Prima di morire, Rossi, scrivi il tuo testamento!
Se non hai ancora scritto il tuo testamento olografo, Rossi, non perdere altro tempo prima di farlo, scrivilo subito! Lo sai, dovresti ormai saperlo che non si è mai troppo vecchi per la Signora delle tenebre. Cosa? Niente, avrei dovuto dirtelo prima, ma pensavo che… Ok, ok, come si dice, meglio tardi che mai. Te lo dico ora, in questo post.
Vedi, io, il mio testamento olografo, l’ho già scritto da tempo e devo dire che dopo averlo fatto, mi sono sentito subito meglio, molto meglio. Sapevo che da quel momento in poi, se mi fosse successo qualcosa, avevo ormai organizzato le cose secondo il mio volere. È importante questo, Rossi, forse la cosa più importante della nostra vita. Pensa, pensa se non avessi già scritto il mio testamento e fossi morto, pensa a tutta quella burocrazia, notai, avvocati, preti, impiegati vari, iene, parenti, e tasse qui e tasse là, pensa, Rossi, pensa a cosa sarebbe potuto succedere se io non avessi già stilato il mio testamento: un casino!
Certo, potresti dire: “Aspetta un momento, Orazio. Fammi capire. Insomma, a te, a quel punto, cioè dopo che sei morto e stramorto, che cosa te ne importa del testamento e di come andranno a finire le cose?”
Colpito! Sapevo che l’avresti detto, Rossi! Ma è proprio questo il punto, amico mio. M’importa eccome! Non voglio lasciare casini, capisci? Puoi capirlo questo? Non voglio che i miei familiari si cavino gli occhi l’un con l’altro per impossessarsi della mia eredità non fosse che d’un solo euro, tanto meno voglio che i predatori dello Stato traffichino nelle mie cose, affatto! E non solo. È anche una questione di pulizia etica e morale, di rispetto verso me stesso e verso gli altri. Non voglio, non voglio proprio dipendere da nessuno neppure dopo la mia morte!
Vedi, per come io la vedo, anche i bambini dovrebbero scrivere il loro testamento. E se non sapessero ancora scrivere, perché sono troppo piccoli, dovrebbero essere aiutati dai loro genitori. Questi dovrebbero aiutarli a mettere solo delle crocettine su un testamento già pronto coi loro nomi e cognomi, così potrebbero esprimere il desiderio di lasciare questo o quel giocattolo o quel che sia ai loro amichetti preferiti, perché, a volte, anche per loro, per loro così giovani, teneri e innocenti, la Signora delle tenebre non ha pietà!
L’idea però di scrivere il mio testamento, Rossi, non quello olografo, di successione, di ereditarietà, ma quello letterario, spirituale, me l’ha passata Jean Meslier, il prete ateo francese, e questo mentre leggevo il suo “testamento”. Ognuno, prima di morire, credimi Rossi, dovrebbe lasciare, e questa volta per iscritto, non solo il suo testamento olografo, ma anche il suo “testamento letterario”, proprio come ha fatto Jean Meslier, il prete senzadio, e per un milione di ragioni, ragioni legali, morali, culturali, etiche, umane, di decoro e di dovere sociale.
Non andartene, Rossi, non andartene prima di aver scritto anche tu il tuo testamento olografo e letterario. Lo so, non tutti siamo eroi durante la nostra vita. Non è neppure una consolazione esserlo quando non si è più. Rimarrebbe comunque una testimonianza onesta. Almeno per una volta, uno potrebbe dire veramente ciò che pensa. Non è necessario scrivere milleduecento pagine come ha fatto Jean Meslier, tanto meno come ha fatto Orazio Guglielmini che ha scritto un testamento letterario più o meno dello stesso numero di pagine di quello di Meslier. Ne bastano molto meno di pagine. È più che sufficente qualche pagina, poche parole che ti senti di scrivere, purché siano vere, siano tue, siano sentite e ti sgorghino dall’anima e dal cuore.
E non solo questo, Rossi. Potresti incaricare qualcuno, che so io, un amico, uno della famiglia, un conoscente, di leggere il tuo testamento prima che ti seppelliscano. Oppure potresti registrare su un nastro quello che vuoi dire. Insomma, non vedo perché uno debba andarsene con le parole di un altro, addirittura d’un estraneo, uno che spesso non lo si conosce neppure. In quel momento cruciale, invece, il momento prima che lo seppelliscano o lo cremino (io ho deciso per quest’ultima soluzione) ci vorrebbero le sue parole, quelle del morto. Una cosa del genere, Rossi, rivoluzionerebbe i funerali, li renderebbe più interessanti, più vivi. È il caso di dirlo: più vivi!
Allora cosa? Allora niente. Allora invece di udire la solita ipocrita, vomitosa, lugubre, tetra, cadaverosa predica che fanno i preti sul defunto, qualcosa di morto che si aggiunge al morto, i presenti al funerale potrebbero sentire ancora una volta la sua voce, la voce del defunto, ancora calda, ancora forte e penetrante scaturire dagli altoparlanti. Puoi immaginare Rossi la tensione che questo fenomeno creerebbe nella gente – amici, conoscenti, estranei, famigliari -, perché tutti potrebbero essere tirati in ballo, proprio tutti, anche i buoni e i cattivi amministratori del paese. Mi si rizza il pelo solo a pensarlo!
Se questo avvenisse, sono convinto che i funerali smetterebbero di essere tristi, malinconici, tetri, noiosi. Di più. Alcune persone, ancora vive e vegete, e di questo ne sono convinto, non vedrebbero l’ora di tirare le cuoia solo al piacere dell’idea di quello che direbberro al loro funerale. E cosa mai potrebbero dire? Tutto quello che non hanno avuto il coraggio, per una ragione o per un’altra, di dire quand’erano in vita.
I funerali, da questo momento in poi, diventerebbero rivoluzionari nel vero senso della parola. Attirerebbero molte persone. Tutte curiose di sentire l’ultimo pensiero e desiderio del defunto. Questo ci aiuterebbe anche a diventare più veri e meno falsi e cattivi sia con noi stessi che con gli altri. Sono convinto che ci sarebbe più verità in un singolo testamento, non in uno di quelli che miri alla celebrità letteraria post mortem, ma in uno d’un semplice mortale, che non nella stragrande parte della nostra stomachevole letteratura, quella proveniente dai nostri scribacchini bigotti e benpensanti.
Voilà, allora, la mia proposta, Rossi: scrivi subito il tuo “testamento”, perché nella vita, amico mio, non si sa mai cosa può succederci da un momento all’altro!
UN INVITO: passate parola, condividete, dite ciò che pensate. Per crescere e maturare culturalmente (non biologicamente, di questo si occupa la natura), abbiamo bisogno di comprendere, di comunicare, confrontarci, dire la nostra brutta o bella che sia. Fatelo! La vita è qui e ora e poi mai più! Non perdetevi questo confronto con voi stessi e coi vostri simili. Siamo tutti degli esseri umani! È questo ciò che raccomanda agli amici del Web, Orazio Guglielmini. E io aggiungerei un “Grazie!” per chi volesse tradurre questi post nella sua o in un’altra lingua.