nerbo, specchio, identità. Se uno nega la propria storia, se uno ne racconta solo gli episodi positivi e rimuove quelli negativi, oltre a dare segno d’infantilità, finisce anche dall’analista,” pag. 81
“E così, mentre i tedeschi hanno Kohlhaas, un affamato di giustizia, un rivoluzionario; i francesi una donna con le palle, Giovanna d’Arco; gli inglesi Robin Hood, un eroe che rubava ai ricchi e dava ai poveri (qui da noi è stato sempre l’opposto: si ruba ai poveri per dare ai ricchi); gli svizzeri Guglielmo Tell, un uomo del popolo e uccisore di parassiti reali; gli spagnoli e i sudamericani Zorro, un accanito difensore del popolo; noi, meravigliosi, abbiamo il bambin Gesù!
“I bambini inglesi e gli altri imitano degli eroi, vivono in una cultura del reale, crescono fieri; i bambini dei “meravigliosi”, invece, crescono santi, cioè vigliacchi: devono imitare l’esempio di Gesù: porgere l’altra guancia!”, pag. 82.