Scrive Napoleone Bonaparte:
“Dopo il mio passaggio, l’Italia non era più la stessa nazione: la sottana, che era l’abito di moda per i giovani, fu sostituita dall’uniforme: invece di passare la loro vita ai piedi delle donne, frequentavano i maneggi, le sale d’armi, i campi militari; i bambini stessi iniziarono a giocare sul selciato con interi reggimenti di soldatini di stagno; indubbiamente dopo averlo sentito raccontare in casa tra le mura domestiche dai loro padri, imitavano i fatti di guerra e le mie battaglie. E quelli che cadevano non erano più gli italiani, ma gli austriaci.
Prima, nelle commedie e negli spettacoli di piazza, veniva sempre messo in scena qualche italiano vile, anche se spiritoso, e di contro a lui un tipo di grosso soldato straniero, forte, coraggioso e brutale, che finiva sempre col bastonare l’italiano, fra le risa e gli applausi degli spettatori. Anche se non c’era proprio niente da ridere, ma semmai da piangere.
Orbene: il popolo italiano non tollerò più allusioni di questo genere; gli autori dovettero cambiare copione. Iniziarono a inserire italiani valorosi, che mettevano in fuga lo straniero, vi sostenevano il proprio onore e il proprio diritto. Vi sembra poca cosa tutto questo? No! La coscienza nazionale si era formata. E l’Italia ebbe per la prima volta i suoi canti guerreschi e gli inni patriottici,” Napoleone Bonaparte, “Memoriale di Sant’Elena”.
E il Risorgimento, aggiungeremo noi.
Il Paese delle meraviglie