L’editoria italiana – 9 post, il quinto

La Papera d’oro

Avviso: Se vi trovate sul vostro sito un doppione dei miei post, eliminatelo. Da qualche tempo ho dei problemi tecnici col blog. Scusate e grazie.

Qualche tempo fa, una signora d’alta classe, ad un certo punto della sua vita, dato il suo status e i suoi averi, decise di darsi, tra tantissime altre cose (era una ministra), anche alla scrittura. Non scriveva lei. Questo, quelli che avevano fiuto, l’avevano annusato. Faceva fatica, dicevano, faceva fatica a tirare giù una sola riga senza sbagli e sbadigli (questo, per dire la verità, lo dicevano i suoi compagni di scuola), come avrebbe potuto scrivere libri? Secondo loro riusciva solo a balbettare qualche cosa a qualche giornalista o scribacchino privo di talento e che aveva la passion for anonymity, come dicono gli americani. Questi (lo scrittore ghost, fantasma, anonimo), geniale nell’arte dell’artificio, accettava l’incarico. E così, dopo avere, ovviamente, intascato una bella somma di denaro sborsato dalla Papera d’oro, si metteva all’opera.

Ah sì, certo, era stata fatta ministra, non perché avesse fatto delle campagne elettorali, vinto delle elezioni, non perché avesse un talento politico, per nulla, era stata fatta ministra per il suo status e i suoi averi, ecco come di solito si fa in Italia. Insomma, era stata fatta ministra stile il paese delle meraviglie.

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Papa Francesco nel sudamerica

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Un’altra cosa. Il post è un po’ lungo, avrei potuto accorciarlo, eliminare anche qualche errore, ma non ho il tempo. Leggetemi comunque!

Non si cresce, popolo lavoratore del sudamerica, non si cresce affatto tra povertà e speranza, perché povertà e speranza sono causa di fame e di morte nera. Cosa vi porta, allora, ci chiediamo noi, cosa vi porta Papa Francesco? Pane? Scienza? Progresso? Vita? Illuminazione? Benessere? Emancipazione? Libertà? Lavoro? Insomma, cosa vi porta?

Nulla di tutto questo. Porta, alle popolazioni del sudamerica, paraguay, bolivia, ecuador, porta solo regresso, stenti, privazioni, catene, involuzione, oscurantismo, morte, schiavitù, disoccupazione, il nulla, la miseria, raduni per le strade e nelle piazze, poi il vuoto della retorica fiction, del sentimentalismo senza soggetto e del bla bla gratuito, ecco cosa gli porta.

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L’editoria italiana – 9 post, il quarto

Agenzia Letteraria Europea Smerdapunto

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Vorrei ora raccontarti, Rossi, disse Orazio Guglielmini a Rossi quel giorno a pranzo, anche che se brevissimamente, per quali vie ardue sono arrivato a conoscerti. Ti avevo dato altre spiegazioni, ma questa, credimi, è determinante. Tu sei, e non ci crederesti, tu sei la mia fortuna! Sì, Rossi, è stata una vera e propria fortuna incontrarti. Se non ti avessi incontrato quella sera fuori dalla scuola, pensi che avrei scritto il mio testamento?

Ebbene, sappi che prima d’iniziare a distribuire io stesso i miei libri a chi li voleva leggere, ho provato a farlo fare alle case editrici, ovvio, è il loro compito e mestiere. Queste, però, nel “Paese delle meraviglie”, pubblicano solo i geni, quelli all’altezza di scrivere auliche lettere e, dato che io non appartengo a questa casta, non hanno mai pubblicato un mio racconto. E come avrebbero potuto? Forse sono un genio, io?

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Popolo greco,

la tua vittoria, ieri 5 luglio 2015, è unica e germinale, ed è l’inizio d’un seme che sboccerà, crescerà e si espanderà in tutta l’Europa e in tutto il mondo, proprio come ha fatto la tua filosofia millenni fa.

Non c’è mai stata, non c’è e non ci sarà mai pace, né dignità, né democrazia fino a quando l’Europa resterà nelle mani di quelli che l’hanno sempre oltraggiata e depredata.

Abbasso l’Europa dei banditi di oggi e di sempre al potere e lunga vita al Popolo Lavoratore!

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Abbasso l’Europa delle banche e viva il popolo greco!

Amici e fratelli greci,

io la vedo così. Penso che sia mille volte meglio la forca che fare parte dell’Europa dei Rothschild, dei banchieri dei re, delle oligarchie delle finanze, delle monarchie, dell’imperialismo americano, delle Opus Dei e delle masse abbrutite e pecorone. Voi no? Non la vedete così?

Credetemi, non è un onore, ma è una vergogna fare parte di quell’Europa che si è costruita per secoli e secoli grazie alla schiavitù dei popoli, che si è costruita nel sangue dell’innocente, nell’oscurantismo più totale, negli autodafé, nel gioco e nel potere di tiranni e di mostri che erano solo e solo in cerca di ricchezze e di gloria. Non c’era altro nelle loro teste. Questi signori oggi, da re, principi, banditi, imperatori, boia di quel tempo, regine e vattelapesca, si sono trasformati in finanzieri, in oligarchie, in multinazionali, in politici corrotti e venduti, in capitalisti spietati e disumani. Sono i nuovi pirati, briganti, avventurieri, i nuovi capitani di ventura. Nulla di buono! Quest’Europa, amici greci, l’Europa del delitto gratuito e del capitale rubato, è morta!

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L’ editoria italiana – 9 post, il terzo

Gli scrittori del Paese delle meraviglie

L’Italia, grazie alla sua editoria sponsorizzata dallo Stato e dalla Chiesa, due funesti parassiti, si trova al settantaduesimo posto tra i paesi civilizzati del mondo; la sua università più prestigiosa, la Bocconi, è al 580esimo posto. Gli scrittori di questo paese mentalmente castrato, che avrebbero dovuto essere la sua fiaccola e la sua locomotiva, essendo raccomandati e le case editrici sovvenzionate, non riescono a produrre nulla di innovativo e di originale.

Proprio in questi giorni, l’editore Bompiani ha proposto al regista e attore, Carlo Verdone, di scrivere la sua biografia. Nella proposta aveva aggiunto anche che gli avrebbe fornito un ghost writer, uno scrittore fantasma che potesse aiutarlo. In altre parole, la biografia non l’avrebbe scritta il regista, ma gliel’avrebbe scritta principalmente il ghost writer. Verdone è stato onesto nel raccontare ciò alla trasmissione di Fabio Fazio, Che tempo che fa, su Rai 3, domenica 26 febbraio 2012.

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L’editoria italiana – 9 post, il secondo

L’editoria nel Paese delle meraviglie

Quando un editore pubblica libri col sudore dei contribuenti, quando un editore viene pagato direttamente dallo Stato per pubblicare libri, quando un editore fa il gioco dei potenti, uno ha il diritto di chiedersi che tipo di editore possa mai essere costui. Infatti, molti editori ricevono grosse somme di denaro dello Stato, sborsato da quelli che lavorano per davvero, i tassati, per propagandare la sua cultura, cultura di regime statale, e loro, forse, non lo sanno neppure!

        Quando compri un giornale, Rossi, tu pensi che sia pubblicato coi soldi del proprietario del giornale. Dovrebbe essere così, ma in realtà non lo è; dovrebbe essere così, almeno per rispetto di chi lo compra, ma non lo è; dovrebbe essere così, almeno per un editore editore, ma non lo è; dovrebbe essere un prodotto incontaminato, ma non lo è. Invece lo si pubblica coi tuoi soldi, Rossi, coi miei soldi, coi nostri soldi, coi soldi dei veri lavoratori, coi soldi di quelli senza cui nulla nasce, cresce o fiorisce. Lo Stato sponsorizza case editrici, giornali, riviste e, naturalmente, com’è ovvio, lo Stato dice loro anche chi e ciò che devono pubblicare. Meraviglioso, non è vero?

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L’ editoria italiana – 9 post, il primo

La casa editrice Mondadori è una casa editrice a pagamento

 

Quando uno scrittore paga per fare pubblicare i suoi libri, l’editore li pubblica e basta. Il contenuto, in questo caso, lo decide l’autore e non l’editore. È così che va nella stampa a pagamento. L’editore, infatti, non è interessato se uno pubblica shit o merda, un masterpiece o un capolavoro, è interessato solo che paghi. Ricevuti i quattrini contrattati, pubblica e basta. Lo stesso sistema vale per una casa editrice che si fa stipendiare dallo Stato. Non può pubblicare ciò che vuole, ma ciò che lo Stato gli dice che può pubblicare. È il caso della casa editrice Mondadori che riceve dallo Stato 30 milioni di euro annui, 60 miliardi di vecchie lire all’anno (Milena Gabanelli, Report, Rai tre, 27 maggio 2007), quindi la casa editrice Mondadori non ha voce (non dovrebbe averla!) in capitolo nella scelta dei suoi autori e tanto meno dei libri che pubblica.

Un editore, per essere un editore, un editore degno di questo nome, non dovrebbe prendere un solo centesimo dagli scrittori che pubblica, e soprattutto non un soldo dallo Stato né dalla Chiesa, da nessuno, solo da sponsor e benefattori che non interferiscono minimamente nel suo mestiere. Solo così potrebbe l’editore camminare a testa alta ed essere un degno custode e rappresentante del prezioso ufficio che svolge nella società in cui vive. La Mondadori, facendosi mantenere dallo Stato con 30 milioni di euro annui, si rende automaticamente portavoce e schiava del suo sistema ideologico. Detto per inciso, chi prende soldi dallo Stato, è un servo dello Stato.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il decimo

 

 

La differenza tra le due favole: quella di Bogududù e quella di Geova (X) 

Ti ho dimostrato, Rossi,  in sintesi, disse Orazio Guglielmini, con queste due favole, come s’inventano e si creano le religioni e come queste prendono il posto, nella vita sociale, non della realtà, ma quello della fiction.

Per quello che riguarda la differenza tra La favola di Bogududù e La favola di Geova, è molto semplice. In futuro, un castello su Marte lo si potrebbe realmente costruire; invece, della favola di Geova, resterà, se resterà, solo il nome d’una favola della morte e dell’orrore.

 

Seguiranno 9 post sull’Editoria Italiana

 

La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il nono

 

 

Effetto artistico della favola di Geova (IX)

Non è stato un effetto dappoco, perché questo tipo di arte al servizio della Chiesa ha contribuito a costruire il mondo di illusioni e di menzogne in cui navighiamo oggi. La pittura è dominata da gerarchie che vanno dal paradiso all’inferno, dai santi ai dannati e in particolare da madonne, papi, vescovi, angeli, cristi.

La letteratura è tutta di preghiere, di sermoni, di descrizioni di chiese, di santuari, di commenti e di racconti biblici e di altri che narrano le audaci gesta di re magi, profeti e imperatori.

L’architettura è un concentrato di tremendi mucchi di pietre sacre. Prendi le cattedrali gotiche, Rossi. Sai perché erano costruite così immense, buffe, eccentriche? Così cariche di fronzoli e di altre cose grottesche? Per lasciare stupefatti i pecoroni quando andavano a vederle, per farli pensare che quella non era opera dell’uomo, ma di Dio.

La scultura scolpisce profeti e madonne con bambini, papi e re ossia preti con e senza sottana; tutte decorazioni, null’altro che decorazioni per chiese e palazzi.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, l’ottavo

 

 

La favola di Geova (VIII)

In quei favolosi tempi, dunque, esisteva solo la Chiesa e la favola di Geova. La realtà sociale non esisteva, non contava. Infatti, alla Chiesa non interessava sapere come viveva la gente, i miserabili, il popolo. Questo lo usava e sfruttava per costruire la sua favola. Non c’è stato nessun progresso sotto il dominio di questa ideologia. Le uniche cose che può vantare la favola di Geova sono l’arretratezza mentale e la disumanità. In effeti, gli esseri umani, con l’avvento della religione ebraico-cristiana, sono diventati meno umani e più zombi di quanto lo fossero mai stati prima.

Qual è, dunque, il conteunto di tutta questa massa di creazione artistica e divina? Il vuoto abbiamo detto, il nulla, il silenzio, la fede nell’abisso, la fede in questo e quello, nulla di certo, di preciso, solo parole senza senso e concetti privi di contenuto. La creazione di Geova è potuta avvenire solo in virtù della brutalità e dell’ignoranza umana, ignoranza e brutalità che sono diventate gli araldi della nostra così chiamata “civiltà”.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il settimo

La favola di Geova (VII)

I protagonisti della favola di Geova, in realtà, non esistono. Sono esistiti unicamente nella testa di quelli che se li sono inventati, non altrove. Gesù, infatti, non è mai esistito, Cristo nemmeno, e della Madonna non ne parliamo neppure. Gli interessati, i preti, però, sostengono che questi signori dèi parlano attraverso loro. Così Dio parla attraverso la voce del profeta, del papa, del prete, del monaco, della giraffa, non cambia nulla.

Mettiamola così. “El”, l’antenato di Geova, è fiction; Geova è fiction della fiction di El; Dio è fiction della fiction di El e di Geova; Gesù è fiction della fiction di El, di Geova e di Dio; Cristo è fiction della fiction di El, di Geova, di Dio e di Gesù; la Madonna è fiction della fiction di El, di Geova, di Dio, di Gesù e di Cristo. Però, non per quei tempi. Per quei tempi e per quella gente, qualsiasi cosa raccontavi, diventava all’istante realtà. Figurati, stregoni e santoni dei nostri giorni, riescono ancora a far credere agli acefali tutto quel che vogliono.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il sesto

 

 

La favola di Geova (VI)

E ora, Rossi, disse Orazio Guglielmini, ci confronteremo con l’altra favola, quella di Geova, il dio degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Sarò sintetico. Molto sintetico. Quindi, per quanto riguarda la creazione di questo personaggio, Geova, non ti dirò più di quanto tu già sai, cioè che è un’invenzione fabbricata ad arte d’un popolo, il popolo ebreo, che ha avuto l’intelligenza, dato che era malmenato da tutti e non possedeva niente di suo, d’inventarsi di sana pianta il dio degli dèi, il dio di tutti i “dii” e, naturalmente, dichiarare se stesso il Popolo Eletto, il Popolo Scelto, il Popolo di tutti i popoli. Questa trovata fantastica è rimasta tale e quale fino ad oggi.

Riguardo a Gesù, a Cristo e alla Madonna, questi personaggi sono solo creazioni nate grazie al Vecchio Testamento. Il Messia era stato annunciato lì, nel Vecchio Testamento, e poi, dato che non si faceva vedere, lo si doveva creare, costruire, e così è stato fatto, e così è nato il Nuovo Testamento, quindi Gesù. Da questo momento la macchina della fabbricazione di questo personaggio non ha mai avuto un attimo di tregua. Figurati, Rossi, che il luogo di nascita di Gesù, Nazaret, alla sua nascita non esisteva neppure. Questa città, Nazaret, se la sono inventata i quattro evangelisti che, a loro volta, non hanno mai visto o incontrato Gesù.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il quinto

 

La favola di Bogududù  (V)

Continuo a indottrinare e a fare propaganda. Tutti credono a ogni cosa che dico, eccetto, naturalmente, i soliti furbi. Questi, comunque, non mi danno più fastidio. Il gioco è ormai fatto. Non mi rimane che continuare a vendere la mia favola su Marte fino a quando trovo dei creduloni: i miei shit head, i miei zombi.

Nel frattempo, proseguo a costruire castelli uguali a quello che mi sono immaginato su Marte e li dichiaro luoghi di culto, luoghi sacri. Iniziano i pellegrinaggi. Mi costruisco anche una storia del castello e dei suoi abitanti. Incomincio a vendere reliquie, ritratti, stracci, ossa, teschi, cacca di gallinelle, capelli, dichiarando che appartengono a quei santoni che sono, dopo la loro santa morte, volati lì su Marte e che ora sono diventati personaggi divini con poteri sovrumani.

Ho i migliori talenti artistici e i migliori professionisti del mondo che lavorano per me, scribacchini molto sofisticati che narrano le favolose vicende di Bogududù e le mostruosità di Bugadoni. Ho eserciti di soldati bene addestrati che proteggono le mie ricchezze e sostengono le mie idee a spada tratta, pronti a morire per me, se necessario. Vorrei vedere, li pago io, no?

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il quarto

 

 

La favola di Bogududù  (IV)

Mi viene un’altra idea. È inevitabile, da idea nasce idea. Come si dice: l’appetito viene mangiando. Impiego i più grandi geni ingegneristici e architettonici (altro che Brunelleschi! Altro che Eiffel!) nella costruzione d’un castello sulla Terra come quello immaginato su Marte. Una volta finito, riempio le camere con dei personaggi della mia fantasia che faccio ritrarre dagli artisti, i migliori artisti del mondo, of course. Altro che dei Michelangelo, altro che dei Rembrandt, altro che dei Piero della Francesca; coi soldi che pago posso comprare veri e propri geni della pittura. Le loro opere sono grandiose, appropriate, quelle che ci vogliono. I personaggi che ritraggono sembrano divinità. Bogududù, però, li batte tutti: è stupendamente divino. Ha occhi azzurri, capelli biondi, un viso attraentissimo, è alto, ben formato, armonioso, mirabilmente vestito.

I semplicioni, quelli che ingoiano tutto senza mai capire nulla, dopo averlo visto nei dipinti, non hanno più dubbi. Se lo sognano persino di notte. Le donne, in particolare, vanno matte per il mio Bogududù. L’adorano. Sarebbero pronte a fare qualsiasi cosa per Lui: darsi a Lui, tradire i loro mariti per lui, ammazzarsi, qualsiasi cosa. Sono tutti, maschi e femmine, presi dal suo fascino, dal delirio mistico. Ne parlano, parlano, parlano, tutto il mondo ne parla, ne va matto, vuole comprare, affittare, assicurarsi a tutti i costi un posto su Marte, soprattutto dopo aver visto quello in miniatura sulla Terra. Non mancano quelli che vorrebbero addirittura morire subito per andare a vivere su Marte con Bogududù. Ci sono stati e continuano ad esserci dei suicidi a questo proposito. Non posso farci niente. La credenza bogududiana è diventata irresistibile, un oppio, una droga, quasi tutti, pagani e di altre credenze e religioni, si convertono ad essa.

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La favola di Bogududù  (III)

Dopo aver perfezionato e impartito un bell’ammaestramento dottrinale ai miei diffusori e sostenitori, cioè un bel lavaggio del cervello, inizio a mandarli in giro sempre meglio preparati per diffondere la buona novella. I miei divulgatori, e devo dirlo, in realtà, sotto sotto (e questa è la fortuna della mia favola), non sono molto più intelligenti di quelli che devono convertire. Vanno in giro assicurando che, dopo la morte, ci sarà, per chi la desidera, un’altra vita su Marte, una vita vissuta insieme al favoloso dio Bogududù, l’unico vero dio del cielo, della Terra, di Marte e di tutto l’Universo. Bogùdudù è almeno un milione di volte superiore a Geova, Dio, Brahma. In nuce, tutti gli altri dèi, che i miei rivali propongono, sono menzogne e raggiri, pura aria fritta. Solo il dio Bogududù è vero; solo il castello su Marte offre vita e piaceri eterni. Possiamo addirittura mostrare, con un’alzatina del braccio, ai nostri credenti il pianeta Marte. Questi guardano in sù, gli pare di vederlo anche se non lo vedono. Molti lo scambiano per la Luna. Si persuadono. Dicono:

“È proprio così. Il castello su Marte esiste per davvero. L’abbiamo visto coi nostri occhi. Lassù vivremo gioiosi e felici per sempre.”

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il terzo

 

 

La favola di Bogududù  (III)

Dopo aver perfezionato e impartito un bell’ammaestramento dottrinale ai miei diffusori e sostenitori, cioè un bel lavaggio del cervello, inizio a mandarli in giro sempre meglio preparati per diffondere la buona novella. I miei divulgatori, e devo dirlo, in realtà, sotto sotto (e questa è la fortuna della mia favola), non sono molto più intelligenti di quelli che devono convertire. Vanno in giro assicurando che, dopo la morte, ci sarà, per chi la desidera, un’altra vita su Marte, una vita vissuta insieme al favoloso dio Bogududù, l’unico vero dio del cielo, della Terra, di Marte e di tutto l’Universo. Bogùdudù è almeno un milione di volte superiore a Geova, Dio, Brahma. In nuce, tutti gli altri dèi, che i miei rivali propongono, sono menzogne e raggiri, pura aria fritta. Solo il dio Bogududù è vero; solo il castello su Marte offre vita e piaceri eterni. Possiamo addirittura mostrare, con un’alzatina del braccio, ai nostri credenti il pianeta Marte. Questi guardano in sù, gli pare di vederlo anche se non lo vedono. Molti lo scambiano per la Luna. Si persuadono. Dicono:

“È proprio così. Il castello su Marte esiste per davvero. L’abbiamo visto coi nostri occhi. Lassù vivremo gioiosi e felici per sempre.”

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Lettera aperta ai miei studenti dell’Università Popolare di Biella

Ho iniziato a insegnare inglese all’Upb (Università Popolare Biellese) nel 1997. È avvenuto così. La professoressa Maria Luisa Bertotto mi ha chiesto se avessi potuto sostituirla per qualche settimana, aveva altri impegni lei in quel tempo. Era un’amica e non potevo dirle di no. Ed è stato così che ho iniziato a insegnare all’Upb.

Qualche anno dopo, grazie al presidente di allora, Franco Ruffa, ho potuto dare il via ai miei incontri sull’ “arte di vivere”, un corso di cultura impostato su diversi argomenti che portavo avanti da anni con piccoli gruppi e in privato. L’Upb mi ha dato l’opportunità di renderlo pubblico.

A scuola si studia di tutto, eccetto la cosa più fondamentale: l’arte di come vivere la propria vita. I miei incontri miravano proprio a questo. L’obiettivo di vivere la vita come un’opera d’arte non è solo importante, eccitante, è anche illuminante. Una volta che gli studenti si sono appropriati d’una conoscenza realistica di base, che consiste nel fare propria una discreta cognizione cosmica, evoluzionistica e storica del mondo, dopo questa preparazione si è pronti per l’arte di vivere.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il secondo

La favola di Bogududù  (II)

 Immaginiamoci, Rossi, disse Orazio Guglielmini a Rossi quella sera mentre si apprestavano a sedersi vicino al fuoco, immaginiamoci un castello, diciamo un castello su Marte, okay? Il periodo storico? Il Medioevo. Il castello, of course, è una mia invenzione. Incomincio così (narro in prima persona o come meglio mi conviene): dico alla gente povera, alla gente che trovo per strada, a casa, ovunque, dico che c’è un castello su Marte nel quale l’anima può trasferirsi dopo la morte. Il signore del castello è Bogududù, un dio grande, che dispone di poteri taumaturgici, che resuscita i morti e che è fornito di immense risorse divine e vitali. Una volta in possesso dell’anima d’un defunto, riesce a fare miracoli, riesce a ricostruire e a rivitalizzare lo stesso corpo che lui aveva sulla Terra, oppure, volendolo, solo con qualche soldino in più, a trasformarlo come lo si desidera e a dargli intelligenza e immortalità.

Naturalmente, all’inizio, quando comincio a divulgare questa favola, non tutti ci abboccano, alcuni mi mandano a quel paese, altri mi aizzano il cane contro. Non mi perdo d’animo. Continuo. Un giorno è il giorno. Trovo uno che crede in quello che dico. Grande! Poco importa quanto falso e incongruente è ciò che dici, Rossi, c’è sempre qualcuno che ci crede. Questo credeva nella mia favola. Importante, decisivo. Grazie a lui trovo un altro e un altro ancora. Comincio a lavorarmeli ben bene questi miei primi seguaci e, via via che li convinco sempre di più dell’esistenza di Bogududù, della mia favole, del mio castello su Marte, incominciano anche a passare la voce in giro. Capitale questo primo passo. Il tam tam, grazie a Bogududù, si era messo in moto.

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La favola di Bogududù e la favola di Geova – in 10 post, il primo

Introduzione (1)

Vorrei proporre, nei seguenti 10 post, due favole, quella di Bogududù e quella di Geova. Prima, però, una brevissima introduzione.

Prima di parlarti della “favola di Bogududù” e della “favola di Geova”, Rossi, cercherò di farti capire come la religione si sia propagata e affermata ai suoi tempi. Dovrò parlarti, quindi, del suo motore principale: la divulgazione. Questa, grazie appunto ai favolosi tempi in cui si formò e si affermò e, grazie al suo insegnamento didascalico, ebbe carte blanche e lunga vita. I così chiamati preti, monaci, chierici, gente che lavorava per la diffusione della dottrina Cristocatto (“Cristo” sta per cristianità e “Catto” per cattolicesimo, quindi “Cristocatto”), erano, almeno fino al Concilio di Trento, ancora più beceri di coloro che dovevano convertire. Ma la cosa non si fermò solo a questo mezzo rozzo di divulgazione. La Chiesa si servì anche, e in particolar modo, dell’arte e degli artisti di quel tempo per meglio propagandare la sua ideologia. Attraverso l’espressione artistica riuscì a mettere in movimento una tremenda macchina di diffusione di idee in un periodo, il Medioevo, in cui il quoziente d’intelligenza non era al di sopra del mio cane Genio.

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L’ Italia analfabeta – post 29

La storia made in Italy

Un vascello sgangherato e alla deriva

Tutti lo sanno, tutti lo vedono, tutti lo capiscono e, nonostante ciò, tutti si prendono per i fondelli l’uno con l’altro sostenendo: Che vascello! Che capitaneria! Che equipaggio! Che team!

Lasciamo perdere, per favore, e veniamo al dunque. Riguardo alla vicenda di cui stiamo per parlare, tutto è stato chiaro sin dall’inizio. La cosa è andata più o meno come si prevedeva che andasse: tutta la ciurma ha votato, nonostante la pessima conoscenza della pirateria, il filibustiere, una specie di pitbull di grossa traballante stazza, mandandolo al potere alla prima votazione. E perché? Perché questi, il filibustiere, durante la campagna per la capitaneria, aveva promesso impiego e ricchezze a tutto l’equipaggio. Questo, of course, ci aveva abboccato. Il risultato è stato che, una volta eletto capo, il filibustiere ha dimenticato le sue promesse, cosa molto diffusa nel suo milieu, e ha iniziato a fare ciò che conveniva a lui.

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L’amore secondo gli australiani

Una volta, un amico australiano, David, mentre stavamo centellinando una birra fresca sulla terrazza d’un cafè, mi ha detto:

Sai, qui da noi l’amore è come una birra fresca in una giornata infuocata dal sole. O, se preferisci, è come la fame, la sete, la voglia, la curiosità, una volta soddisfatte questi bisogni biologici e culturali, la cosa finisce lì, non ne senti più la voglia.

Proprio così?

Non esattamente. Lui non si preoccuperebbe tanto, dopo il periodo d’innamoramento, se lei lo tradisse, si preoccuperebbe però se lei non l’amasse più. La scappatella (sempre in termini australiani secondo David) è molto meno dolorosa che se la compagna s’innamorasse d’un altro, perché questo vorrebe dire perdere la stima, l’affetto, l’amicizia, tutto quello che si è costruito insieme durante anni di convivenza.

E lei?

Lei è ancora più soft e più sottile di lui. Sa chiudere un occhio quando un occhio lo vuole chiudere.

Charlotte Elizabeth Diana e il “sangue reale”

Non ancora nata ed è già una star.

Appena nata, una super star.

Da grande diventerà un dio e come tale contemplerà la distruzione di paesi come l’Iraq da parte di quelli che hanno sempre picchiato più forte, vedrà i barconi zeppi di poveretti africani affondare nel mare tra l’Africa e Lampedusa, vedrà la discriminazione e l’ingiustizia più nera e obbrobriosa dominare il pianeta terra, vedrà la povertà, lo sconforto, la desolazione, proprio come adesso fanno i suoi genitori, e in questo fantastico mondo, così perfetto, gaio e felice che più perfetto, gaio e felice non si può, lei, Charlotte Elizabeth Diana, portatrice di “sangue reale,” vivrà glad and happy, felice e contenta che più felice e contenta non si può.

Insomma, che senso ha oggi, ci chiediamo noi, che senso ha oggi, nel 2015, parlare di “sangue reale”? E poi cosa mai può voler dire “sangue reale?” E qual è la differenza tra “sangue reale”, “sangue blu” e “sangue ariano”? Forse hanno già prelevato del sangue della piccola Charlotte e hanno visto che nel suo dna c’è “sangue reale”?

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L ’ Italia analfabeta – post 28

La storia made in Italy

Gli eroi o i mercenari di Nassiriya?

Basta solo sapere ascoltare e poi, credimi amico Rossi, scopri subito la melodia, la melodia di certi individui non appena aprono bocca. Cacano, scoreggiano, rumoreggiano sempre e in ogni circostanza secondo le disposizioni del loro amato culo. Che musica!

Prendi i soldati del Paese delle meraviglie morti in Iraq. Tutti quelli intervistati, con rarissime eccezioni, sostenevano che erano andati in Iraq, nel 2001, in missione di pace.

Vero?

No, non è vero!

Vero è che i soldati meravigliosi sono stati inviati in Iraq,

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“L’ultimo appello” * e i 7 fucilati in Indonesia

Ci chiediamo noi, di fronte a tanta violenza legalizzata, prima che un condannato arrivi alla pena di morte, al boia con tanto di licenza di assassinare pubblicamente e di essere addirittura anche ben pagato per ammazzare delle persone, ci chiediamo noi, quali altri boia, nelle gerarchie statali, hanno preceduto quest’ultimo? Tu hai una risposta, lettore?

 

*  Il film con Gene Hackman, Usa 1997.

Elogio al Popolo lavoratore – post 10

L’Esercito del Popolo

“L’esercito è al servizio delle persone sbagliate, invece dovrebbe essere al servizio di chi lo mantiene. E chi lo mantiene? Ovvio chi: il Popolo. Nel caso non volesse passare al suo servizio, il Popolo ha tutto il diritto di crearsi il proprio esercito,” Orazio Guglielmini

Al Popolo lavoratore manca qualcosa di fondamentale, manca un esercito. Proprio così, un esercito. Guglielmini ha ragione. Deve crearselo al più presto. Il Popolo ha bisogno più di chiunque altro, nel sistema in cui viviamo, d’un esercito suo, un esercito che lo difenda, lo sostenga, protegga i suoi diritti, i suoi interessi, i suoi affanni, il suo sudore, la sua creatività. Il vero creatore è il Popolo: è lui che crea il politico e non questo il Popolo; è lui che crea il capitalista e non il capitalista il Popolo; è lui che crea l’artista e non l’artista il Popolo; è lui che crea ricchezza e non la ricchezza il Popolo; è lui che crea il filosofo, lo scienziato, il prete e non costoro il Popolo. È un insieme di cose preziose e sostanziali il Popolo per l’intera società. Senza di lui, mettiamocelo bene in testa una volta per tutte, nulla nasce cresce o fiorisce.

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Arrivano, arrivano i clandestini!

Ripropongo questo post su quelli che ormai trovano accoglienza, non tra i loro simili, gli esseri umani, ma in fondo al mare.

A ondate, arrivano da tutte le parti. Non li si ferma più, non li si può più fermare. La fame non dà loro tregua, la fame non conosce pericolo, la fame è cieca. È la forza della miseria. La loro è una questione di sopravvivenza, di vita o di morte. Legge di natura. Gommoni, carrette marine, barche malandate, navi arrugginite, ferraglia navigante, su qualsiasi cosa che galleggia, si muove, vola, arrivano, arrivano i clandestini!

La Libia, la Tunisia, l’Iraq, il Pakistan, la Palestina, la Siria, la Somalia, l’Afghanistan, l’Africa scaricano sull’Italia, su Lampedusa, sulle coste pugliesi, calabresi, ovunque, scaricano i desesperados, esseri con le pance vuote e senza radici. La loro terra non gliele ha date. Sono i nulla, il bestiame umano, i paria, i dannati della Terra, lo specchio d’un mondo senza anima e senza cuore, un mondo barbaro e grottesco. Arrivano, arrivano i clandestini!

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La Santa Santissima Sindone di Torino

Sai, Rossi, disse Orazio Guglielmini a Rossi quella mattina, sai in che modo la Chiesa ha accumulato i suoi averi, visto che all’inizio non aveva proprio nulla? No? Non lo sai? Bene, te lo dico io: usando metodi spicci e poco onesti. Figurati che c’è stato un periodo, nella sua succulenta storia di favole divine, in cui vendeva come reliquie persino ossi di polli, di gatti, di cani, come se fossero appartenuti a Gesù, a dei personaggi biblici, a dei santi. A volte, questi ultimi, innalzati agli onori degli altari, venivano addirittura uccisi e fatti a pezzetti per essere venduti come reliquie. Un ottimo business, non credi?

 Tra queste migliaia e migliaia di reliquie ce n’è una che la Chiesa spaccia ancora oggi come vera. È apparsa per la prima volta in Francia, intorno al 1389 e, tra tutte le migliaia e migliaia di reliquie che venivano vantate come appartenenti a Gesù, questa s’impose, appunto, come quella vera e si trova ora, dopo tante avventure, a Torino. Ecco uno stralcio della genesi della Sindone riportato nel libro di Luigi Garlaschelli, “Processo alla Sindone”.

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Il cordoglio di papa francesco agli annegati

“Strage al largo della Libia: morti in mare tra 700 e 900 migranti, solo 28 superstiti. È la tragedia più grande di sempre,” si legge su Internet.

Morti e sempre più morti, annegati e sempre più annegati, fame e sempre più fame, ingiustizia e sempre più ingiustizia, soprusi e sempre più soprusi, ricchi e sempre più ricchi: è così che è sempre andato il nostro favolosissimo meravigliosissimo umanissimo mondo.

Mi auguro che il signor barack obama, la signora angela merkel, il signor vladimir putin, il signor jorge mario bergoglio, il signor françois hollande che, ovviamente, da un punto di vista politico, quindi umano, quindi etico, morale, deontologico, sono i primi responsabili della morte di questi infelici, nonostante ciò, mi auguro proprio che ieri sera abbiano cenato tutti con grande appetito come sempre e che abbiano trascorso una felicissima serata come sempre, nonostante tutti quegli stupendi giovani cadaveri in fondo al mare.

Viva la politica!

Elogio al Popolo lavoratore – post 9

I giochetti competitivi dei parassiti sociali 

“Se vogliamo la storia vera, dobbiamo scrivercela, quella che abbiamo ereditato e in cui viviamo è falsa e criminale,” Orazio Guglielmini

 Iniziamo con quelli più in vista e poi nella graduatoria che segue.

1          i politici

2          i monarchi

3          i sacerdoti

4          i capitalisti

5          i professionisti statali

6          i corpi di polizia

7          i mass media

8          gli artisti (scrittori, cantautori, pittori, attori, tutti quelli che fanno il gioco, consci o inconsci, del potere)

9          gli sportivi

Questi sono i più grandi parassiti che il Popolo deve nutrire in modo che inseguano i loro vizi e i loro ideali mentre lui, privato degli ideali e dei vizi, quindi della libertà, deve sacrificarsi facendo una vita da cane e lavorando a più non posso per mantenere e far fare vita bella a loro. Questi signori parassiti competono fra di loro, non per rimanere in vita, non per la sopravvivenza, come fa il Popolo, ma per le loro poltrone, poltrone zeppe di agi, piaceri, soddisfazioni e ricchezze, un altro impiego i parassiti non ce l’hanno. Vivono solo per rincorrere, lungo tutta la loro esistenza, le loro ambizioni, ambizioni che vanno al di sopra delle leggi e sono di natura delinquenziale.

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Elogio al Popolo lavoratore – post 8

A chi appartiene il mondo?

È una domanda banale, addirittura sciocca. A chi mai possa appartenere il mondo se non ai lavoratori, se non a quelli che l’hanno costruito dalle fondamenta con il loro corpo, il loro sudore e i loro sacrifici?

Infatti, ha mai lavorato il faraone? Ha mai fatto altro quest’essere eccetto che nutrire e gonfiare fino alle stelle il suo egoismo? Ha mai lavorato il macellaio e taglia teste Alessandro Magno? Hanno mai lavorato i Giulio Cesare, i Nerone, i Costantino il Grande, gli imperatori, i re, i principi, hanno mai fatto altro oltre che inseguire i loro vizi, capricci e ideali? I papi cos’altro mai hanno fatto nella loro vita eccetto che gozzovigliare sulla fatica e i sacrifici dei lavoratori? I califfi, i maragià hanno mai costruito una diga, un ponte? Gli zar sono mai finiti in una cassa da morto perché non avevano nulla da mangiare? I presidenti di questo o di quell’ente politico e non politico, si sono mai visti in giro con le mani sporche e piene di calli? I demagoghi, e non importa di qual partito, sono mai andati a lavorare in una miniera di carbone, in un’acciaieria? I primi ministri, a parte sbraitare sul sudore del Popolo e circondarsi di foreste di microfoni, sanno fare altro?

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Il Gange

Il fiume sacro degli induisti, è anche, forse, il fiume più inquinato e infetto al mondo. Ci buttano dentro di tutto, gli escrementi, i rifiuti, ci pisciano e cacano dentro, ci sputano sopra, ci spargono le ceneri dei morti, ogni carcassa e oggetto che non si sa dove buttare, trova un posto sacro nel Gange. La religione, e bisogna dirlo, è proprio un oppio velenoso e vergognoso!

 

 

L’Italia analfabeta – post 27

Dedicato ai genitori di Carlo Giuliani e a tutti quelli che sono stati pestati e offesi dalla polizia di Stato durante il G-Otto di Genova nel 2001.

La storia made in Italy

Cronaca del proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani 

È partito da un manifestante. No, è partito da un agente. No, è partito da dietro un gruppo di persone che facevano merenda sulla terrazza di un ristorante. No, è partito da un cacciatore sardo. No, è partito da un poligono. No, è partito da qualche parte dove si stava svolgendo una competizione di tiro al piattello e uno dei proiettili, non avendo fatto centro, è finito, guarda caso, tra i manifestanti di Genova. Non è vero. La realtà è che il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani è partito dalla pistola di un carabiniere che si trovava su una defender, una camionetta piena di sbirri. È stato sparato a bruciapelo. Nossignore! È stato sparato da lontano. Almeno da cento metri di distanza. Nossignore! È stato sparato a cinquanta centimetri di distanza dal bersaglio. Nemmeno per sogno! Non è corretto! È stato sparato da cinque metri di distanza. Non raccontiamo balle. È stato sparato da un metro. Nulla di tutto questo. Il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani è partito dalla sala dov’era riunito il G-Otto. Uno di quella sala, un po’ nervoso per tutto quello che stava succedendo lì fuori, ha estratto il suo cannone e ha fatto fuoco. Su, dai, non raccontiamo storie. Il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani è stato sparato dalla pistola di un giovane falco. Questa è la santa verità. Dovete credermi. Neanche per sogno! Il proiettile, appena fuori dalla canna, appena respirata l’aria della libertà, era fuori di sé dalla gioia. Liberté Liberté Liberté! Dunque, si scontrò subito con un estintore, poi …

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Terza riflessione sull’Airbus e sull’orgasmo, non dell’amore, ma del terrore

E così, adesso, sono venuti alla luce i responsabili. Che scoperta, e soprattutto che consolazione!

Gentlemen, diciamocelo tutto in una volta, nulla, ma proprio nulla di nulla ci sorprende più, tutto è diventato chiaro, cristallo chiaro, e più diventa cristallo chiaro, più gli inganni e i soprusi vengono a galla, e più tutto ci lascia senza parola. Insomma, ormai nessuno si prende più la responsbilità di quel che fa, ormai tutto ci sfugge, tutto è anche possibile, anche l’impossibile!

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Seconda riflessione sull’atto suicida di Andreas Lubitz

Proviamo a capire cos’è potuto succedere, in questo tuffo mortale, all’Airbus della Germanwings sulle Alpi francesi.

Prima probalità: il copilota, una volta uscito il capitano dalla cabina, ha toccato qualcosa, ha fatto qualcosa di sbagliato e subito dopo è andato in tilt, in panico creando un errore dopo l’altro fino a quello di chiudere la porta della cabina; seconda probabilità: ha avuto un attacco acuto di depressione. Se così fosse, lui, in questo frangente, non sapeva cosa stava facendo, non era cosciente, cioè poteva fare di tutto senza neppure rendersene conto. Tutti sanno che i depressi, quando si trovano nelle grinfie del loro mal nero, non si uccidono solo loro, ma a volte uccidono anche i propri figli, famigliari, compagni, ecc., senza neppure essere coscienti del crimine che stanno facendo a se stessi e agli altri. Terza probabilità: voleva suicidarsi per davvero. È possibile, ma questo non spiega il fatto di volere uccidere altri 149 persone. Non gli avevano fatto nulla. Perché? Quarta probabilità: secondo la scienza del rischio, tutti i corpi e di ogni genere possono sviluppare, nella loro struttura, da un momento all’altro, particolarmente quando sono vecchi (e qui non sto tirando in ballo gli anni dell’Airbus della Germanwings!), guasti, cedimenti, rotture, laceramenti, ecc. Quinta domanda: come mai, se è vero tutto quello che dicono i mass media, come mai che la Germanwings faceva pilotare un suo aereo da uno che era sotto cure mediche e soffriva di depressione e con tendenze suicide? Oltre a questi 5 interrogativi, e sicuramente ce ne sono degli altri che noi lasciamo agli esperti, eccetto per la quart’ultima probabilità (e non son sicuro), le cause delle altre 4 vanno cercate a monte, vanno cercate nel tessuto sociale e nella natura dell’essere umano, perché sono questi gli autori di questo agghiaciante disastro aereo sulle Alpi francesi.

Il mio pensiero sull’atto suicida e anticapitalistico di Andreas Lubitz

Un ventisettenne, ancora un bocciolo, il 24 marzo 2015, ha sacrificato la sua vita e quella di altre 150 persone, in protesta della società ferina e priva di valori in cui viviamo.

Andreas Guenter Lubitz, il giovane copilota dell’Airbus della Germanwings, che ha deciso di mettere fine alla sua vita e a quella di altre 150 persone sulle Alpi francesi il 24 marzo 2015, non l’ha fatto perché era un folle, un depresso, un kamikaze, un ammalato mentale o come lo si vuol definire, tutt’altro, l’ha fatto perché era nauseato di dover vivere in una società mostruosa, una società priva di valori umani, una società dominata dalla vuotaggine ragionata e dell’assoluta mancanza d’una comprensione esistenziale della vita e del mondo, una società priva di veri valori “democratici”, “altruistici”, “umanistici”, partoriti dall’ “essere umano” e dall’ “amore per i propri simili e per il mondo”.

I veri responabili di questa tragedia sono il capitalismo, il globalismo e i negrieri che governano e guidano il mondo. Noi non viviamo, ed era questo sicuramente il pensiero di Andreas Guenter Lubitz, noi non viviamo in una società di benificienza, di welfare, the human understanding, per nulla, la società in cui viviamo è un mostro dai mille volti: il mostro di tutti gli immaginabili e inimmaginabili mostri. Una società che vuole farci intendere a tutti i costi e con ogni mezzo che valori assassini, criminali, di esproprio, di sfruttamento, d’imbarbarimento, di schiavismo, di annientamento della specie umana e di tutte le altree specie e del Pianeta stesso, sono valori giusti, ragionevoli, comprensivi, democratici, ideali. Valori assassini, quindi, che ci sono imposti come valori ideali.

Il mio cordoglio va a tutte le famiglie di questa sciagura che, indubbiamente, se vivessimo in una società meno inumana e bestiale, non sarebbe accaduta.

L’Italia analfabeta – post 26 *

La storia made in Italy

Chi ha ucciso il Duce?

Mettiamola così, Rossi, nello stile dei meravigliosi. Allora, chi ha ucciso il Duce? Tanto per cominciare, diciamo che l’ha ucciso il partigiano Giacomo. E tanto per contraddire, diciamo che non è stato lui, che è stato il colonnello Valerio. Neppure per sogno! Né l’uno né l’altro. L’ha ucciso, non il partigiano Giacomo, né il colonnello Valerio, ma il partigiano Roby. No, forse l’ha ucciso il partigiano Johnny. Neppure lui. L’ha eliminato il canadese Lauren. No, il meraviglioso Giacomino l’ha fatto fuori. Chiacchiere. Se volete sapere veramente chi ha ucciso il Duce, ve lo dico io: Hitler, ecco chi l’ha ucciso! No, no e no, è stato un australiano a dargli il colpo di grazia. Not at all! Chi allora? Aspetta, è stato catturato a Dongo. Giusto? Pare. Fucilato a Como. Giusto? Pare. Appeso gambe in aria e testa in giù in una piazza di Milano come un maiale al macello. Giusto? Pare. Pare pare pare, è vero invece! Se lo dici tu! Sì, lo dico io! Calma! Insomma, chi l’ha ucciso: gli americani, i russi, gli inglesi, i francesi, i tedeschi, gli arabi, i meravigliosi, i cannibali della terra del fuoco, chi? Chissenefrega chi l’ha ucciso! Come chissenefrega? Non si sa. Come non si sa? E non si sa! E poi, anche se era un fascista, era tuttavia un pezzo grosso. Non vuol dire. Si dice che a lui piacesse mangiare fagioli e polenta come ai contadini della sua terra e che avrebbe preferito essere impiccato a Londra, piuttosto che processato nel Paese delle meraviglie (Pdm) o dagli americani. Stronzate. Vuoi proprio sapere chi l’ha fatto fuori? Dimmelo!

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“Lis Finn”, romanzo

Intanto, chi è il protagonista di questo romanzo? Lui-uomo o lei-donna? Di cosa parla? Dell’argomento più vecchio e più giovane al mondo: l’amore. Tutto invecchia, ma non l’amore. Questo non ha età, ha una storia, non un’età. Tra l’amore di Penelope per Ulisse e l’amore di Anna Karenina per Vronskij, c’è differenza geografica e storica, ma non di sentimenti.

Dov’è ambientato e in che periodo? È ambientato in Australia e in Danimarca e si svolge durante gli anni Settanta e la rivoluzione sessuale di quel tempo.

Dunque, l’incontro di Lis-Frank o Frank-Lis, è l’incontro di due cuori e i cuori, come si sa, sono anarchici, non hanno regole, anzi delle regole i cuori se ne infischiano. L’incontro Lis-Frank o Frank-Lis è l’incontro di due anime, di due spiriti, di due culture diverse, di due grandi passioni, due grandi amori che in una serie d’incontri-scontri, scoperte e incomprensioni, frustrazioni e voglia di capirsi, ragionamenti e incongruenze, ognuno a modo suo viene a conoscenza d’una verità profonda, una verità di cui gli esseri umani sono fatti, ma che pochi conoscono. Un viaggio, il loro, nei labirinti e nelle regioni più profonde e inesplorate dei sentimenti umani.

“Lis Finn” è stato pubblicato dalle Edizioni Demian, una piccola casa editrice. A proposito di case editrici, c’è da dire questo: le grandi case editrici non pubblicano libri di questo genere, e non li pubblicano per tante ragioni, ma due in particolare. La prima perché se pubblicassero libri di questo genere, il Sistema che servono non le sponsorizzerebbe più, e la seconda perché una lettura come quella di “Lis Finn” potrebbe disturbare la morale e la quiete interiore dei lettori benpensanti.

Buona lettura, coraggioso lettore!

248 pagine, 15 euro, edizioni Demian. “Lis Finn” lo si può ordinare in qualsiasi libreria oppure direttamente a info@edizionidemian.it

L’Italia analfabeta – post 25

“L’ “Io” del Paese delle meraviglie” in 2 parti: la seconda

Il massacro mentale del popolo del Pdm (Paese delle meraviglie) ha continuato indisturbato attraverso i secoli e, ancora oggi, nel 2015, continua indisturbato, grazie all’Indifferenza divina e al suo servo, lo Stato predatore. Si continua così, non stop, a martellare idee irrazionali e incongruenti nella testa del popolo italiano. Si pensava che le idee antireligiose di tanti pensatori avrebbero ridimensionato un po’ la smisurata prepotenza della Chiesa. Sbagliato. Non è stato così. Affatto. La Chiesa o vive nell’assurdo più totale o non vive affatto, perciò continua, in un modo o nell’altro, a martellare i suoi concetti falsi e stolti nel cranio dei meravigliosi.

“Cosa c’è di più falso e stolto, Rossi, urlò furioso Orazio Guglielmini quella mattina, cosa c’è di più falso, stolto, risibile, inventato, ripugnante, deforme di quando un prete riesce a far credere a gente riunita in una chiesa, ne più ne meno che come i pastori riuniscono le loro mandrie nei recinti, gente che pure è andata a scuola, a fargli credere che il morto che gli sta lì davanti è già andato in paradiso? Non ha importanza poi se ci crede veramente oppure no, Rossi. Intanto è lì e questo basta. Lì, senza reagire, senza dir parola, senza fiatare, lì come tanti zombi, lì a ingozzare tutte le cretinerie che gli dice il prete, e tacere, tacere, tacere. Cosa, cosa, dimmi tu, Rossi, tu che rappresenti la voce più insultata della storia, dimmi tu se c’è qualcosa di più squallido e assurdo di questo?” E non parliamo del prete, poi. Come può costui dire tutto quel nonsenso senza provare vergogna, senza farsi schifo?

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L’Italia analfabeta – post 24

“L’ “Io” del Paese delle meraviglie” in 2 parti: la prima

Oggi, Rossi, disse Orazio Guglielmini a Rossi, oggi ti parlerò dell’ Io, il vero Io, l’ Io fondatore del popolo del Paese delle meraviglie. Nasce con Roma, ma ufficialmente nasce con la caduta dell’Impero, vale a dire con la deposizione dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, da parte del barbaro Odoacre, nel 476. Fin dal suo inizio, l’ “Io” italico è stato nutrito con le idee fiction dell’Indifferenza divina e con le idee di governanti che, prima di scoreggiare, dovevano chiedere al monarca del Vaticano il permesso. Questo “Io”, quindi, si erge sull’irrazionale e sulla servilità.

“Essendo sempre stati il corpo della Chiesa, gli italiani sono stati sempre il corpo di un sistema irrazionale, perché qualsiasi religione è irrazionale. Per reazione all’irrazionale, gli italiani si dividono quasi sempre – irrazionalmente – in due o più fazioni preconcette … Per gli italiani, perciò, è quasi impossibile un ragionamento obiettivo, non falsificante, perché la cultura opera a livello epigenetico, ovvero si eredita”, l’antropologa Ida Magli, “Per una rivoluzione italiana”, p. 50.

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