Clandestini, immigrati, profughi, extracomunitari, esiliati, avventurieri, ribelli, naufraghi, bestiame umano, arrivano, arrivano a ondate sulle coste italiane, e arrivano da tutte le parti. Non li si ferma più, non li si può più fermare. La fame non dà loro tregua, la fame non conosce pericolo, la fame di sopravvivenza è una legge di natura: per restare in vita ti spinge a tutto, anche alla morte a occhi aperti. Ecco fin dove spinge la povertà, povertà creata dai Sistemi capitalistici. E così gommoni, carrette marine, barche malandate, navi arrugginite, ferraglia navigante, su qualsiasi cosa che galleggia e si muove. Arrivano, arrivano i naufraghi!
La Libia, la Tunisia, l’Iraq, il Pakistan, l’Albania, la Somalia, l’Afghanistan, l’Africa scaricano sull’isola di Lampedusa, sulle coste del Paese delle meraviglie i desesperados, i pezzenti, i moribondi, i miseri, gli esseri condannati alla fame, pance vuote e senza approdi. Sono i nulla, i paria, gli abbandonati, i derelitti, i dannati della terra; sono, lo vediamo e lo pensiamo, perché noi tutti, noi lavoratori, avremmo potuto trovarci al loro posto!, sono relitti umani, relitti che rappresentano lo specchio di un mondo barbaro e grottesco, un mondo che non lo si può più tollerare!
Partono, e quando partono, qualche briciola di speranza si accende in fondo ai loro cuori. Però, ahimè!, non in tutti i cuori quella briciola di speranza che c’era alla partenza sopravviverà all’ardua impresa che li aspetta, perché molti di loro non arriveranno mai a destinazione. Capita che le carrette su cui viaggiano non resistano alla furia del mare o che facciano già acqua ancora prima di partire. E, come conseguenza, i fondali marini, tra la Libia e la Sicilia, l’Albania e la Puglia, sono cosparsi di cadaveri, di naufraghi, di extracomunitari, di profughi, di immigrati, di anime alla deriva, anime senza radici e senza averi.
I nulla della terra sono creature oppresse dall’ingiustizia sociale, dalla discriminazione, da leggi antidemocratiche e inumane; i nulla della terra, quando non sanno più dove sbattere la testa, allora non gli resta che rischiare l’ultima cosa che gli è rimasta: la vita, la loro stessa vita! Molti di loro, lo sanno, lo intuiscono, l’annusano nell’aria che tira intorno a loro, sanno che stanno per morire, sanno che non sbarcheranno mai in una nuova terra e che finiranno in fondo al mare. Eppure, nonostante questa consapevolezza, la disperazione, la desolazione, l’inferno del loro vivere, li spinge ad affrontare la mortale avventura.
Così, quando il sogno si trasforma in un incubo, scendono, uno dopo l’altro, dopo aver fatto qualche gesto disperato tra le onde tempestose, scendono, scendono, scendono a zigzag, ma ormai privi di vita, di spirito, di tutto, scendono, trasportati dalle correnti marine, giù giù giù, sempre più giù in fondo al mare. Lì, finalmente, nell’abisso marino, trovano un po’ di requie. Ecco la loro nuova terra, vita, dimora, patria; ecco dov’è andata a finire quella briciola di speranza che c’era alla partenza: lì, in fondo al mare! Presto, tra la Libia e l’Italia, sorgerà un ponte, non un ponte costruito con ferro e con acciaio, ma un ponte fatto di corpi umani, di naufraghi, di esseri che sono annegati per un pezzo di pane!
Giù giù giù, fino all’abisso più profondo, lì, il luogo di accoglienza, e che accoglienza! Voilà dove i Sistemi capitalistici del mondo intero e la loro politica criminale e bestiale hanno portato i loro simili: alla fame, alla disperazione e, infine, alla morte!
“Arrivano, arrivano”, grida la gente costiera, la gente dell’isola di Lampedusa, la gente del Paese delle meraviglie, “arrivano i naufraghi: i figli di nessuno!”
Aggiungo questo:
Se i paesi benestanti del mondo intero volessero veramente aiutare questi esseri umani – immigrati, ecc. – dovrebbero farlo, non accogliendoli indegnamente nei loro paesi, ma costruendo I LORO PAESI. Dandogli così la loro dignità, quella che i Sistemi capitalistici europei e americani hanno insultato e sfruttato per secoli. Costruire dunque fabbriche, università, aziende agricole, insomma, tutte le strutture necessarie affinché QUESTI ESSERI UMANI potessero lavorare nei loro paesi degnamente e umanamente.
Diversamente, se questo non fosse possibile al momento, allora per ogni emigrante, extracomunitario, clandestino che sbarca in Europa, gli si dovrebbe dare, per ragioni umane e politiche, un lavoro, un alloggio, un’educazione e inserirlo legittimamente e decorosamente nella cultura del paese in cui vive.
Direi che, quasi quasi, basterebbero i soldi che vengono spesi per controllare i mari, per pagare il personale che si prende cura, in un modo o in un altro, di loro, i soldi necessari per nutrirli, per alloggiarli, per rimpatriarli e, soprattutto, tutti i soldi che i paesi che li ospitano speculano fra di loro arricchendosi su questi poveri disgraziati, sfruttando così vergognosamente e vigliaccamente l’altrui disperazione.
UN INVITO: Se l’articolo è stato di vostro gradimento, passate parola, condividetelo, criticatelo, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comprendere, di comunicare, di confrontarci, di dire la nostra, brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più. Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani. Vale a dire, nessuno uomo è più che un uomo. È così che Orazio Guglielmini parla agli amici del Web.