Un benessere che uccide

Siamo tutti, tutti ricchi, ricchi di esteriorità, di sentimenti fasulli, di cibi, di abiti, di nonsenso, di acerbe esperienze, di amori superficiali, di vedute dogmatiche, d’una cultura ipocrita e falsa, di compagnie inutili, di miti grotteschi, di solitudine, di infatuazioni bestiali, di vacanze, di delusioni, di aggeggi infernali, di idee prive di contenuto, di teorie, di immaginazione; tutti ricchi di menzogne: mentiamo a noi stessi e ai nostri simili, tutti ubriachi fradici d’una vita sempre più allo sbando. Il nostro sistema psicologico non regge più. È pieno, è stufo, ha i nervi a fior di pelle, sempre pronto a esplodere. Si ribella, si infuria, diviene nevrastenico, si trasforma, trasforma quest’abbuffata di piacere, di vivande, di concetti in insoddisfazione, in mal’umore, in frustrazione, in depressione, in isterismo, infelicità, in inutili giustificazioni e razionalizzazioni. Il benessere uccide, il benessere se uno non sa governarlo è mortuario, è deprimente, è annunciatore di calamità esistenziali. I desideri una volta accontentati si infiacchiscono, si stancano, ci rendono malinconici. Siamo sfiniti. Boccheggiamo. Il nostro antenato era gioioso e felice solo quando trovava un vecchio frutto da sgranocchiare; noi invece siamo tristi e abbattuti con un conto in banca e la pancia piena. Abbiamo toccato il fondo. La nostra è una cultura dello sperpero e del nulla: la cultura della vuotaggine ragionata. L’abbiamo detto: il nostro è un benessere che uccide. L’uomo occidentale del Duemila è sazio, sazio di tutto. Solo la morte sarà la sua liberazione!

 

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